Capitolo 73

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Marshall rimase da me per un po', giusto il tempo di aiutarmi a preparare il pranzo - quella lasagna con le zucchine era spettacolare - e mangiare la meta' di cio' che avevamo preparato.
- Sono uffialmente pieno. - decreto' lui, lasciando cadere la forchetta sul piatto vuoto.
Lo fissai. - Sei pieno solo dopo tre piatti di lasagna? Marshall, mi deludi. -
Lui scoppio' a ridere. - Hey, lo so. Sto invecchiando. Ormai non mangio piu' come una volta. -
- Mi ricordo quella volta in cui, da piccoli, avevamo cucinato una torta gigante al cioccolato e mia mamma ci aveva fatto promettere che ne avremmo lasciata un po' per le mie sorelle. - sorrisi. - Ma, quando ti dissi che le mie sorelle mi avevano trattata male quella settimana e non volevo che assaggiassero la nostra torta, tu ti sei offerto volontario per mangiare tutto cio' che rimaneva dopo che ne ebbi preso un pezzo. -
Lui fece una smorfia. - A volte ho ancora gli incubi: quella torta mi ha fatto stare male per un mese. -
- E tua mamma ti aveva messo in punizione per due settimane! - gli ricordai.
- Tre. - mi corresse lui. - La prima era solo per cercare di tenermi d'occhio mentre il mio stomaco cercava di assimilare tutte quelle calorie. -
- Eppure non hai mai messo su neanche un grammo. - commentai, incrociando le braccia sotto il seno.
Lui si pavoneggio'. - Ovviamente, e' questo che fa di me un ragazzo cosi' spettacolare. -
Alzai gli occhi al cielo, poi presi i piatti che avevamo usato e li misi nella lavastoviglie. Lui mi fu subito accanto con bicchieri e posate e io lo ringraziai con sguardo sincero.
Mentre facevo partire la lavastovoglie, sentii lo sguardo di Marshall sempre fisso sulla mia nuca. Alla fine decisi di girarmi verso di lui e lui mi fisso' per un momento, senza vergogna.
- Mi dispiace, Audrey. - Inizio' lui, senza smettere di guardarmi negli occhi. - Mi dispiace di non esserti stato accanto. -
- Non e' stata colpa tua. - gli ricordai. - I tuoi genitori... -
- Non per quello. - mi interruppe lui. All'improvviso decise che sarebbe stato meglio evitare il mio sguardo. Si passo' una mano dietro la nuca. - Per come mi sono comportato in tutte queste settimane. Io... Non so come dirtelo, ma adesso che ti ho ritrovata non voglio perderti di nuovo. E l'idea che tu sia la sua fidanzata non mi va a genio. -
Mi guardo'. - Ci tengo a te, Audrey. Ci tengo davvero. Ma non posso continuare cosi'. Sto perdendo me stesso in tutto questo. Mi sono ritrovato ubriaco fradicio su un ponte in mezzo a persone che mi fissavano come se fossi un alcolizzato. Eppure l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era il bacio che vi stavate scambiando. -
- Hey, non e' colpa mia se hai eccessi di rabbia! -
Chiusi immediatamente la bocca non appena incrociai il suo sguardo rovente.
- Non e' cio' che ho detto. - rispose invece lui, fissandomi. - Penso solo che tu abbia bisogno di tempo per capire cosa vuoi davvero. -
Sentii un groppo in gola. Quelle parole rispecchiavano completamente il discorso che Francesco mi aveva fatto il giorno precedente.
Lui parve notare il mio cambio di umore, ma lo fraintese completamente. - Non voglio che tu ti sents in colpa per cio' che e' successo. -
- Non lo sono. - risposi io, vivacemente.
Lui non sembro' apprezzare la mia risposta. - Bene. Ora devo andare. -
- Bene. - non sapevo perche', ma il fatto che piu' di una persona pensasse di potermi dire cosa fare della mia vita mi aveva sempre dato fastidio.
- Bene. - ripete' lui, per la seconda volta. Poi si diresse verso la porta d'ingresso. - Grazie per il pranzo, comunque. -
Annuii in risposta e lui, dopo un primo momento in cui pensai che avrebbe aggiunto qualcosa, scosse la testa e usci' sall'appartamento, chiudendosi la pirta alle spalle con un tonfo.
Io, in preda a un mini esaurimento nervoso, presi uno dei cuscini del divano nel salone e lo lanciai non forza contro la porta.
Poi ne presi un altro e ci seppellii la faccia, scaricando tutta la mia tensione.
Ero cerca di una sola cosa: sarebbe stato un lungo periodo.

Trascorsi le prime due settimane senza vedere nessuno dei due. Evitare Marshall non era difficile: lui frequentava posti diversi dai miei e non si avvicinava alla scuola nemmeno se aualcuno lo avesse pagato.
Poi c'era Francesco: la sua classe si trovava esattamente accanto alla mia, ma facevo di tutto per non incontrarlo, dall'evitare di passare la ricreazione nella sua classe al trovare un passaggio alternativo per non incontrarlo nei corridoi.
Verso la meta' di ottobre Noemi, durante la lezione di letteratura italiana, mi passo' un bigliettino.
"Guai in paradiso?"
Le lanciai un'occhiataccia. Quella mattina Ella le aveva chiesto se poteva passare la giornata seduta accanto a lei, visto che stava pianificando di uscire con il cugino di Noemi e non sapeva assolutamente nulla di lui.
"Ci siamo solo presi una pausa." Scrissi in risposta, prima di passarle il foglietto di carta.
Lei sbuffo' e alzo' gli occhi al cielo.
"Vecchia coppia..." mimo' con le labbra, prima di portarsi un dito alla bocca e fare finta di vomitare.
- Qualcosa non va, ragazze? - chiese acidamente il professore, riportando la nostra attenzione sulla lavagna.
Noemi scosse la testa. - Mi scusi, professore. Lui inarco' un sopracciglio, la fisso' per un momento e poi ricomincio' a spiegare.
La giornata fu davvero lunga, piena di interrogazioni e deviate per non incontrare Francesco.
Quando la campanella annuncio' la fine di quel faticoso giorno di scuola, presi la mia roba e mi fiondai fuori dal portone.
Noemi mi fu accanto dopo neanche due minuti. - Hey, non volevo farti arrabbiare. -
Lanciai un'occhiata veloce all'orologio che avevo al polso: l'autobus sarebbe passato in pochi minuti.
- Non preoccuparti. - le risposi, raggiungendo la fermata dell'autobus con passo rapido. - Va tutto bene, non devi scusarti. -
Lei fatico' a stsrmi dietro. - Okay. Volevo essere sicura che fosse tutto a posto. -
- Tutto a posto. - ripetei con tono piatto.
- Eppure questi giorni tu e Francesco sembrate essere due estranei. -
Mi bloccai di colpo e lei per poco non mi fini' addosso.
Vidi l'autobus avvicinarsi. - Francesco e io stiamo lavorando insieme a questa cosa. Stiamo solo decidendo cosa fare, visto che prima o poi me ne dovro' tornare a casa. -
Lei sembro' sorpresa dal mio tono duro. - Okay... Mi dispiace che tu l'abbia presa cosi'. -
Sbuffai. L'autobus si fermo' esattamente davanti a me, apri' le porte e io saltai dentro.
- Chiamami se ti serve qualcosa! - urlo' lei, mentre le porte si richiudevano.
Io le annuii, chiudendo gli occhi per un secondo: il fatto che i miei affari fossero diventati gli affari di tutti mi dava davvero fastidio.

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