Capitolo 79

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Marshall guardo' Gabriele come se gli fosse appena spuntato un corno in mezzo alla fronte, ma non disse niente.
Decidemmo che era il momento di tornare a casa, visto che Lucia aveva chiamato Marshall almeno cinque volte nell'ultimo minuto per accertarsi che suo figlio sarebbe tornato a casa il prima possibile.
Fuori dall'edificio, Filippo si affianco' a Gabriele.
- Sei davvero bravo a bowling! - commento' lui, eccitato. - Un giorno anche io saro' bravo come te. -
Gabriele mi guardo'. - Se hai ereditato i geni di tua sorella, prima o poi diventerai piu' bravo di me. -
Gli sorrisi e lui mi bacio' dolcemente.
Quando si stacco' vidi Marshall fissarci con sguardo severo.
Gabriele alzo' gli occhi al cielo. - Che c'e'? La scena non e' di tuo gradimento? -
- No, non lo e'. - rispose Marshall con tono arrabbiato.
Gabriele mi lascio' le mani e gli si avvicino' con le braccia incrociate. Marshall era piu' alto di me di un'intera spanna, eppure Gabriele era ancora piu' alto di lui.
- C'e' qualcosa di cui mi vuoi parlare di persona, anziche' continuare a fissarmi con quello sguardo senza avere le palle di dirmelo in faccia? - chiese Gabriele, iniziandosi ad arrabbiare.
Riuscii solo ad emettere un urlo strozzato quando Marshall e Gabriele si saltarono addosso. Gabriele era evidentemente piu' forte di Marshall, eppure lui non fece altro che cercare di colpire il suo avversario, anche se senza molti risultati.
- Smettetela! - urlai io, cercando di avvicinarmi per dividerli.
Per poco non finii nella rissa e, quando fu ormai chiaro che non avrebbero smesso di prendersi a botte, Filippo mi prese per mano e mi tiro' da un lato.
- Che vosa succedera' adesso? - chiese lui, fissando i due ragazzi a terra con evidente sgomento. - Non voglio che si facciano male! -
La sua faccia impaurita mi spinse ad abbracciarlo stretto. - Non preoccuparti. -
Vidi una macchina avvicinarsi. Quando il conducente spense il motore, ne emerse un vecchio poliziotto dallo sguardo arcigno e i capelli bianchi perfettamente divisi da una riga in mezzo.
Tiro' fuori il manganello e i due ragazzi, conoscendo entrambi perfettamente cosa sarebbe potuto succedere, si staccarono e si alzarono in piedi.
Io, tenedomi in disparte con Filippo, cercai di vedere quali fossero stati i danni: l'occhio deatro di Gabriele stava iniziando a diventare viola, mentre Marshall aveva un labbro spaccato, zoppicava e si teneva un braccio stretto al petto.
- I vostri nomi, prego. - disse il poliziotto prendendo appunti.
- Marshall Hayden Hamilton. - rispose lui con un tono annoiato.
- Gabriele Del Monte. - aggiunse lui, incrociando le braccia al petto.
- Cosa stavate facendo? - chiese ancora il poliziotto, senza alzare gli occhi dal suo taccuino.
- Testando il cemento. - rispose Marshall alzando gli occhi al cielo.
Il poliziotto lo fulmino' con lo sguardo e lui si morse un labbro, finalmente imbarazzato.
- Stavamo... discutendo. - rispose Gabriele, facendo attenzione alle parole che usava.
- Discutendo, eh? - ripete' il vecchio poliziotto. - Nessuno vi ha mai insegnato che usare le mani per... discutere non e' una bella idea? -
Gabriele scrollo' le spalle. - Mai sentito prima. -
Lui lo guardo' talmente male che anche Gabriele decise di lasciar cadere l'argomento. Fece qualche domanda anche a me ed evito' di riservare lo stesso trattamento al povero Filippo, che non ne voleva sapere di lasciarmi la mano.
- Bene, adesso vi porto alla centrale. - decreto' lui dopo aver scritto un poema sui suoi fogli.
Non appena i due ragazzi cercarono di ribattere, lui chiuse il suo quadernino con forza. - Ho detto che andiamo alla centrale. -
- Hey, sono un poliziotto anche io! - cerco' di giustificarsi Gabriele.
- Ma bene! Quindi e' questo cio' che insegnano ai nuovi cadetti, eh? Adesso salite in macchina! - abbaio' il poliziotto.
Marshall non emise suono e Gabriele mi lancio' un'occhiata preoccupata prima di seguire l'altro ragazzo.
Il poliziotto, dopo aver chiuso la portiera, mi fece cenno di salire in macchina.
- Non le accadra' niente, signorina. - mi assicuro' lui, annoiato dalla mia faccia spaventata. - Voglio solo accertarmi che lei e il bambino stiate bene e che questi due caproni abbiano raccontato la verita'. -
Deglutii e salii in macchina anche io.
