Capitolo 32

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Marshall toccò un braccio alla ragazza che si era appena materializzata accanto a lui, evidentemente spaventato dalla situazione. – Per favore, Alice. Lasciala perdere... –

Alice... Ricordai in quel momento che Raoul, poco prima, mi aveva accennato alla ragazza che aveva tradito Marshall. Era sicuramente colpa sua se avevo inveito contro il suo ex ragazzo.

– Tu sei Alice, giusto? – la accusai biascicando. – Sei tu che hai tradito Marshall! –

La ragazza mi guardò stralunata per un momento, poi scoppiò a ridere. – Sei una ragazzina venuta dall'altra parte del mondo, che non sa niente di me o di cosa possa essere una relazione, e ti metti in mezzo in affari che non ti riguardano? Torna a casa a giocare con le bambole... –

Mi infervorai ancora di più. Lei non aveva il diritto di chiamarmi ragazzina. – E tu sei solo una troia. –

– Perlomeno io ho una reputazione, qui. Tu, invece? Non sei nessuno. –

– Preferisco essere me stessa piuttosto che essere come te. –

Lei scoppiò a ridere di nuovo e il suo comportamento menefreghista ebbe l'effetto di farmi arrabbiare ancora di più. – Ragazzina, tutti vogliono essere come me. Io sono popolare, posso far fare alla gente ciò che voglio. Sono bellissima e tutti mi adorano. –

Fu il mio turno di ridere. – Ma sentiti: come fai a essere così sicura che tutto ruoti intorno a te? –

Lei esibì un ghigno soddisfatto, si avvicinò a me e, dopo avermi sussurrato un "Puzzi ancora di latte, per questo lo nascondi con l'alcool", si avvicinò a Marshall e gli stampò un bacio sulla bocca. Marshall in un primo momento rimase shoccato, immobile come una statua di marmo.

Alice approfittò della situazione per infilargli la lingua in bocca e lo trasportò in un bacio appassionato, che Marshall faticò a non ricambiare.

Quando alla fine si staccò, la ragazza alzò un sopracciglio, si passò la lingua sulle labbra e mi guardò con aria saccente. – Mi hai chiesto come faccio a sapere che il mondo gira intorno a me. Eccoti accontentata. Ora sparisci, ragazzina. Tu non avrai mai ciò che ho io. –

Quando la vidi sorridere di sbieco, non resistetti più: le saltai al collo e le tirai diverse ciocche di capelli. Alice, inizialmente spiazzata, rispose subito all'attacco con un urlo. Cademmo a terra, rotolando come balle di fieno. Un attimo prima lei era sopra di me e cercava di mettere a segno qualche pugno, mentre un secondo dopo avevo ribaltato la situazione e ci trascinavamo in giro per la stanza senza smettere di picchiarci.

Quando poi andammo a sbattere contro il tavolino degli alcolici, sentimmo delle voci intorno a noi urlarci di smettere. Ma io ero presa solo da ciò che stava accadendo: odiavo quella ragazza e il fatto di avere in corpo tutto quell'alcool non sminuiva certo ciò che provavo nei suoi confronti.

Alla fine sentii un paio di forti braccia prendermi da sotto le ascelle e alzarmi da terra, dividendomi dalla mia nemica. Cercai di divincolarmi, ma senza successo.

Nel mio campo visivo entrò Raoul, che aiutò Alice ad alzarsi e la fece sedere su una sedia lì vicino. Il ragazzo, dopo essersi accertato che l'arpia non avesse danni permanenti – ovviamente senza contare la sua acuta stupidità – si rivolse agli invitati.

– Va tutto bene, signori! – urlò lui, esibendo un sorriso a trentadue denti. – Avete appena assistito a un avvincente spettacolo tra leonesse per la conquista del territorio! –

Le persone intorno a noi scoppiarono a ridere, mentre sentivo le guance diventarmi improvvisamente bollenti.

– Tornate pure a divertirvi. – continuò Raoul, lanciando un'occhiata al ragazzo che ancora mi teneva stretta a sé. Sentii una testa annuire dietro di me, poi venni trascinata in un angolo sgombro della sala. Cercai di scappare, ma la sua presa era davvero troppo forte.

