Tay mi aiuto' a comprare un biglietto all'ultimo secondo per Cincinnati, perche' io ero troppo scossa anche solo per cercarne uno da me.
Partii la mattina seguente da sola. Tay si era proposto di venire con me, ma sapevo che odiava tornare in Ohio. Cosi' avevo deciso di andare senza nessuno, ma una volta arrivata in aeroporto, mi resi conto che era stata una pessima idea: c'erano gruppi di persone ovunque, intenti a salutarsi perche' qualcuno stava per partire, o abbracciarsi perche' qualcuno era appena tornato a casa. In entrambi i casi le persone avevano le lacrime agli occhi e io non riuscii a trattenere le mie.
In quel momento sperai vivamente di poter riuscire ad arrivare in tempo per vedere mia madre, per farle sapere che le volevo bene, visto che l'ultima volta che avevamo parlato di persona ero talmente arrabbiata con lei che non l'avevo piu' sentita per diverso tempo.
L'occhio mi cadde su un gruppo di persone che stavano entrando in quel momento nella sala d'attesa dove ero seduta.
Avevo ancora gli occhi pieni di lacrime, ma vidi la figura di Marshall guardare nella mia direzione. Corsi verso di lui, lasciando il mio bagaglio a mano esattamente dove mi trovavo.
Ma quando mi avvicinai abbastanza da vederlo in faccia, notai che era solo un altro ragazzo come tanti che mi stava fissando come se fossi pazza.
Deglutii, mi scusai e tornai a sedermi al mio posto, ancora piu' demoralizzata di prima.
Tirai fuori il telefono e fissai il contatto di Marshall per cinque minuti buoni prima di decidermi a chiamarlo, quasi singhiozzando.
- Ciao! Al momento non sono disponibile. Lascia un messaggio con il tuo nome e ti richiamo appena posso! -
Frustrata, gettai il telefono in borsa e mi accasciai su una delle sedie di ferro, prendendomi la testa tra le mani. Non sapevo cosa fare: mi sentivo sola ed ero completamente distrutta del pensiero che mia madre non ce l'avrebbe fatta.
- Attenzione: il volo 483 delle ore 6:15 e' pronto per l'imbarco. - decreto' una voce metallica.
Guardai le mie valigie: non ero pronta. Non lo ero affatto. Ma dovevo farlo, almeno per mia mamma.
Mi guardai intorno per un momento, poi decisi di mettermi in fila per entrare sull'aereo. Avevo il posto vicino al finestrino, cosi' mi sedetti e rimasi li' per la maggior parte del volo, piangendo in silenzio e ascoltando musica o vedendo aualche film.
Dopo quasi otto ore di viaggio, arrivammo a New York, dove dovetti correre per prendere una coincidenza per Cincinnati. Anche se avevo il fiato corto e le braccia doloranti, per lo meno mi era stato utile per non pensare troppo a cosa mi sarebbe aspettato una volta tornata a casa.
Il volo sembro' durare un'eternita' e non appena l'aereo di fermo', fui una delle prime persone a scendere.
Chiamai Demi e lei rispose al secondo squillo.
- Sei arrivata? - chiese lei con voce stanca.
Pregai che non fosse accaduto niente di brutto. - Sono in aeroporto. Sto aspettando la mia valigia. -
- Okay, sono li' in dieci minuti. -
Attacco' senza aggiungere altro e io sentii una fitta al cuore. Cercai di pensare a qualcos'altro, ma niente sembrava riuscire a togliermi dalla testa l'idea che mia madre non ce l'avrebbe fatta.
Non appena la mia valigia arrivo', la presi e uscii dall'aeroporto, dove mia sorella mi stava aspettando con la sua macchina verde smeraldo, impossibile da confondere.
Mi venne incontro e mi abbraccio' stretta, mentre anche lei scoppiava a piangere.
- Mi dispiace. - disse tra i singhiozzi. - Volevo dirtelo non appena l'ho saputo, ma mamma me l'ha proibito. Pensava che potesse uscirne illesa, ma... -
La voce le si incrino' e non riusci' ad aggiungere altro.
Si calmo' dopo qualche minuto e, dopo essersi accertata che i suoi occhi non fossero piu' appannati, guido' fino all'ospedale.
Il viaggio non sarebbe stato affatto lungo se non fosse stato per il fatto che l'unica vosa a cui riuscivo a pensare era non vedere mai piu' mia madre.
- Evelyn lo sapeva? - chiesi io a un certo punto.
Lei scosse la testa. - Solo io ne ero al corrente. -
- Perche' non ce l'ha detto? - chiesi, frustrata. - Pensavo ci volesse bene! -
- Certo che vi vuole bene! - ribatte' lei, con le lacrime agli occhi. - Ma non voleva farvi preoccupare. Pensava che con la chemio sarebbe riuscita e debellare il tumore. E ha funzionato per diverso tempo. -
Tiro' su con il naso. - Ma poi e' tornato all'improvviso. I medici hanno detto che e' troppo avanzato: non c'e' niente che possano fare. Non potevo tenermi tutto questo per me. Non sarebbe stato giusto. Cosi' ve l'ho fatto sapere e... Mi dispiace. -
Scoppio' a piangere e dovette fermarsi per evitare incidenti stradali.
