Capitolo 6

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Ecco il volo che bramavo tanto di spiccare: Roma, ore 14:30, giorno 11 agosto. Mancavano solo due giorni e dovevo trovare il modo di far cambiare idea a mia madre. Era un passo nel buio e contavo sul fatto che in realtà non lo voleva neanche lei.

Ma quello era il giorno del mio compleanno e mi sarei divertita.

Corsi in camera e mi gettai sul letto in preda a una crisi isterica. Cosa avrei fatto? Che ne sarebbe stato della felicità che avevo ottenuto dopo tanto tempo in modo così difficile? Tutte le certezze che avevo si stavano sgretolando davanti ai miei occhi, di nuovo. Non avrei vissuto Roma come la città dei negozi e dei vestiti firmati, ma come il luogo dove vivere con mio padre.

Mentre prendevo a pugni il materasso, sentii qualcuno salire sul petto. Mi abbracciò forte, mi fece calmare e rimase con me, condividendo il mio dolore. Sapevo chi era, senza aver bisogno di aprire gli occhi: Tay era sempre lì quando avevo bisogno di una spalla su cui piangere, ma in quel momento non sarebbe bastata una diga per arginare il mio dolore.

Mi addormentai promettendo a me stessa di non versare neanche una lacrima. Quando mi svegliai, mi ritrovai da sola nel mio enorme letto freddo. Cercai Tay, tenendomi la testa con una mano e la pancia con l'altra. Tra la sbornia e la notizia del viaggio mi sentivo come se un camion mi fosse passato sopra avanti e dietro. Scesi dal letto controvoglia, infilai le pantofole e mi avviai verso la cucina. Avevo un passo lento e strascicato e non avevo la benché minima intenzione di fare qualcosa. Ora non avevo più voglia di convincere mia madre a cambiare idea: avrei trovato un modo per rimanere in Ohio. E poi, tutto sommato, se lei mi stava scaricando all'ex marito, evidentemente la mia presenza lì non era più gradita.

Scesi piano le scale e sentii delle voci indistinte provenienti dalla cucina.

Riconobbi solo una delle due voci, quella che gridava più forte: Tay.

- Non la puoi abbandonare in Europa con un uomo come suo padre! - stava gridando lui. - Le ha già rovinato la vita una volta; non lasciarglielo fare di nuovo. -

- Non sei tu che devi scegliere. - riconobbi l'altra voce con un tuffo al cuore: era mia madre.

Tay stava tentando di convincere mia madre a farmi restare. - Non hai dato la possibilità di scelta neanche a lei! Andiamo, Joanne, sai anche tu che se potesse scegliere resterebbe qui sempre e comunque. -

- Neanche io ho potuto scegliere. - la voce di mia madre suonava affranta. - So solo che questo è meglio per lei. -

- No, non lo è! - il tono di Tay mi fece saltare. - Sono stato io a riportarla tra i comuni mortali quando stava passando un brutto periodo. L'ho sempre difesa come se fosse mia sorella! E io so quanto la distruggerai spedendola a Roma! -

Mia madre sembrò tentennare per un momento. Il discorso conciso di Tay aveva colpito anche me.

- Non cambierò idea, Taylor. - concluse mia madre dopo un po'. - Audrey andrà a Roma con il padre. Fine della storia. -

Tornai in camera mia in punta di piedi. Mi sedetti sul letto e contai fino a tre. Allo scattare dell'ultimo numero una furia brillantata entrò in camera, sbattendo la porta.

- Quella donna è impossibile! - urlò Tay esasperato. - Ora capisco perché la figlia è tanto testarda! -

Continuò a borbottare facendo avanti e indietro per la stanza, a volte alzando le braccia al cielo, altre volte irrompendo in gridi acuti tipici di quando era arrabbiato. Non lo avevo mai visto in quelle condizioni: quando si arrabbiava, il suo momento no durava al massimo trenta secondi, eppure ora erano più di cinque minuti che camminava e borbottava. Ero sicura che avrebbe fatto un solco sul pavimento.

