Capitolo 11

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 Quel pomeriggio uscii a comprare l'ambito peluche per il bambino. Avevo avvisato mio padre che non sarei tornata per cena; quindi presi alcuni dei soldi che mia madre mi aveva fatto cambiare dalla banca – circa centocinquanta euro – e nascosi gli altri – compresa la carta di credito – nelle scarpe da ginnastica sotto il letto.

Mio padre non si scompose; la moglie mi diede una cartina di Roma che, aperta, era lunga almeno un metro e mezzo. Aveva cerchiato i negozi che secondo lei dovevo per forza vedere – grandi marche di vestiti o gioiellerie particolarmente costose – e la linea della metropolitana per raggiungerli.

Mentre uscivo da quel covo di pazzi mi sorse un dubbio: mi aveva indicato quei negozi perché voleva un regalo anche lei? Alzai le spalle e continuai a camminare per la strada. Non lo aveva esplicitato, quindi non avrei dovuto preoccuparmene.

Seguii ben poco la cartina che avevo – quella donna si era divertita a colorare tutte le strade di Roma! – e, dopo essermi persa un paio di volte tra la folla, prendendo anche la linea della metropolitana sbagliata, riuscii a uscire su via del Corso, la via di Roma completamente piena di negozi, solo grazie a una gentile anziana con cui avevo parlato in metropolitana.

Uscita su via del Corso, non riuscii a credere ai miei occhi: era una strada piuttosto stretta, ma affollatissima, con decine e decine di negozi diversi. Entrai in un minuscolo negozio di dolci e comprai qualche marshmallow; poi mi misi in cerca del peluche. Il caldo non aiutava: seguivo la gente che camminava sfruttando le ombre degli edifici e che accelerava il passo dove la strada era arroventata dal sole.

Dopo svariati minuti di inutile ricerca, vidi in lontananza, come in un miraggio, una vetrina piena di peluche. Mi avvicinai velocemente sgomitando tra la folla. Quando entrai lì dentro, rimasi a bocca aperta: era un enorme negozio pieno di peluche di tutte le taglie. C'era perfino una cuscino con la faccia di Yoda di Star Wars!

Ciondolai per diverso tempo davanti ai vari pupazzetti e alla fine scelsi qualcosa per il piccoletto: una fedele riproduzione di un cucciolo di husky, con tanto di collare e piastrina personalizzabile. Fiera del mio acquisto, tornai a casa impiegando relativamente poco tempo – un'ora e mezza per la precisione, tre quarti d'ora in meno dell'andata. Stavo migliorando: mi ero dimenticata di scendere alla fermata giusta della metro una sola volta e avevo sbagliato appartamento – avevo bussato a un'anziana signora che insisteva sul fatto di volermi dare qualcosa da mangiare.

Stavo anche incrementando il mio italiano: capire le persone non era mai stato un grande problema, visto che studiavo la lingua da abbastanza tempo, ma il dover seguire un discorso con tutti quei gesti a volte mi confondeva le idee. Anche il fatto di dovermi preoccupare sempre di coniugare il verbo nella forma giusta mi faceva perdere molto tempo, ma mi piaceva imparare sempre qualcosa di nuovo.

Quando finalmente trovai l'appartamento di mio padre, non feci in tempo a bussare che una piccola furia spalancò la porta e uscì sul pianerottolo. Quando mi vide, fece un gran sorriso e indicò la busta colorata che avevo in mano.

– È per me? – chiese il piccoletto.

Io annuii e gliela porsi. Diciamo che me la strappò dalle mani, ma il senso è lo stesso. Lui restò esterrefatto nel vedere il suo regalo.

– È un cane! – urlò con gioia.

– Uhm... Sì. –  risposi sorridendo, senza sapere bene come comportarmi. – Ti piace? –

Lui annuì convinto. Stavo per chiedergli dove fossero i suoi genitori, ma la mia domanda fu stroncata sul nascere da un urlo disumano proveniente dal salone.

– Filippo! Sai che non devi uscire da solo! Non aprire agli sconosciuti! Potrebbe essere un... –  Lucia si bloccò all'istante sulla soglia della porta, vedendomi fuori dall'appartamento. – Oh... sei tornata. –

Come se avessi potuto nascondermi da loro.

