Marshall mi invitò con lo sguardo a stendermi sul telo accanto a loro. Prima mi sedetti, poi, imitandoli, mi stesi su un fianco, reggendomi la testa con una mano. Era bellissimo vederli mentre si comportavano da veri fratelli, come se fossero stati migliori amici o qualcosa del genere.
Dopo diversi minuti di finta lotta tra i due, si stesero sul telo e parlammo un po' insieme del più e del meno, senza avere realmente qualcosa di intelligente da dire. Rimanemmo nella villa fino alle cinque e mezza. Quando Marshall si rese conto dell'orario, evitò per poco un colpo al cuore.
– Mi dispiace, ma dobbiamo tornare. – Quando Filippo iniziò a fare i capricci perché non voleva tornare a casa, Marshall usò la tattica del "tua mamma ci ucciderà se non rientriamo per le sei" ed eccezionalmente il bambino non disse più niente.
Riprendemmo la metropolitana e questa volta trovammo due posti a sedere. Marshall fece sedere Filippo sulle sue ginocchia e continuammo a parlare di qualsiasi cosa finché non arrivammo a casa.
Salimmo a piedi le cinque rampe di scale che portavano all'appartamento di mio padre. Alla fine chiesi a Marshall da quanto tempo fosse claustrofobico, visto che, quando eravamo piccoli, ci infilavamo nei posti più angusti senza problemi.
– Da quando mio padre mi ha chiuso nel furgone per trasferirci in Italia. – rispose lui senza emozioni.
Era sul punto di aggiungere qualcosa, ma Filippo suonò il campanello e poco dopo Lucia comparve sulla soglia della porta e ci invitò tutti dentro con un abbraccio di gruppo. Ci stritolò come fa un boa con la sua preda e alla fine ci lasciò andare.
Lucia guardò il figlio. – Saluta. –
Filippo la guardò un po' di sbieco, ma alla fine saltò in braccio a Marshall, che lo prese prontamente tra le braccia e lo baciò su una guancia. –
A presto, ometto. –
Lucia e Filippo sparirono in cucina e io rimasi sulla soglia della porta a fissarmi le mani. Brutta cosa l'imbarazzo...
– Okay. – iniziai io. – Devo andare. –
Lui annuì e mi guardò. Io riuscii a leggere la speranza nei suoi occhi verdi. – Ti sei divertita? –
– Molto! –
Annuimmo entrambi e calò ancora il silenzio. Alla fine Marshall si avvicinò come a chiedermi il permesso e mi posò un bacio sulla guancia. – A presto, Audrey. –
Si girò e scese le scale in modo composto, senza voltarsi indietro. Maledii la mia lingua per essere improvvisamente diventata molle nel momento del bisogno, anche se non ne aveva nessun motivo. Prima di rientrare in casa, mi passò per la mente un piccolo, malizioso pensiero: Marshall ha davvero un bel didietro.
Trascorsi la giornata seguente con Filippo: mio padre era al lavoro come sempre e Lucia era andata a fare shopping con delle sue amiche – ossigenate e oche esattamente come lei – avvertendoci che il pranzo era nel frigorifero.
Passammo la mattina a vedere cartoni animati di Tom e Jerry – che riscoprii essere davvero divertenti – e giocando con i lego. Filippo era molto creativo: non costruiva enormi costruzioni, ma faceva molta attenzione ai particolari da attaccare a una piccola macchinina o una stanzetta ben arredata.
Giocammo anche con la sua x-box: aveva molti giochi particolari, che andavano da giochi di guerra al calcio a giochi meno divertenti. Mia madre, anche se eravamo tutte donne, aveva dedicato una stanza alla sala hobby per le ragazze, in cui aveva fatto sistemare una TV a 80 pollici e diverse consolle di gioco. A volte usavamo la stanza per giocare a Just Dance e ci divertivamo moltissimo vedendo nostra madre che cercava di tenere il passo dei ballerini e finivamo sempre con il ridere a crepapelle, mentre Demetria, l'unica che aveva preso lezioni di ballo, sbatteva i piedi frustrata perché affermava che, per colpa nostra, la nostra squadra aveva perso moltissimi punti.
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Just friends
Teen FictionAudrey è una ragazza con un passato difficile: da piccola è stata abbandonata da suo padre e dal suo migliore amico, situazione che l'ha costretta a costruire intorno a sé un muro di sfiducia e incertezza e che pian piano l'ha spinta nel baratro del...