Capitolo 18

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La mattina seguente Marshall si presentò a casa di mio padre alle nove in punto. Io mi ero svegliata da poco e mi stavo vestendo. Indossai qualcosa di leggero – un pantaloncino di jeans e una canottiera rossa – e raccolsi i capelli in una coda alta. Poi presi la mia borsa e andai in salone, dove Marshall stava giocando con Filippo con le sue macchinine.

– Buongiorno, Audrey. – mi salutò Filippo con un sorriso, smettendo di giocare con Marshall. Il ragazzo mi rivolse un sorriso imbarazzato e io ricambiai. Di punto in bianco non mi sembrò più un'idea così intelligente quella di trascorrere una giornata con lui, ma accantonai l'idea di rispedirlo a casa solo per orgoglio.

– Posso venire con voi? – chiese Filippo con un filo di voce.

Marshall gli accarezzò la testa affettuosamente. – Oggi andiamo a vedere posti vecchi e polverosi, dove la noia non manca mai. –

Lui annuì. – Allora verrò la prossima volta. –

Marshall lo salutò con un abbraccio e io mi limitai a un gesto della mano. Quando mi diressi verso l'ascensore, lui scosse la testa e indicò le scale. – Sei claustrofobico? – gli chiesi con un'espressione allibita. – Non lo sapevo. –

– Ci sono molte cose che non sai di me, Audrey. – mi rispose lentamente, riportando a galla ricordi che avrei volentieri seppellito in fondo a una fossa profonda.

Scendemmo in strada e ci avviamo verso la metropolitana, che arrivò dopo appena mezzo minuto.

– Dove stiamo andando? – gli chiesi mentre cercavo di allontanarmi da un uomo sudato che aveva alzato il braccio per reggersi alla sbarra di ferro sopra le nostre teste.

Marshall sembrò divertito dalla scena in corso. – Al Colosseo. Ho prenotato e possiamo visitarlo anche all'interno, ma non avremo una guida. –

– Pensavo che oggi saresti stato tu la mia guida. –

– Ovvio. – rispose, sentendosi punto sul vivo. – Era solo per dire. –

Alzai gli occhi al cielo e in poco tempo arrivammo al Colosseo, dopo aver cambiato una linea della metropolitana – a Roma ce ne erano soltanto due, mentre la terza era in costruzione. Appena uscii dal sottosuolo, mi fermai sulla scalinata ad ammirare il Colosseo: era una struttura imponente, difficile pensare che l'avessero costruita gli antichi Romani. Era ancora integra, fatta eccezione per una buona parte della struttura esterna che era crollata dopo la caduta dell'Impero Romano.

– Hai il brutto vizio di fermarti dove non devi. – mi rimbeccò Marshall tirandomi da un lato. Notai solo in quel momento che dietro di me c'erano altre persone che non erano riuscite a passare a causa del mio intralcio. – Anche all'aeroporto hai fatto la stessa cosa. –

Lo guardai storto. – All'aeroporto stavo per rivedere un padre assente che si era costruito una nuova famiglia. Non ero proprio contenta di incontrarlo. –

– Hai incontrato anche me. –

Annuii. – Ma non sapevo che fossi tu. –

Non mi diede torto, ma non rispose. guardò invece il Colosseo. – Vedi gli archi? Ce ne sono tantissimi e dove ora vedi solo una rientranza, prima c'erano delle statue, una per ogni arco. Sono state rubate insieme al marmo di copertura dopo la caduta dell'Impero. –

Assimilai l'informazione. – Una volta ho letto che il Colosseo veniva usato anche per le battaglie navali. –

– Non è proprio così. Il Colosseo veniva usato per le lotte tra gladiatori e belve, ma non sono stati ritrovati canali sotterranei per riempire l'arena d'acqua. Questo accadeva invece a piazza Navona. Stasera ti ci porto: i palazzi che si affacciano sulla piazza sono disposti in modo tale che si potesse riempire la zona interna con l'acqua e usarla come luogo per le battaglie navali. –

– Questi Romani erano davvero intelligenti. – asserii, fissando stupefatta il Colosseo.

Lui annuì. – I Romani sono stati i primi a costruire gli acquedotti, per esempio, che noi usiamo anche oggi. – Si incamminò verso il Colosseo e mi invitò a seguirlo. – Stammi vicina, c'è molta gente. –

Entrammo nel Colosseo dopo che Marshall ebbe mostrato a una guardia all'esterno i biglietti che aveva precedentemente comprato. Ci affacciamo sull'interno del Colosseo e rimasi estasiata: aveva una forma ovale e la parte centrale, scoperchiata del pavimento, era circondata da gradoni in pietra disposti in circolo. Marshall li indicò. – Le persone più ricche si sedevano più vicino all'arena, mentre le più povere sui gradoni più in alto. A tutti era permesso di assistere agli spettacoli e le persone che non potevano permettersi il biglietto di entrata venivano fatte entrare gratuitamente dallo Stato. –

Poi indicò l'arena. Ne era stata ricostruita solo una minima parte, che permetteva ai turisti di osservare più da vicino la parte sottostante. – Vedi quella sorta di corridoi? Lì si tenevano le belve che poi lottavano contro i gladiatori: gli animali venivano lasciati lì dentro a patire la fame, poi si liberavano sull'arena per renderli ancor più famelici. –

– Questa è una cattiveria! – risposi. Da buona animalista quale ero, non mi sarei mai sognata di rinchiudere delle povere bestie in spazzi così angusti e di non nutrirli per poi farli combattere contro dei gladiatori.

– Comprendo le tue preoccupazioni, Audrey, ma il popolo Romano era decisamente rozzo e poco attento alla morale. Era affascinato dal combattimento e dagli animali esotici: a Roma venivano esportati tanti di quei leoni che a un certo punto la specie fu vicina all'estinzione. –

Spostai lo sguardo verso Marshall, poi di nuovo sull'arena. – Agghiacciante. –

– No, effettivamente fa troppo caldo. Vieni, andiamo all'ombra. –

Ci spostammo sotto uno dei porticati e Marshall mi spiegò ancora qualcosa. – se alzi gli occhi al cielo ti renderai conto che non c'è un tetto. –

– Lo avevo notato. –

– Questo perché, durante gli spettacoli, c'erano delle tende disposte in circolo che venivano srotolate e che facevano in modo che il pubblico fosse coperto, lasciando però uno spazio al centro per far filtrare la luce. La sera invece si ritiravano per lasciare che il pubblico vedesse le stelle. –

– Doveva essere bellissimo poter vedere le stelle tutte le notti, senza tutto l'inquinamento che c'è al giorno d'oggi. – Marshall mi guardò stupito. – Che c'è? Mi piacciono le stelle. –

Sorrise. – Mi fa piacere. Lo terrò a mente. –

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