La abbracciai, amche se ero ancora un po' arrabbiata per il fatto che non me l'aveva detto. - Ti perdono, anche se mi avrebbe fatto piacere saperlo prima. Ma adesso siamo insieme e dobbiamo prenderci cura di mamma. -
Poco dopo lei riparti' e nessuna delle due parlo' per il resto del viaggio.
Quando poi arrivammo, lei parcheggio' in un posto riservato vicino all'entrata posteriore dell'ospedale e mi fece cenno di seguirla all'interno.
Il reparto "cancro" si trovava al piano terra, accanto alle sale per la chirurgia d'urgenza.
Piu' passavamo tra quelle stanza, piu' il peso che sentivo sul cuore si aggravava: c'erano persone ricoverate ovunque, da chi aveva solo una bandana sulla testa per coprire i danni della chemioterapia a chi trascorreva intere giornate a letto, senza neanche riuscire a riconoscere i propri parenti.
Mia madre si trovava in una delle stanze in fondo al corridoio. Restai un momento fuori, mentre mia sorella entrava lentamente.
- Sono io, mamma. - sentii mia sorella dire. - Sono Demetria. -
In quel momento decisi di entrare e cio' che vidi per poco non mi fece correre fuori dalla porta: mia madre, che era semore stata una donna forte e solare, si era trasformata in un essere piccolo e indifeso, steso sul letto come una bambola. Aveva le labbra viola, il corpo scheletrico e quei bellissimi occhi celesti che erano diventati grigi spenti.
Demi mi fece cenno di avvicinarmi. Mi prese per mano e mi trascino' fino ai piedi del letto, mentre quella bambina con i lineamenti di mia madre mi fissava curiosa.
- Mamma, Audrey e' qui. - continuo' lei, quasi piangendo.
La ragazzina sembro' improvvisamente riconoscermi e mi prese per la manica, tirandomi nella sua direzione.
Io mi feci piu' vicina, ma non riuscii neanche a sorriderle. Ero nel panico: come poteva quella essere mia madre?
- Au... Audrey. - disse lei, mentre la sua voce fiebile si frantumava come una goccia di pioggia caduta sul terreno.
Deglutii. - Mamma. Ti voglio bene. -
Lei finalmente mi sorrise e per un momento pensai che mi avrebbe risposto, che sarebbe tornata a essere la mamma attiva e amorevole che era sempre stata.
Ma poi qualcosa nei suoi occhi cambio' e lei ricomincio' a guardarsi attorno confusa, senza dare segni di riconoscere ne' me ne' mia sorella.
Scoppiai a piangere e sentii qualcuno sorreggermi: mia sorella Evelyn.
Lei scambio' un'occhiata con Demetria e scosse la testa. Sapevo benissimo cosa stava per succedere: mia madre non ce l'avrebbe fatta.
- Ho appena parlato con il medico. - inizio' Evelyn a voce bassa. - Secondo lui non passera' la notte. -
Demi singhiozzo' e inizio' a parlare con Evelyn di cosa avrebbero fatto dopo. Io cercai di isolarmi da cio' che mi circondava e di pensare solo a mia mamma. Non potevo credere che se ne sarebbe andata cosi' presto. Non era giusto.
- Te... tesoro. - disse una voce proveniente dal letto. Ci cirammo tutte nella direzione di mia madre: lei ci stava sorridendo dolcemente.
- Siete tutte qui. - disse lei.
Demi non riusci' a dire una parola, mentre Evelyn le si avvicino' con le lacrime agli occhi.
- Siamo qui, mamma. - disse lei. - Siamo qui con te. -
Lei emise un sospiro stanco e chiuse gli occhi, cercando di parlarci. - Mi dispiace di non avervelo detto prima, ragazze. Ma ero convinta che ce l'avrei potuta fare. Evidentemente non sono abbastanza forte. -
Le strinsi una mano fra le mie, facendo attenzione alle sue dita delicate. - Non devi dire cosi'. Sei la persona piu' forte che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita. Ma a volte le cose capitano e... -
Non riuscii a continuare e lei mi strinse debolmente la mano. Apri' gli occhi, anche se le costo' molta fatica. - Ho lasciato delle lettere per voi. Non ho la forza di dirvi quanto vi amo e non smettero' mai di amarvi. Siete la mia vita e sono cosi' fiera di ognuna di voi. -
Tossi' debolmente e tutto il suo corpo fu scosso da un piccolo attacco. - Siate sempre fiere di voi stesse. Vi voglio bene. -
Continuo' a tossire, come se avesse aspettato la fine della frase per lasciarsi andare.
Scoppiai a piangere ed Evelyn mi trascino' fuori dalla stanza, mentre Demi aveva il dovere di parlare con il medico.