– Hai trovato i negozi che ti avevo detto? – riprese a gesticolare. – Uhm... shops...? –

– Sì. – risposi. Magari era una piccola bugia, ma non potevo dirle che non avevo capito nulla della sua mappa, altrimenti avrebbe ricominciato a parlare, sicura che io l'avrei ascoltata. – Oh. Comunque, tanto per la cronaca, capisco abbastanza bene l'italiano. –

Lei sembrò profondamente sorpresa e turbata.

– Mamma, guarda! – disse a un certo punto il piccoletto, tirando la gonna leopardata della madre. – Un regalo per me. –

– Oh... – rispose lei semplicemente. Non sembrava affatto convinta. – Glielo hai comprato tu? – Quando annuii, lei fece un cenno con il capo e sparì in camera da letto, dopo essersi accertata che il figlio fosse rientrato e che io avessi chiuso la porta.

Mentre il bambino portava a spasso il peluche in salone, raccomandandosi più volte affinché quello non facesse i suoi bisogni a terra, io mi fermai in salone e studiai la stanza; lo stile era moderno, sebbene spuntasse vicino alla finestra una vecchia mensola che stonava con il resto dei mobili. Sopra erano ammassati diversi libri dall'aspetto piuttosto antico. Mi avvicinai per leggerne uno, quando una voce mi fece sobbalzare.

– Sei tornata. – disse mio padre con una sfumatura di sorpresa. Avrei voluto rispondere che dovevo tornare, se non volevo dormire sotto un ponte, ma mi limitai ad annuire.

Lui, non sapendo bene che fare, spostò lo sguardo da me alla mensola e viceversa. – Sono vecchi libri appartenuti al nonno di Lucia. Sei interessata alla letteratura? –

– Se ogni tanto ti fossi degnato di chiedermelo, ora conosceresti i miei interessi. – risposi, più acidamente di quanto avrei voluto.

Lui mi guardò un attimo, sorrise tristemente e si girò verso il corridoio. Poi si fermò e si voltò parzialmente. – So che mi odi. E hai tutte le ragioni per farlo. Ma almeno una volta prova a vedere anche dal mio punto di vista. – Stavo per rispondergli che non esistevano scusanti all'abbandono di minori, ma lui chiuse gli occhi. – Grazie per il regalo di Filippo. Non era tuo dovere. –

– No, non lo era. –

Fece una pausa. – Vado a letto. Se vuoi cenare è rimasto qualcosa in frigo. Oppure puoi prepararti... –

– Non ho fame, grazie. – lo interruppi.

Lui annuì, mi guardò ancora per un attimo e sparì oltre il corridoio.

Attesi lì, in piedi, che si ritirasse nella sua camera prima di infilarmi nella mia. Fortunatamente avevo un bagno tutto per me, da cui si poteva entrare solo dalla mia stanza, quindi mi lavai e mi infilai il pigiama. Tay scelse proprio quel momento per scrivermi.

"Ciao, raggio di  sole". Mi mandò una faccina che mostrava la lingua. "Come è andato questo primo giorno nella grande città della moda?"

"È andato."

"E..."

"E cosa?"

"Mio Dio, Edith, non vorrai tenermi sulle spine! Voglio sapere tutto."

"Non c'è niente di nuovo da sapere."

"Hai comprato il regalo per il bambino problematico?"

Sorrisi leggendo il messaggio. "Gli ho preso un cucciolo di husky."

"La madre ti ucciderà appena lo verrà a sapere!"

Scossi la testa, ridendo del fatto che Tay prendeva sempre troppo sul serio quello che dicevo. "Ora vado a letto. Sono un po' stanca."

Mi mandò una faccina scandalizzata. "Dormi anziché andare in giro a reclutare begli italiani? Sorella, mi deludi! Comunque... buonanotte, raggio di sole."

"Notte, Tay."

Riposi il telefono sul comodino e sbadigliai. Poi mi sistemai sotto la sottile coperta rosa e impiegai diversi minuti per trovare una posizione comoda. Quel materasso era proprio scomodo. Chiusi gli occhi e mi addormentai, pensando ancora alla città illuminata che avevo visto dall'aereo.

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