Capitolo 21

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Quello sguardo così spocchioso e menefreghista di quel piccoletto mi fece infuriare. – Bene. Allora che ne dici di una sfida tra te e me? Chi vince si tiene la palla e decide se gli altri possono giocare. Sei d'accordo? –

Il bambino annuì soddisfatto, forse perché, prima di aggregarsi a noi, ci aveva visto giocare. Rimase però evidentemente deluso e colpito quando, dopo che mi aveva passato la palla, schiacciai a pochi centimetri da lui con una tale forza che la palla rimbalzò per diversi metri prima di fermarsi.

Il bambino mi guardò con occhi spalancati. – Ma tu non sapevi giocare! –

– Non sempre quello che vedi corrisponde alla realtà, piccolo "so-tutto-io". – asserii.

Lui se ne andò borbottando, portandosi dietro il suo gruppetto di bambini viziati. Filippo mi guardò sorridendo, poi mi fece cenno di avvicinarmi. Mi misi in ginocchio e lui mi sussurrò qualcosa all'orecchio. – Grazie. –

Sorrisi a mia volta. – Non preoccuparti, quel bambino se lo meritava. –

– Ma allora sei brava a giocare con la palla! –

Alzai le spalle in un gesto involontario. – Gioco nella squadra di pallavolo della mia scuola da qualche anno e abbiamo vinto diverse gare. –

Lui mi fissò colpito. – Mi insegnerai a giocare? –

Annuii. Mentre tornavamo verso mio padre e Lucia – che era già nel panico perché non vedeva più il figlio – Filippo disse una sola parola. – Coatto. –

– Coatto? – ripetei confusa.

Lui annuì. – Lo usiamo per definire una persona che si comporta come se tutto girasse intorno a lei. Un "so-tutto-io", come l'hai chiamato tu. –

Filippo continuò a camminare finché non arrivò dalla madre, che gli chiese cosa avesse fatto fino a quel momento. Lui alzò solo le spalle e rispose che stava giocando con me. Io rimasi un attimo ferma sul posto: possibile che quel bambino conoscesse l'italiano così bene?

Tornammo a casa verso le otto, dopo aver girato un po' per via del Corso. Lucia mi indicò i negozi costosi a cui aveva fatto riferimento il primo giorno e mi fece vedere alcuni capi che, secondo lei, erano davvero fantastici. Rimasi interdetta nel sentir considerare un capo di alta moda una sorta di spolverino per la casa, con tanto di frange rigide colorate. Incontrai involontariamente lo sguardo di Filippo, che alzò le spalle in un gesto di mesta rassegnazione.

Cenammo tutti insieme e, una volta terminato di mangiare, Lucia mi informò con un sorriso raggiante che Marshall le aveva chiesto se avevo voglia di visitare ancora Roma il giorno seguente. Fissai per un attimo il piatto vuoto: sarei partita di lì a pochi giorni e, anche se non volevo darlo a vedere, avere una guida che evitasse di farmi perdere in una metropoli come Roma mi rendeva piuttosto felice.

Annuii, ringraziando la buona stella che Lucia non avesse ammiccato nella mia direzione in presenza di mio padre nel parlare di Marshall. Dopo cena andai in camera mia e chiamai mia madre.

– Ciao, mamma! – la salutai. Lei rispose con un cenno stanco della testa. Aggrottai la fronte. – Non ti senti bene? –

Lei scosse la testa. – Non preoccuparti. È solo che oggi ho dovuto presenziare a quella grossa cena di beneficienza che stavo organizzando da molto tempo ed è stata una giornata piuttosto impegnativa. –

Annuii. – Ti ho chiamata solo per dirti che qui va tutto bene. In questi giorni abbiamo visitato un'enorme quantità di luoghi storici fantastici. –

– Hai fatto qualche foto? –

– Tantissime. – risposi soddisfatta, indicando con una mano la macchina fotografica professionale che mia madre mi aveva regalato per Natale l'anno precedente. – Ti ho anche trovato un souvenir fantastico. –

– Ti ringrazio, piccola mia. Sei sempre così disponibile nei miei confronti. – Fece una pausa tanto lunga che pensai che si fosse dimenticata di me. Alla fine, però, riprese a parlare, guardandomi come se le fosse appena venuta in mente un'idea geniale. – Quindi Roma ti piace? –

Annuii con convinzione. – Adoro questa città. È un po' caotica soprattutto verso il centro, ma è davvero fantastica. Perché? –

– Oh, no, niente. Era solo per vedere se effettivamente ti stavi divertendo. Roma è davvero una gran bella città: tuo nonno mi ci portò una volta per una cena di gala con alcuni nobili di antiche famiglie aristocratiche. Di quella sera ricordo solo che mangiai tanto di quel pane che alla fine tornai in Ohio con un enorme mal di pancia. –

Sorrisi a quel ricordo condiviso. – Anche io una volta feci la stessi cosa, ti ricordi? Alla festa dei diciassette anni di Demetria: mangiai tanta di quella torta che stetti un'intera settimana male. –

Mia madre sorrise apertamente come non faceva da tempo. Il suo era un gesto genuino, non finto come i sorrisi che elargiva alle feste private. Parlammo ancora un po', poi la salutai, consapevole del fatto che era davvero molto stanca per portare avanti la conversazione.

Scrissi anche a Tay. "Oggi ho bullizzato un gruppo di bambini antipatici. Mi sento un po' un mostro."

"Evidentemente se lo meritavano." Mi rispose lui, aggiungendo una faccina con le corna da diavolo e un'espressione maligna. "Che hanno fatto di tanto grava da richiamare su di sé l'ira del grande Raggio di Sole?"

"Hanno lasciato in disparte Filippo, il figlio di mio padre. Sai quanto odio questo genere di comportamenti..."

"Hai fatto più che bene. Vedi di non cambiare mai, piccola soldatessa."

Gli diedi la buonanotte e mi addormentai con il sorriso sulle labbra. L'epiteto che mi aveva affibbiato Tay mi piaceva: avevo lottato molto per la mia felicità e ora stavo sfidando me stessa a mantenere il controllo anche in presenza di quegli elementi che mi avevano spinto nel baratro della depressione. Ma ora ero forte, determinata a vivere al meglio, cosciente che sarei riuscita a farcela.


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