Mi porto' fuori, mentre io non riuscivo neanche a tenermi in piedi. Non appena mi lascio' contro il muro, scivolai a terra fino a sedermi.
Non riuscivo a smettere di piangere: mia madre era sempre stata la mia eroina, l'unica persona su cui potevo contare ogni volta che ne avevo bisogno.
Piansi a lungo e mia sorella si sedette accanto a me, lasciando che le mie lacrime le bagnassero la felpa.
Rimanemmo li', a terra, finche' Demi non ci veni' a cercare. Aveva gli occhi gonfi e una postura stanca. Ci scambiammo un'occhiata e in quel momento sapevo che mia mamma non c'era piu'.
Smisi di piangere, non versai piu' neanche una lacrima. Se n'era andata e non sarebbe tornata. Avevo bisogno di lei e non ero stata abbastanza forte da rimanere con lei in quel periodo. Avevo preferito trascorrere un anno dall'altra parte del mondo, pur sapendo che c'erano dei problemi. O per lo meno lo avrei potuto capire dal modo in cui parlava ogni volta che la chiamavo. E nell'ultimo mese non l'avevo mai neanche sentita.
- Audrey. - mi chiamo' qualcuno, ma tutto era ovattato. Non sentivo niente, se non il battito del mio cuore che si faceva sempre piu' sporadico.
- Audrey! - urlo' la stessa voce. E fu l'ultima cosa che sentii prima che i miei sensi mi abbandonassero e svenissi sul marciapiede.Mi svegliai in una stanza completamente bianca. Non appena il mio olfatto ricomincio' a funzionare, l'odore di salviette profumate e medicinali mi pervase le narici. Ero seduta su una poltrona e avevo le gambe alzate.
Aprii gli occhi e le mie sorelle entrarono nel mio campo visivo.
- Come ti senti? - mi chiese Demi, preoccupata.
Tirai giu' le gambe e mi sedetti scompostamente. - Come se un treno mi fosse appena passato sopra. -
Lei mi abbraccio', ma io non ebbi la forza di fare altrettanto.
- Vuoi chiamare Taylor? - mi chiese Evelyn, posandomi unaano sulla spalla. Forse aveva paura che sarei caduta di nuovo da un momento all'altro.
Annuii e lei mi passo' il suo telefono. Le mie mani tremavano cosi' tanto che una delle due mi dovette aiutare a digitare il suo numero.
Tay rispose al primo squillo. - Eve, da quanto tempo. Qualcosa non va? -
Feci uno strano verso e non riuscii a rispondere, ma lui riconobbe subito la mia voce.
- Edith? - chiese lui con voce preoccupata. - Mi senti? -
Annuii, poi mi ricordai che lui non poteva vedermi. - Si'. -
- Oh, tesoro. - disse lui. Non servivano parole: lui gia' sapeva dal mio tono di voce, anche se non avevo detto niente.
- Hey. - mi chiamo' lui. Io non riuscii a dire niente. - Mi dispiace per tua mamma. Lo sai, era una mamma anche per me. -
Annuii e in quel momento seppi che lui mi avrebbe comunqie capita.
- Sto cercando un volo in questo istante. - disse lui, mentre io lo sentivo picchiettare sulla tastiera del computer.
- No. - sentii la mia voce roca ribattere. - Hai una sfilata importantissima in due giorni e non puoi mancare, o manderesti a rotoli la tua carriera. -
- Chi se ne frega della mia carriera! - impreco' lui. - Tu hai bisogno di me e non resterei qui con te in queste condizioni nenache se Donatella Versace in persona mi invitasse a casa sua. -
Sentii un piccolo sorriso affiorarmi sulle labbra. - Sei sicuro? -
- Sicuro come il fatto che dovresti dirlo a Marshall. -
Il mio corpo si tese: non potevo dirlo a Marshall! Sicuramente in quel momento mi stava odiando per come me n'ero andata da casa sua il giorno prima. E adesso mi avrebbe odiata ancora di piu', se possibile, per non averglielo detto.
- Non posso. - risposi. - Non... non posso. -
Lui sospiro'. - Va bene. Arrivo li' domani mattina. Ma per favore non fare cazzate, okay? -
Sapeva benissimo che sarei potuta cadere di nuovo in depressione e non voleva assolutamente che cio' accadesse.
Ma io stessa non ero sicura che non fossi gia' con un piede dentro la fossa.-----------------------------------------------------------
Angolo autrice:
Penso che questo sia il capitolo piu' triste che abbia mai scritto. Insomma, ho scritto una storia per la fine di Allegiant (e quella si' che e' triste) ma questo e' ancora peggio.
L'inevitabile e' accaduto e Audrey e' vicina a ricadere nel baratro. Riuscira' qualcuno a tirarla fuori e proteggerla da se stessa?
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Just friends
Teen FictionAudrey è una ragazza con un passato difficile: da piccola è stata abbandonata da suo padre e dal suo migliore amico, situazione che l'ha costretta a costruire intorno a sé un muro di sfiducia e incertezza e che pian piano l'ha spinta nel baratro del...