Alla fine mi sbatté al muro, tenendomi i polsi fermi con le mani. serrai gli occhi per il dolore della botta; poi, quando li riaprii, mi ritrovai davanti gli occhi verdi di Marshall, che mi fissavano come se fossi stata un fenomeno da baraccone.

– Che cazzo ti è saltato in mente? – urlò lui, pressando ancora sui miei polsi. – Perché diamine l'hai attaccata? –

Io distolsi lo sguardo. Certo, ero stata la prima ad arrivare alle mani, ma il suo comportamento da saputella non aveva aiutato a mantenere una situazione pacifica. Lui mi liberò un polso solo per prendermi il mento tra due dita. Mi alzò la testa finché non incrociai di nuovo lo sguardo infervorato di Marshall.

– Guardami! – mi ordinò, senza staccarsi da me. – Perché l'hai fatto?! –

– Non lo so, okay? – cercai di giustificarmi. Poi però mi passò davanti agli occhi tutta la scena con Alice. – Anzi, lo so. Mi ha detto cose orribili, mi ha insultato. –

– Per questo le hai tirato i capelli e le sei saltata addosso come se la volessi uccidere? –

Feci schioccare la lingua contro il palato. – Non volevo ucciderla, volevo solo... farle male. –

Lui alzò gli occhi al cielo e, dopo aver lasciato la presa sul mio mento, si passò una mano tra i capelli neri. – Devi smetterla, okay? Lei è... –

Non gli diedi il tempo di finire la frase. – ...La tua fidanzata? La stronza per cui ti sei trasformato in un ragazzo del genere? Beh, è davvero una grande conquista. –

Lui mi fulminò con lo sguardo. – Stavo dicendo che è una ragazza a cui piace mettersi in mostra, ma evidentemente aveva ragione. Forse sei solo una ragazzina. –

Riuscii a divincolarmi e gli tirai uno schiaffo. Lui rimase fermo, con gli occhi sbarrati, per qualche secondo. Poi alzò una mano; pensai che mi volesse picchiare, quindi mi coprii il volto involontariamente. Lui invece si portò la mano al viso e iniziò a massaggiarsi la guancia dove avevo stampato le mie cinque dita.

In quel momento arrivò anche Raoul. Notai che a mala pena riusciva a trattenere un sorriso.

– Bel colpo, Audrey. – mi disse.

Marshall lo mandò a quel paese, poi gli chiese come stava Alice.

Raoul sbuffò. – Sta bene. L'unica parte di lei che è stata ferita è il suo smisurato orgoglio. –

Marshall roteò gli occhi. – Non puoi sempre trattarla male... –

Decisi di non voler sentire più niente: Alice mi aveva messo in ridicolo davanti a tutta quella gente che non conoscendo, finendo per rovinarmi il mio ultimo giorno a Roma. In più, come se non bastasse, Marshall mi odiava solo perché mi ero difesa contro quella sputasentenze.

Sentii le lacrime salirmi agli occhi e non riuscii a fare nulla per trattenerle. Mi portai le mani al viso per arginarle, ma era troppo tardi: il vociare tra Marshall e Raoul era cessato.

– Stai... piangendo? – chiese uno dei due.

Non diedi loro il tempo di continuare a prendersi gioco di me: corsi via, il più lontano possibile. Uscii dalla casa, mentre la gente intorno a me si girava solo per lanciarmi qualche parolaccia quando pestavo loro i piedi. Uscii in strada e rimasi in mezzo a una delle carreggiate.

Mi sentivo sporca, come se avessi appena commesso un reato imperdonabile. Sapevo che era sbagliato picchiare la gente – mio padre, quando ero piccola, aveva imposto regole severissime a riguardo – ma non mi andava giù il fatto che dovessi sempre passare per la stupida della situazione.

Mentrepassavo in rassegna la mia infelice vita, notai in lontananza due punti gialliche si avvicinavano. Quando capii che si trattava di una macchina, non fuiabbastanza veloce da scostarmi: mi coprii con le braccia, pregando chel'autista non mi uccidesse.

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