Capitolo 4

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Spiccai il volo al compimento dei miei diciassette anni. Mia madre mi aveva organizzato una festa strepitosa; tutto grazie a mia sorella Demetria, che era riuscita a trasformare la villa in una discoteca all'aperto. Aveva invitato tutta Cincinnati e mezza Cleveland, dove aveva frequentato le scuole medie prima di andare al college a Dublino. Aveva trascorso un'intera settimana dedicandosi ai preparativi e subendo decine di insulti da Taylor, che continuava a rimbeccarla appena provava a unire due stili troppo diversi tra loro oppure colori non alla moda.

Più di una volta quella sera Demi e Tay si erano trovati sul punto di tirarsi addosso bicchieri di vetro e statue di ghiaccio scolpito, ma alla fine erano riusciti a mettersi d'accordo e a creare la miglior festa del secolo.

Dopo solo mezz'ora dall'inizio della festa la villa era completamente piena e gli invitati erano talmente tanti che a un certo punto un gruppo di intrepidi, pur di raffreddare i loro spiriti bollenti, si buttarono in piscina dal primo piano della villa. Soffocai un urlo e risi di gusto vedendoli risalire dall'acqua mentre si dimenavano per il panico: pensai alla sensazione che avrebbero dovuto provare sentendosi attorcigliati da decine di fili colorati che la furba Demi aveva rubato a Tay per, come disse lei, "giocare a scoprire la sfumatura di rosso che Taylor raggiunge sotto pressione".

Tutti i presenti risero di gusto e, reggendosi la pancia per tentare di smettere di ridere, li aiutarono lentamente a uscire dalla piscina. Alla fine della festa c'era una decina di persone piene di lustrini che cercavano di staccarsi paillettes dai vestiti.

– È il momento dei regali! – urlò Tay battendo con forza le mani. Era un ragazzo mingherlino per la sua età – anche se da anni faceva palestra e i risultati erano piuttosto evidenti – ma aveva due polmoni da fare invidia a una balena.

La gente iniziò ad ammassarsi intorno a noi e ognuno di loro mi porgeva pacchetti mezzi scartati, sopravvissuti alla festa. Ricevetti i regali più svariati: una penna con il mio nome, un taccuino con delle foglie versi, una bottiglia vuota di birra, un mazzo di fiori ­– o meglio, un mazzo di foglie senza fiori –, una trousse...

Dopo la torta – un colosso a sei piani con coloranti ovunque – mentre gli invitati cominciavano a scemare, Taylor mi diede il suo regalo.

– È fantastico. – mi assicurò mettendomi in mano una lunga scatolina rosa. – Se non ti volessi così bene lo terrei per me. –

Sorrisi alzando gli occhi al cielo e aprii la confezione, rigorosamente impacchettata con diversi giri di filo colorato: feci una risatina strozzata nel tirare fuori una collana con un ciondolo a forma di cuore intarsiato con motivi floreali.

– È bellissima! – gli urlai per sovrastare le conversazioni degli altri invitati.

– Aprila! – urlò Tay a sua volta, contorcendosi le mani per trattenere l'euforia.

Solo allora notai che il cuore si poteva aprire. Feci un po' di forza e il gioiello rivelò al suo interno una minuscola foto di Tay che sfoggiava il suo completo preferito, quello con cui l'avevo visto per la prima volta.

– È una sciocchezza. – disse lui, passandosi distrattamente una mano dietro la nuca. – Ma sapevo ce ti sarebbe piaciuta comunque. – mi spiegò, indicando la collana che tenevo in una mano. – Puoi inserire un'altra foto oltre la mia, magari di qualcuno che diventerà importante per te... –

Non sapevo cosa dire. Avevo le lacrime agli occhi, ma mi morsi un labbro per non piangere.

Lui sbuffò. – So che sei forte e non piangi mai, sorella, ma sappi che ti voglio bene. –

Io lo abbracciai di slancio, senza neanche rendermene conto. Tay, dopo un primo momento di resistenza, mi strinse forte a sé, cingendomi con le sue braccia muscolose. Respirai il suo profumo – e per poco non tossii – e lo ringraziai per essere il migliore amico di sempre.

– Lo so, dolcezza. Lo so. – rispose lui poggiandomi il mento sulla nuca. Era molto più alto di me e adoravo quando mi stringeva a sé con fare protettivo, facendomi scudo con il suo corpo. Lo adoravo. Era l'unica persona con cui mi fossi mai trovata completamente a mio agio. Stavo per dirglielo, quando lui si staccò e mi guardò con uno sguardo ferito, quasi... colpevole.

– Tua madre vuole parlarti. – disse tutto a un tratto. – Quando avrete finito mi troverai nella tua stanza a buttare un po' di quegli orrendi vestiti. –

Neanche la sua battuta – sperai vivamente che fosse una battuta – riuscì ad alleviare la pesantezza del suo tono. Credetti per un attimo che mia madre dovesse darmi brutte notizie su mia sorella Evelyn, che in quel momento si trovava a New York come sostenitrice della lotta contro le malattie genetiche.

Lasciai Tay in mezzo ai ragazzi che stavano abbandonando la villa e mi fiondai all'interno, spingendo involontariamente gli invitati che stavano parlando sul portico.

Entrai in casa, dove regnava il silenzio. I pochi invitati rimasti erano fuori. Corsi su per le scale, facendo i gradini a due a due. Saltai gli ultimi tre e per poco non inciampai.

Corsi anche nel corridoio – una delle regole della casa era non correre o scorrazzare in giro – e mi bloccai solo davanti alla porta della camera di mia madre.

Era chiusa e si sentiva la sua voce particolarmente felice. Intuii due cose: la prima che stava parlando al telefono con qualcuno – probabilmente Olga, la sua amica stregaccia che odiava tutti gli adolescenti – e la seconda che era felice, quindi non c'erano brutte notizie.

Feci un respiro profondo e bussai lentamente. Mia madre rimase un attimo in silenzio, poi salutò Olga; infine disse: – Vieni, cara. Ti stavo aspettando. –

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