Capitolo 23

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Il mattino seguente mi svegliai con una forte emicrania. Guardai il telefono e sussultai nel vedere l'ora: era mezzogiorno passato. Corsi in bagno, mi lavai, mi vestii e cercai di coprire le occhiaie come meglio potevo, aggiungendo almeno due strati di trucco.

Mi guardai allo specchio, aggrottando le sopracciglia nel vedere i capelli arruffati. Decisi di legarli in una coda alta, ma la testa mi pulsava ancora di più per aver legato i capelli tanto stretti. Alla fine optai per uno chignon largo, da cui fuoriuscivano diverse ciocche di capelli.

Mi diressi in cucina strusciando i piedi. Sebbene la casa mi fosse sembrata deserta, Lucia era indaffarata a cucinare qualcosa di verde e inconsistente, mentre Filippo stava giocando con i Lego poco lontano dall'entrata di casa.

Appena mi vide, Lucia mi elargì un grosso sorriso. – Buongiorno, dormigliona! È andato tutto bene ieri? –

Annuii e chiesi un bicchiere d'acqua e un'aspirina. Lucia mi consegnò la medicina e si sporse per prendere un bicchiere dalla credenza. Deviai lo sguardo nel vedere i suoi fianchi trasbordare dai leggings leopardati troppo attillati.

Bevvi tutto d'un sorso, aspettandomi la ramanzina per essere tornata tardi la notte precedente, ma lei continuò a mescolare quella sostanza verde senza aggiungere altro. Quindi mi avviai verso il salone, dove Filippo aveva appena costruito qualcosa di grande e colorato. Mi sedetti sul divano e lui mi sorrise mestamente.

– Vuoi giocare con me? – mi chiese, allungando un pezzetto giallo verso di me.

Io lo presi e mi feci scivolare a terra, mantenendo la schiena attaccata al divano. Lui si avvicinò e mi porse la scatola dei Lego. Poi mi mostrò la sua creazione.

– È un fuoristrada. – mi spiegò. Allungai una mano per guardare da vicino l'automobile: effettivamente, se per automobile s'intende qualsiasi oggetto non meglio definito che poggi su quattro ruote, allora quella era una macchina. Gli sorrisi, evitando di fargli notare che il suo fuoristrada non aveva neanche le ruote tutte uguali.

– Posso farne uno anche io? – gli chiesi.

Lui annuì soddisfatto. – Speravo che lo dicessi. –

Trascorsi la seguente mezz'ora a costruire un fuoristrada nel modo migliore possibile – non che volessi far colpo su quel piccoletto, ovvio; volevo solo divertirmi un po': iniziai con un pezzo grigio a cui attaccai quattro ruote gradi e uguali tra loro dotate anche di parafanghi; costruii il muso della macchina, attaccai targa e fanali su entrambi i lati, lavorai sulla cabina del guidatore, munita anche di specchietti retrovisori, e infine aggiunsi anche un pick up dotato di luci fosforescenti.

Alla fine del lavoro, mostrai con orgoglio il mio fuoristrada al bambino, come se fossi tornata anch'io ad avere la sua età. – Ti piace? – Gli chiesi a mezza voce.

Lui annuì con vigore e allungò la mano per prenderlo. Lo ispezionò a fondo, come un acquirente guarda un'automobile prima di comprarla. Alla fine, soddisfatto, mi fece l'occhiolino.

– Questo me lo tengo io. – decretò. – Se vuoi puoi prendere il mio. –

Lo ringraziai. – Tra tre giorni torno a casa, piccoletto. –

Lui alzò le spalle. – In questo modo posso tenermi il Millennium Falcon. E comunque mi fa piacere dartelo. –

Giocammo ancora un po' con i Lego, mentre l'aspirina faceva effetto. Per l'ora di pranzo il mal di testa era notevolmente diminuito e ci sedemmo tutti e tre a tavola. Quel poco di fame che aveva scomparve del tutto quando Lucia mi riempì il piatto con quella poltiglia verde fumante, definendola minestrone di verdure. Io e Filippo ci guardammo a vicenda con sguardo complice.

Quando fummo tutti seduti a tavola, qualcuno bussò alla porta. Lucia andò ad aprire e sulla soglia della cucina apparve l'ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento: Marshall.

– Buongiorno. – Ci salutò, anche se il suo sorriso era riservato esclusivamente a Filippo. Non ne fui affatto gelosa, ma lo notai semplicemente.

Abbassai gli occhi sul mio piatto fumante, ma non riuscii neanche a impugnare il cucchiaio. Odiavo il minestrone, soprattutto quando aveva una consistenza come quella.

Marshall parve notare le nostre espressioni facciali, quindi chiese a Lucia se poteva portarci a fare un giro al parco, dato che aveva in programma di portarci a fare un picnic.

– Ma stanno già pranzando! – esclamò lei, mangiando con foga il suo piatto di minestrone. – Oggi è il giorno delle verdure! –

– Puoi fare uno strappo alla regola, solo per oggi? Per favore... – Marshall mostrò la sua più convincente faccia da cane bastonato e in quel momento rividi il bambino tutt'ossa che era stato un tempo. Poi tornò a sorridere come suo solito e io mi ritrovai a sbattere le palpebre un paio di volte.

Alla fine Lucia sbuffò convinta. – D'accordo, mi hai convinto. Ma vi voglio qui alle sei. –

– Non vieni con noi? – chiese Marshall.

Nonononono! – rispose Lucia scuotendo con foga la testa. Il seno, in quel grande sballottamento, minacciava di uscirle dal top. – Devo sistemare il mio armadio. Ieri ho comprato un sacco di vestiti nuovi e ora devo metterli a posto nell'armadio ordinandoli per colore, taglia e utilità. –

La guardammo tutti per un momento, poi Marshall le sorrise. – Va bene, allora prometto che te li riporterò sani e salvi per le sei. –

Lucia gli sorrise sornione. – Allora a dopo, cucciolotti! –

Ci accompagnò alla porta di casa, diede a Filippo un piccolo zainetto colorato – che Lucia aveva riempito con la merenda, un pacchetto di gomme e tanti oggetti inutili – e ci salutò con un gesto della mano tanto ampio che un anziano signore che stava rientrando in quel momento in casa si guardò prima intorno spaesato, poi rientrò nel suo appartamento il più velocemente possibile.

– Sei pronto? – chiese Marshall a Filippo, prendendolo per mano.

Il bambino annuì con foga. – Prontissimo! – 

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