- Tay. - Gli dissi a un tratto. Il mio tono dolce lo fece arrestare. - Vieni a sederti accanto a me. -

Lui ubbidì. - Mi dispiace, Audrey. -

- No. Non devi dispiacerti. -

- E invece sì. - si passò nervosamente una mano tra i capelli pieni di lacca. - Ieri tua madre mi aveva accennato di Roma e mi aveva proibito di parlartene. E io le ho dato retta. Ma non avevo collegato Roma con tuo padre. -

Ecco spiegato il comportamento del soggetto x il giorno del mio compleanno. Sapeva di Roma e non me lo aveva riferito.

- Mi potrai mai perdonare? - mi chiese con le lacrime agli occhi. A volte sembrava lui la mia sorellina minore. Mi chiesi se non fosse bipolare: un minuto prima stava imprecando contro il gene testardo della mia famiglia e un minuto dopo mi stava facendo gli occhi da cucciolo bastonato.

- Ti ho perdonato quando mi hai buttato tutte le magliette larghe. - risposi con un sorriso. - Questa svista neanche la considero. -

Lui sorrise a sua volta e alzò le spalle. - Quelle magliette erano troppo grandi per te. E poi erano così fuori moda... -

Scoppiammo a ridere e rimanemmo abbracciati per un po'. Era come se il tempo si fosse fermato; non esisteva nessun altro oltre noi due: problemi, viaggi e genitori erano stati rinchiusi per un attimo in una scatola e riposti in fondo a una soffitta polverosa.

Quando ci staccammo, era come se parte dello spirito combattivo di Tay fosse entrato nel mio corpo. Mi sentivo forte, capace di trascorrere un paio di settimane a Roma. E poi avrei passato i pomeriggi in giro per la città, tra negozi e viste panoramiche mozzafiato. Sarei tornata a casa solo per dormire.

Mi sentivo forte. Ero forte. "Roma: sto arrivando!"


Io e Tay trascorremmo il pomeriggio a fare le valigie. O meglio, a disfare le valigie: io mettevo un vestito dentro e lui lo toglieva, rimpiazzandolo con qualcosa di più raffinato.

Così dopo quattro strazianti ore di metti/togli, terminammo il lavoro: riempimmo un'enorme valigia blu, un trolley celeste e un beauty case abbinato. Dio solo sa come Tay avesse fatto entrare letteralmente di tutto in quello spazio così piccolo.

Poi ci buttammo sul letto, esausti, ammirando il frutto del nostro lavoro.

- Credi che il beauty case scoppierà? - gli chiesi.

- È probabile. - rispose lui con un'alzata di spalle. - Cerca solo di non aprirlo in aeroporto o ti sbatteranno in prigione per tentata strage di massa. -

Annuii, eppure il suo discorso mi fece sorridere. Sapevo che sarebbe durato poco, ma ero convinta che Taylor mi sarebbe mancato tantissimo. Cambiai espressione in poco tempo, torcendo le coperte sotto di me.

Tay mi prese le mani, se le portò alla bocca e le baciò delicatamente. - Mi mancherai anche tu, raggio di sole, ma siamo in un'epoca in cui gli aggeggi elettronici possono farci rimanere in contatto. -

Sorrisi all'idea di un Taylor arrabbiatissimo che non riesce a collegare una chiavetta USB al computer perché ha sbagliato verso. - Prometti che non mi rimpiazzerai? - Sapevo di sembrare ridicola, ma non mi importava: Tay era il mio migliore amico e non volevo perderlo per nessun motivo.

- Ehi, sai che non farei mai una cosa del genere. Se ti abbandonassi, chi penserebbe al tuo outfit? -

Sorrisi. Era esattamente ciò che volevo sentire.

- E ora, - disse lui a un tratto. - Principessa degli Abiti Scoordinati, vorrebbe concedermi l'onore di accompagnarla al cinema? -

- Certamente, Cavaliere delle Isole Brillantine. - riposi io, allungandogli una mano. Lui la prese e scendemmo le scale come due idioti, ma non sarei potuta essere più felice. Trascorremmo la serata nella sala proiezioni, godendoci una maratona di Harry Potter: amicizia, amore, sacrificio e, perché no?, magia era ciò che mi aspettava a Roma.

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