Capitolo 1

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Niente in quel posto mi era più familiare: i cuscini delle sedie su cui mi ero seduta per anni, la vetrina delle porcellane di mia nonna, l'enorme tavolo di marmo al centro della cucina, i miei genitori... Perché sì, i miei genitori stavano divorziando, o meglio, avevano già divorziato, e avevano aspettato il giorno del mio ottavo compleanno per farlo.

Quella mattina mi sentivo la bambina più felice del mondo: appena sveglia, corsi al piano di sotto in cucina - evitando per un pelo di ruzzolare giù per le scale - per fiondarmi sulla pila di regali che la mia famiglia aveva sicuramente incartato in modo così meticoloso per il mio compleanno, come aveva sempre fatto ogni anno a questa parte.
Ma, appena varcata la soglia, rimasi pietrificata sul posto: anziché decine di pacchetti allineati e infiocchettati - come mi avevano promesso mia madre e le mie sorelle - intorno al tavolo di marmo c'erano i miei genitori, seduti uno di fronte all'altro, ed Evelyn e Demetria, le sorelle maggiori migliori del mondo. Mia madre, intanto, sotto il nostro sguardo perplesso e sgomento, sembrava trattenere le lacrime a stento.

Mio padre, invece, austero e accigliato come sempre, non appena misi piede in cucina, mi fece cenno di sedermi vicino a lui. Avevo solo otto anni, ma - modesta affermazione - ero molto intelligente per la mia età: declinai gentilmente l'offerta e presi posto tra le mie sorelle, che mi lasciarono prontamente un po' di spazio.

Mi sentivo leggermente sotto pressione, come quando il medico mi aveva ordinato di accomodarmi sul lettino per fare il vaccino. "Sentirai solo un piccolo pick", mi aveva avvisata, eppure avevo avvertito un dolore un tantino più forte quando quel colosso burbero mi aveva infilato l'ago nella carne.

- Io e vostra madre abbiamo concluso le pratiche di divorzio. - ci informò nostro padre con il suo solito tono apatico. - Dovrete scegliere con chi vivere. Ora. -

Anziché pick, questa volta sentii un crack proprio all'altezza del petto. Pensai che mi si fosse rotto il "tubicino dell'impianto idrico" - come lo definiva spesso mia sorella Demetria - perché scoppiai in lacrime.

Mia madre mi fissò per qualche lungo istante, mentre una piccola lacrima le scendeva sul viso stanco, ed Evelyn cercò di calmarmi, abbracciandomi stretta e sussurrandomi parole di conforto.

Quando poi mi staccai da mia sorella, notai mio padre guardarci con astio. Nei minuti seguenti, ci sforzammo tutte e tre di riavvicinare i nostri genitori e cercare di arginare il "sottile" problema dell'imminente divorzio, ma, come spesso accadeva in casa, mio padre dopo un po' irruppe in un discorso di rimprovero con i fiocchi, mentre mia madre scosse la testa affranta e, dopo essersi alzata, si avvicinò alla teca dei vini da esposizione e prelevò una bottiglia di Chateau d'Yquem del 1964.

La stappò e ne versò un po' in un bicchiere, che si portò delicatamente alla bocca, e ci si bagnò le labbra. Una cosa che aveva sempre accomunato i miei genitori era il gusto raffinato per il buon vino, per cui avevano spesso speso cifre esorbitanti. Infatti, fin da quando eravamo piccole, noi povere figlie eravamo soggette alle lunghe lezioni di mio padre tenute nella sua enorme cantina, in cui ci illustrava una ad una ogni preziosa bottiglia di vino pregiato. Di solito quelle bottiglie erano definite "le Intoccabili", ma a volte, in situazioni delicate come quella, erano soliti stappare una delle migliori bottiglie come segno di buon augurio. In una situazione simile faceva quasi sorridere il pensarla come un buon augurio.

Intanto, mio padre unì le punte delle dita sul tavolo e si allontanò leggermente, assumendo una posizione quasi più minacciosa del solito. Ci fissò una ad una, come se fossimo state cavie da laboratorio. Quando alla fine il suo sguardo cadde su di me, mi guardò un momento con riluttanza, poi infilò una mano nella costosa giacca e ne tirò fuori un fazzoletto ricamato e me lo porse.

Ringraziai con un mesto sorriso, ma mio padre non si scomodò neanche nel rispondermi garbatamente. Quando il quadro familiare fu completo, lui scambiò due rapide parole con l'ormai ex moglie e si alzò dalla sedia, sistemandosi la giacca.

- Comunque... - disse lui a mezza voce. - Buon compleanno, Audrey Whitney. - mi augurò prima di andare al lavoro e uscire per sempre dalla nostra vita.

Mio padre era sempre stato un uomo piuttosto severo, che adorava il vino tanto quanto un contratto ben riuscito. Era solito chiamarci con entrambi i nomi di battesimo e, francamente, non ne avevo mai capito il motivo.

Quello stesso giorno, venimmo a sapere che nostro padre si sarebbe trasferito a New York per lavoro, lasciando moglie - o meglio, ex moglie - e tre figlie in Ohio.

La perdita maggiore non fu dal punto di vista economico - nostra madre discendeva da una famiglia di duchi piuttosto ricchi e famosi -, ma ci segnò profondamente, tanto che continuammo comunque la nostra vita nello stesso Paese, nella stessa casa, con gli stessi amici, ma non potevamo sapere che non saremmo mai più state le stesse.

|Spazio dell'autore|

Ciao a tutti! Vi ringrazio per aver letto questo primo capitolo. So che la storia sembra un po' depressa e lenta, ma vi prometto che, con il passare del tempo, la storia prenderà una piega diversa e uscirà da questa fase di depressione. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate una volta andati avanti con la narrazione. Buona lettura e a presto,

Crystal :)

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