Lupo e orso

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Non era proprio come non avvertire la mano. Era piuttosto sentirla avvolta in uno strato infinito di bende. Sadie aveva freddo e allo stesso tempo caldo, riconosceva il piano di legno dove era poggiato il suo braccio e allo stesso tempo non riusciva veramente a toccarlo.

Intontita, era distesa prona a terra, con la guancia sporca e i capelli arruffati che le offuscavano la vista.

Realizzò che Cristen armeggiava con parte di lei.

Il vichingo le posizionò la spalla su un ceppo di legno, avvicinò una torcia fiammeggiante e la posò molto vicino al suo viso, poi tornò ad afferrare saldamente l'ascia.

Calò la scure su di lei, ma piano. Rifece quella mossa per aggiustare il tiro un paio di volte.

Morrigan si rese conto con viscerale terrore che l'arma l'avrebbe tranciata in due.

Ecco la sua fine: spezzata a metà dalla furiosa rabbia del re dei vichinghi, del quale non era voluta divenire moglie.

A quel punto, con una velocità che s'impresse istante per istante negli occhi stanchi e paralizzati di lei, il re calibrò l'ascia e infine la scagliò sul suo braccio, sul suo polso.

Sul bracciale.

Un rumore sordo come di una campana che viene percossa vibrò nell'aria e giunse alle orecchie di entrambi.

L'ascia aveva centrato il bracciale nero che, come Cristen ben sapeva già prima di provare, non si scalfì nemmeno.

Il bracciale della Nebbia era infrangibile.

Morr, in parte paralizzata, lo vide con orrore riprendere fiato, caricare, accanirsi.

Di nuovo quel rumore sordo si espanse nell'aria.

«Dannazione!» inveì Cristen nella sua direzione.

Infine, cedette. Si avvicinò a lei, la raccolse da terra trattenendola in uno stridente abbraccio e la posò sul giaciglio nel mezzo della tenda.

A Morr scese una lacrima nella parte del viso che non riusciva a muovere.

Cristen si fermò per guardarla. Occhi inflessibili e rabbiosi incespicarono in quelli di lei, tormentati dalle mille sventure della notte.

Il re le posò un pollice sulla guancia avvertendo una sorta di tremore. Morrigan, impossibilitata a muoversi, riuscì a ritrarsi.

Con il dito della mano Cristen toccò la lacrima e se la sfregò tra le dita, come se non avesse mai visto accadere una cosa del genere.

Era vero.

Sua madre un tempo forse aveva pianto, ma lui non se ne ricordava affatto.

La guardò con l'interesse di chi non comprende il dolore, quel tipo di sopraffazione che tortura lo spirito. Per lui, Morrigan era un universo insondabile che non aveva mai avuto occasione di scoprire.

Una serie di parole di consolazione, sgorgarono dalla sua bocca, seppur non ne capisse l'origine.

«Tra mezz'ora tornerai come nuova. Sei pazza, Morrigan dell'Abbazia» proseguì. «Hai giurato di morire se la Nebbia annienterà noi vichinghi e sarà padrona del mondo...» continuò, ribadendo ciò che aveva già detto in precedenza.

Si allungò verso di lei, le alzò il capo e se lo poggiò ciondolante sulle cosce.

La sua vittima ansimò, ma non poteva dire niente.

Il re le afferrò il polso senza vita guardando nervosamente il bracciale della Nebbia. «Questo non si spezzerà» aggiunse.

Poi le infilò le dita tra i capelli scuri e ondulati. Lentamente le raddrizzò il capo non curandosi della sua muta indignazione.

L'amazzone e il vichingoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora