Capitolo 33

7K 352 12
                                    

Vidi la macchina venirmi addosso in un secondo e pensai che fossi spacciata, ma quella frenò in tempo, fermandosi a pochi centimetri da me e lasciando una grossa sgommata sull'asfalto. Continuai a piangere, questa volta perché avevo appena assistito alla mia quasi-morte in diretta.

Dall'auto scese qualcuno, che mi si avvicinò con cautela.

– Che diavolo fai?! – urlò lui, alzando le braccia al cielo. – Avrei potuto ucciderti! –

Lo guardai negli occhi e rimasi piacevolmente colpita; il mio quasi-assassino era davvero un bel ragazzo: aveva corti capelli marrone chiaro, che gli incorniciavano gli occhi a metà tra il grigio e l'azzurro; sotto la maglietta bianca aderente si notava il suo fisico scolpito.

Disse qualcosa, ma ero troppo rapita dai suoi addominali per ascoltarlo. Così ripeté. – Stai... stai piangendo? –

Il suo tono era cambiato, ora era più dolce. Mi accorsi solo allora che razza di mostro potessi sembrare: avevo gli occhi gonfi e rossi per il pianto, cerchiati di nero a causa del trucco colato, per non parlare della mia recente figuraccia che poteva sembrare un tentato suicidio.

Scossi la testa, ma il ragazzo accanto a me non si fece mettere da parte. – Ehi, tranquilla, puoi parlarne con me. Del resto ti ho quasi ficcata sotto questa sera. –

Sorrisi e lui parve illuminarsi. – Aspetta un attimo. – mi disse con un sussurro. Mi lasciò da sola in mezzo alla strada, a pochi centimetri dalla sua macchina. Tornò nell'auto e poco dopo ne riemerse con un pacchetto di fazzoletti, che mi consegnò.

Lo ringraziai mestamente e mi asciugai le lacrime. Ora mi sentivo meglio. Lui sorrise e cercò di attaccare bottone.

– Non ti ho mai vista qui. – mi disse. – Sei nuova? –

– In realtà vengo dall'Ohio. – gli spiegai.

Lui mi guardò stupito. – Wow, oltre oceano! E qual buon vento ti porta in questo quartiere di pazzi psicopatici della capitale d'Italia? –

Sorrisi e mi morsi un labbro. Sentivo l'alcool girarmi ancora per lo stomaco e avevo la testa pesante, ma parlare con quello sconosciuto mi stava piacendo. – Sono qui per mio padre. Lui... –

Non riuscii a finire la frase, che il ragazzo davanti a me cambiò subito espressione. Sembrava quasi seccato. – Abbiamo compagnia. –

Mi voltai e incrociai gli occhi furenti di Marshall. Il ragazzo veniva verso di noi a grandi falcate e, una volta raggiuntici, si piazzò tra me e il mio interlocutore.

– Stalle lontano, Gregori. – gli intimò Marshall.

Il ragazzo davanti a me lo sfidò con lo sguardo. – Povero Hamilton. Dopo che Alice ti ha mollato vai in giro a prendertela con delle povere ragazze come lei? Sei tu che devi starle lontano. Lei è troppo intelligente per stare con uno come te. –

Vidi Marshall irrigidirsi. Chiuse la mano a pugno e fece per attaccare il ragazzo davanti a me, ma Raoul, che era sbucato dal nulla, li divise prontamente. – Non abbassarti al suo livello, amico. –

Marshall serrò la mandibola, senza però schiudere il pugno. Le sue nocche erano diventate bianche. Per un attimo pensai che gli sarebbe saltato al collo, ma alla fine mi prese per un braccio e mi strattonò via, bofonchiando un "È ora di tornare a casa". Cercai in tutti i modi di divincolarmi, ma più provavo a liberarmi, più la sua presa si faceva salda.

Mi trascinò per qualche metro, sorreggendomi, dato che tra l'alcool e i tacchi ero praticamente incapace di muovermi bene da sola. Sembravo un tricheco alle prese con le prime lezioni di danza classica, esattamente come mi aveva etichettato Tay la prima volta che mi aveva vista camminare sui tacchi.

A un certo punto mi bloccai di scatto e mi girai, notando con un sorriso che il ragazzo con cui stavo parlando fino a poco tempo fa mi stava ancora guardando. Lo salutai con la mano libera e gli mandai un bacio. Lui mi rispose sorridendo, facendomi capire a gesti quanto poco simpatico fosse Marshall. Annuii sconsolata e divertita allo stesso tempo, mentre Marshall mi trascinava lontano dalla casa e dal bel ragazzo con cui avevo fatto amicizia.

– Ehi, fratello! – urlò qualcuno dietro di noi. Marshall si bloccò di scatto e si girò, allentando di poco la tensione sulle spalle non appena vive Raoul sventolare un mazzo di chiavi mentre veniva nella nostra direzione. – Non vorrai mica andare a piedi, vero? –

– In realtà... – rispose Marshall con una scrollata di spalle. – Che alternativa ho? –

Raoul esibì uno sei suoi ghigni. – Ti ricordo che ho una macchina e che, caso strano, ho anche una patente magica che mi permette di guidare la mia macchina. –

Marshall sbuffò. – Non voglio disturbarti, tu hai una festa in corso? –

Raoul mi passò una mano dietro la schiena per sorreggermi, esattamente come stava facendo Marshall dall'altra parte. – Siamo fratelli di vita: un tuo problema è anche un mio problema. E per la festa... ho già incaricato Raf di prendere le redini della serata. Vedrai, andrà tutto bene. –

Marshall annuì poco convinto, ma alla fine lo ringraziò. Raoul sorrise soddisfatto e ci fece strada fino alla sua macchina, una Audi A5 Cabriolet, come potei leggere di sfuggita prima di essere spinta dentro l'auto.

Raoul si sedette al posto del guidatore, Marshall gli fece da copilota e io fui rilegata sul sedile posteriore. L'auto era davvero bella: gli interni in pelle color crema erano perfettamente abbinati alla carrozzeria nera, lucente come se fosse stata appena assemblata.

Poggiai i gomiti uno per ogni sedile che avevo di fronte a me e chiesi a Raoul per quale motivo non girasse con il tettuccio aperto. Lui mi rispose semplicemente che non si fidava di me, ma io ero sicura che quella fosse solo una scusa. Perché mai avrebbe dovuto aver paura di una come me?

Non appena partimmo, sentii l'adrenalina montarmi in petto. Mi sporsi in avanti, cercando di arrivare a una sorta di stecca bassa che si trovava tra i sedili. – Cos'è questo? – chiesi curiosa.

Raoul mi incenerì con lo sguardo. – È il cambio per scalare le marce. Qui le macchine non hanno il cambio automatico. –

Emisi un oh sommesso prima di sporgermi ancora e accendere la radio. Raoul sbuffò, ma mi lasciò fare. Diede a vedere i primi segni di nervosismo quando cambiai la stazione della radio per la sesta volta.

– Marshall, per favore. – lo supplicò Raoul, tenendo d'occhio in contemporanea me e la strada. – Non posso pensare a lei. Vorrei farti notare che sto guidando. –

Marshall si girò verso di me, anche se la cinta rendeva meno liberi i suoi movimenti. – Audrey, che ne dici se teniamo questa stazione radio? –

Io ci riflettei un attimo, poi annuii. – D'accordo, ma in cambio voglio poter spostare lo specchietto retrovisore. –

Marshall si passò una mano tra i capelli. – No, Audrey. Lo specchietto devi lasciarlo così com'è. –

Sbuffai e incrociai le braccia sotto il seno, mettendo il broncio. Marshall mi lanciò un'occhiata, poi represse un sorrisetto in un colpo di tosse. Raoul, accanto a lui, cercava solo di fare finta che io non esistessi.

Rimasi un paio di minuti così, finché qualcosa sul marciapiede non attirò la mia attenzione. Mi sporsi velocemente dalla parte di Marshall, indicando con un dito qualcosa davanti a noi.

– Fermala macchina! – urlai.

Just friendsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora