Rimanemmo ancora un po' all'interno, guardando ogni parte del Colosseo e immagazzinando nuove informazioni. Alla fine uscimmo e ci incamminammo nuovamente verso la metro, non prima di aver comprato una fedele riproduzione del Colosseo da portare a mia madre. Era ora di pranzo e Marshall mi promise che mi avrebbe fatto assaggiare uno dei panini più buoni di Roma.
Uscimmo su viale Giulio Cesare, un vialone lungo e alberato su entrambi i lati. C'erano negozi ovunque e palazzi antichi che rendevano quella parte di Roma tanto bella quanto austera. Camminammo per un po', svoltammo in una strada secondaria e ci ritrovammo su piazza Risorgimento, che aveva una striscia di prato proprio al centro, su cui erano state posizionate delle panchine.
La zona era molto trafficata e c'erano autobus e tram ovunque. Marshall si fermò davanti a un negozio tanto piccolo che non lo avevo proprio notato. – Scegli il panino che vuoi e loro te lo faranno. –
Ci sedemmo e fissai il menù per diversi minuti. Alla fine una cameriera ci chiese l'ordinazione, ma io ero ancora indecisa. Marshall ordinò per me qualcosa che non riuscii a capire. – Ti piacerà, vedrai. Qui nominano tutti i panini con nomi di strade, monumenti o personaggi famosi di Roma. –
Era davvero un posto singolare. Mangiammo in silenzio e dovetti ammettere che il mio panino era davvero buono. Marshall volle pagare al mio posto e cercai di insistere il più possibile per restituirgli i soldi, ma lui non ne volle sapere.
Trascorremmo il pomeriggio a via del Corso. Avevo già avuto modo di passeggiare da quelle parti nei giorni precedenti, ma Marshall mi indicò tutti i negozi migliori dove comprare articoli a buon prezzo. Camminammo tra i negozi per un po' e alla fine Marshall voltò in una stradina, poi in' altra e arrivammo in un punto dove non sarei riuscita a tornare indietro.
– Tranquilla, Audrey, conosco le stradine di Roma come le mie tasche. – mi rassicurò lui.
Feci la sostenuta. – Non sono preoccupata. – Apprezzai silenziosamente la sua rassicurazione, anche se mi convinsi di non averne bisogno. Svoltammo in una via chiamata Via della Lupa. Marshall indicò il cartello della via: una lastra di marmo con un piccolo stemma disegnato vicino al nome della via.
– Vedi quello stemma? – mi chiese. Io annuii. – Quello è lo scudetto della Roma, la squadra più bella di questo mondo. –
Non me ne intendevo molto di calcio, ma a volte seguivo le partite di Champions League con Tay, che al contrario di me adorava il calcio europeo. "I giocatori sono fantastici." Mi ripeteva sempre, ma non ero convinta che alludesse ogni volta alle loro doti atletiche.
– Ma non è la più forte, giusto? – domandai.
Lui mi guardò torvo per un momento. – Ognuno ha il suo periodo di punta, Audrey. La Roma a volte vince, a volte perde. Ma ciò che più mi piace di questa squadra è che, comunque vada, si rialza sempre dalle sconfitte e impara qualcosa di nuovo per raggiungere una nuova vittoria. –
Lo fissai. – Perché mi hai portato qui? –
Lui alzò le spalle. – Volevo mostrarti gli aspetti migliori della città: il Colosseo, le piazze principali, i parchi e, dulcis in fundo, la Roma. Non posso farti entrare a Trigoria, cioè il campo in cui si allena la squadra, ma dovevo per lo meno invitarti nel club. –
– Invitarmi nel club? – ripetei alzando un sopracciglio.
Lui annuì. – La Roma è uno stile di vita, un qualcosa a cui dedicare tutta la propria esistenza. È come la religione, per certi aspetti: o la appoggi o non la appoggi. E io non la appoggio, io la amo. –
Rimasi stupita dalle sue parole. – Se posso chedere... come mai sei così attaccato a questa squadra? –
Lui fissò il cartello e chiuse gli occhi per un momento. – Quando sono arrivato qui, non parlavo con nessuno e non riuscivo a fare amicizia. Alla fine mio padre mi ha portato a vedere una partita della Roma con un suo collega. Eravamo nella tribuna d'onore, in cui si siedono anche i giocatori infortunati che, però, vogliono assistere alla partita. Lì ho incontrato un giocatore della Roma che aveva preso una brutta botta al ginocchio poco prima. Mi ha detto di sciogliermi, di chiudere gli occhi e pensare solo alla palla, alla sensazione che si prova quando la palla è in campo e un giocatore della squadra per cui tifi si avvicina alla porta, determinato a fare goal. Lo vedi avvicinarsi, passare la palla a un compagno, caricare e tirare in porta. L'emozione è qualcosa di indescrivibile ed effettivamente il calcio mi ha aiutato a dimenticare tante brutte cose. –
Mi guardò come se si fosse appena ripreso da un momento di stasi. – Può sembrare una cosa strana... –
– ...ma non lo è. – conclusi io. – Anzi, è bello che tu sia riuscito a trovare qualcosa per cui combattere. Ognuno si serve degli strumenti che ha, no? –
Lui annuì, sembrava sorpreso. Il discorso si alleggerì quando, verso sera, mi portò a piazza Navona, la piazza di cui mi aveva parlato. Effettivamente era un vero spettacolo: aveva una forma ovale e ospitava una bellissima fontana al centro, sormontata da un obelisco. Ci avvicinammo a quest'ultima e ammirai la raffinatezza delle sue fattezze. Le informazioni di Marshall non si fecero attendere.
– Questa fontana è stata costruita dal Bernini, uno degli scultori più importanti della storia di Roma. L'obelisco al centro è una riproduzione dell'architettura egizia, mentre le quattro statue raffigurate simboleggiano i quattro fiumi più importanti del mondo secondo la concezione del suo periodo storico: Nilo, Gange, Rio della Plata e Danubio. Se noti bene, uno di loro si copre la faccia come se il palazzo di fronte alla statua potesse crollare da un momento all'altro. Questo nasce dal fatto che Bernini e Borromini, l'architetto del palazzo di fronte alla statua, si odiavano immensamente: per questo il Bernini ha posizionato una statua che sembra aver paura che il palazzo possa crollarle addosso da un momento all'altro, mentre una delle statue del Borromini sul palazzo raffigura una donna che si tiene la veste per non farla bagnare dall'acqua che uscirebbe se la fontana inondasse la piazza. –
Non riuscii a trattenere una risata. – Quei due erano davvero ottimi amici. –
Anche lui sorrise e ci sedemmo vicini sul bordo della fontana. A un certo punto alzai gli occhi e riuscii a notare qualche stella. Lo feci presente a Marshall e per un po' rimanemmo così, uno vicino all'altro, tanto da sembrare quasi due vecchi amici. Alla fine mi riaccompagnò a casa e, sulla soglia, lo ringraziai per aver trascorso la giornata con me.
– È stato un piacere, Audrey. Possiamo farlo anche qualche altro giorno prima che parti. –
Annuii. Effettivamente la giornata si era rivelata migliore di quanto potessi sperare. – Vedremo. –
Prima di salutarmi Marshall ci tenne a puntualizzare una cosa. – Oggi non ho voluto portare con me Filippo semplicemente perché lo avevo chiesto prima alla madre e lei me lo aveva proibito. Quel povero bambino non esce mai di casa. –
Lo guardai con un sorriso triste. – Mi fa un po' pena, in effetti. –
Lui annuì, poi scosse la testa. – Okay, Audrey. Ora devo andare. Buonanotte. –
– Notte. – rimasi sulla soglia della porta finché non sentii il suono del portone che si chiudeva.
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Just friends
Teen FictionAudrey è una ragazza con un passato difficile: da piccola è stata abbandonata da suo padre e dal suo migliore amico, situazione che l'ha costretta a costruire intorno a sé un muro di sfiducia e incertezza e che pian piano l'ha spinta nel baratro del...