Il percorso fino alla stazione si svolse nel silenzio piu' totale: nessuno aveva voglia di parlare di cio' che era accaduto, o nessuno voleva far arrabbiare quel poliziotto piu' di quanto non lo fosse gia'.
- Siamo arrivati. - dichiaro' lui alla fine, parcheggiando in un parcheggio riservato.
Aspetto' che tutti scendessimo dalla macchina prima di scortarci fino all'entrata principale, dove altri poliziotti ci squadrarono da capo a piedi e iniziarono a borbottare a bassa voce.
- Voglio la mia mamma! - piagnucolo' Filippo.
Cercai di calmarlo. - Non c'e' motivo di piangere, tesoro. E' importante che restiamo qui per un po' per aiutare questi signori a capire cosa e' successo e fare in modo che cio' non accada piu'. -
Pui annui', anche se non credevo di averlo convinto al cento per cento.
- Hanno entrambi la testa dura. - commento' Filippo poco dopo, riprendendo il suo tono naturale.
Non riuscii a trattenere un sorriso. - Hai proprio ragione. -
Fissai i due ragazzi che erano seduti ai due estremi di una fila di sedie, mentre dei poliziotti li tenevano d'occhio, aspettando di decidere cosa farne di loro.
Li fecero entrare in due stanze separate e li tennero li' per una mezz'ora, cercando probabilmente di vedere se le due versioni sull'accaduto coincidessero.
Quando Lucia mi chiamo' per la diciottesima volta, decisi che sarebbe stato meglio spiegarle cio' che era successo, o perlomeno la maggior parte dei fatti.
- Due ragazzi si sono presi a pugni davanti al mio piccolino? - ripete' lei terrorizzata, con una voce troppo acuta persino per una bambina.
Cercai di calmarla. - Non e' successo niente di grave. Filippo sta bene. -
- Fammi parlare con lui! - urlo' lei, in preda al panico.
Alzai gli occhi al cielo e passai il telefono al bambino. Lui, dopo un primo momento di esitazione, prese il telefono e se lo avvicino' all'orecchio, ma non troppo. - Mamma? -
- Tesoro! - sentii urlare. Lui salto' sulla sedia e tenne il telefono ben lontano per almeno un paio di minuti.
Quando poi Lucia si fu calmata, Filippo riusci' a farle capire che andava tutto bene e che non aveva bisogno di venirlo a prendere.
- Sono con Audrey, mamma. Sono al sicuro. -
Lei non sembro' affatto convinta, ma al momento aveva un appuntamento dall'estetista che sposto' la sua attenzione su un nuovo taglio di capelli.
Quando poi Filippo termino' la telefonata, emise un sospiro di sollievo. - Mia mamma si spaventa per ogni piccola cosa. Pero' sono sicuro che lo fa perche' mi vuole bene. -
Gli sorrisi e mi resi conto in quel momento che lui assomigliava molto a mio padre, anche se aveva tutto un altro portamento.
Mi schiarii la voce. - Filippo, devo dirti una cosa. Mi dispiace se all'inizio, quando sono arrivata, sono stata cosi' cattiva con te. E' solo che... -
- Non lo sapevi. - mi giustifico' lui. - E' normale. Anzi, sei sempre fantastica con me. Sei una sorella meravigliosa. -
Gli scompigliai i capelli. - E tu sei un bambino davvero intelligente. -
Lui gongolo'. - Papa' mi ha detto che hai due sorelle. E' vero? -
Accavallai le gambe. - Si'. Sono piu' grandi di me. -
- Quindi ho tre sorelle maggiori! - concluse lui, entusiasta. Poi mi fisso' con un'espressione insicura. - Ti da fastidio se ti considero mia sorella? -
Ci pensai un momento. - No. Penso che sia il termine adatto. -
Il suo abbraccio improvviso mi spiazzo', ma fui contenta del fatto che ne avesse parlato con me.
Una delle porte si apri' e ne emerse Marshall, con un'espressione arrabbiata.
Si sedette di fronte a noi e cerco' di sorridere a Filippo, anche se il suo labbro spaccato trasformo' il suo sorriso in una smorfia di dolore.
- Fa tanto male? - chiese Filippo.
Marshall si porto' un dito sul labbro e io evitai di seguire i suoi movimenti. - Non troppo. Allora, come sta il mio ometto? -
Fu il turno di Filippo di sorridere. - Bene. Quello che avete fatto e' stato fantastico! -
Marshall gli ordino' di abbassare la voce, anche se un gruppo di poliziotti ci stava ormai fissando. - Non e'... fantastico. Non devi mai fare qualcosa del genere. -
- Neanche per la ragazza che mi piace? - chiese il bambino con tono innocente.
Marshall mi guardo' per un momento con quei suoi occhi vsrdi cristallini che ancora brillavano di rabbia. Eppure ero certa che ci fossa qualcos'altro misto alla sua voglia di picchiare tutti.
- No, neanche per quello. - rispose lui alla fine, concentrandosi di nuovo su Filippo. Poi gli mise una mano sulla spalla. - Ma lascia che ti dica una cosa: ci saranno volte in cui il desiderio di prendere a pugni chiunque ti si pari davanti sara' intollerabile. Ma devi essere forte, pensare a cosa fare e comportanti di conseguenza. -
- Penso di avere un'idea, adesso. - inizio' Filippo, sorridendo a entrambi. - Allora perche' non... -
L'altra porta si apri' e Gabriele ne usci' fumante di rabbia, seguito dal poliziotto che ci aveva portati alla centrale.
- I vostri genitori sono stati convocati a breve. - decreto' lui con fare annoiato. - Il fatto che siate entrambi maggiorenni non significa che i vostri genitori non abbiano il diritto di sapere cosa e' accaduto e il dovere di prendere provvedimenti. Buona giornata. -
Detto cio' si ritiro' nel suo ufficio e Gabriele si lascio' cadere pesantemente su una delle sedie.
Marshall lo fisso' con un sopracciglio inarcato. - Non dovresti essere in grado di farci uscire di qui, poliziotto? -
Lui lo fulmino' con lo sguardo. - Per tua informazione sono considerato anche io un cittadino ed e' mio dovere mantenere un buon comportamento per invogliare gli altri a fare lo stesso. -
Marshall lo guardo' confuso e Gabriele alzo' gli occhi al cielo. - Quindi no, testa calda, non posso farti uscire da qui solo perche' ho un fottuto distintivo che mi da' il titolo di poliziotto. -
Poi, resosi conto di cio' che aveva appena detto, si morse un labbro e fisso' Filippo.
Il bambino scrollo' le spalle. - Non preoccuparti. Mia mamma dice sempre brutte parole quando e' arrabbiata. Basta solo che io non le ripeta. -
Gabriele non sembrava convinto, ma lascio' cadere l'argomento senza ribattere.
Marshall allungo' le gambe davanti a se'. - Sara' un pomeriggio lungo. Mio padre esce da lavoro esattamente tra venti minuti e non sara' contento di venire qui. -
Gabriele incrocio' le braccia al petto. - Se tu non avessi avuto la brillante idea di trasformare una strada pubblica in un ring da combattimento, tutto cio' non sarebbe successo. -
Marshall gli fece il verso. - Sei tu che mi hai tirato un pugno in faccia! -
Gabriele cerco' di non sorridere, ma senza ottenere risultati. - Pensavo l'avresti parato, eppure sei piu' lento di quanto avessi immaginato. -
Marshall scatto' in piedi e Gabriele si mise subito in guardia, ma poi entrambi ripresero il loro posto e si limitarono a fissarsi in cagnesco.
Poco dopo una donna di mezza eta' entro' nell'edificio. Aveva lunghi capelli marrone scuro legati in uno chignon improvvisato e indossava un semplice completo da segretaria - una camicia bianca a maniche lunghe e una gonna nera fino al ginocchio.
Gabriele le ando' incontro non appena i loro sguardi si incrociarono e la donna lo abbraccio' come se fosse il figlio appena tornato dalla guerra.
- Stai bene? - gli chiese preoccupata, passandogli delicatamente le lunghe dita sulla faccia.
Gabriele si ritiro' quando la donna sfioro' il suo occhio destro. - Sto bene, mamma. E' solo un piccolo livido. -
- Bene. - lei gli diede uno scappellotto dietro la nuca e Gabriele emise un verso di dolore. - Questo e' per avermi fatto preoccupare. Quante volte ti ho detto di smetterla di cacciarti nei guai? -
Vidi le sue guance colorarsi un po'. - Scusa, mamma. -
Lei sorrise e lo abbraccio' di nuovo. Poi si rese conto che c'era un gruppo di persone che stava assistendo alla scena. Lei si avvio' verso di noi e ci sorrise.
- Salve, sono Donatella, la madre di Gabriele. - si presento' lei, stringendomi la mano.
Le sorrisi a mia volta. - Piacere, signora Del Monte. -
- Oh, per favore. Chiamami Donatella. - mi interruppe lei.
- Donatella. - mi corressi, sentendo gli occhi di tutti puntati su di me. - E' un piacere conoscerla. Io sono Audrey. -
- Gabriele mi ha parlato molto di te. - rivelo' lei, facendomi l'occhiolino. - Tutte cose buone, ovviamente. -
Le sorrisi e in quel momento il padre di Marshall entro' di fretta nell'edificio. Indossava un completo grigio scuro e una cravatta a quadri verde e nera.
- Dov'e' mio figlio? - tuono' lui.
Tutti gli occhi si fissarono su di lui, ma lui aveva occhi solo per una persona.
- Donatella? - chiese lui con un filo di voce.
La donna si porto' una mano al cuore. - George. Ne e' passato di tempo. -

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Angolo autrice:
Domanda: perche' mai i due genitori conoscono l'uno il nome dell'altra? E perche' Marshall e' cosi' stupido da prendere sempre a botte qualcuno e finire nei guai?
Sono curiosa di sapere le vostre teorie!

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