Capitolo 36

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Marshall's pov


Ero seduto sul divano del mio appartamento a fissare lo schermo del telefono. Non sapevo che fare: quel pomeriggio, appena mi ero svegliato, avevo inviato un messaggio ad Audrey chiedendole come stesse. Lei, però, non mi aveva ancora risposto.

Così avevo spettato ancora, arrivando alle sette di sera e ritrovandomi ancora nella stessa posizione che non avevo abbandonato da ore. Il telefono improvvisamente si illuminò. Sbloccai velocemente la tastiera e rimasi deluso nel vedere un messaggio di Raf che mi diceva che sarebbe rientrato tardi.

– Magari non si è ancora svegliata. – borbottai con poca convinzione.

Alla fine le mandai un altro messaggio. "Ehi, tutto bene?"

Non mi arrivò una risposta neanche questa volta. Mi alzai dal divano e mi trascinai in cucina, presi una birra e un pacchetto di patatine, tornai in salone e consumai la mia cena, tenendo sempre d'occhio il telefono.

Non riuscivo a capire perché tenessi così tanto a quella ragazza: forse mi sentivo in colpa per ciò che era successo diversi anni prima e che lei mi aveva fatto brutalmente notare la sera precedente. Speravo con tutto me stesso che mi rispondesse, in modo da poter chiarire ciò che era successo: la festa, la rissa con Alice, quel cretino di Gregori, i palloncini, il bacio... Perché sì, lei mi aveva baciato e io volevo sapere perché. Insomma, non che mi interessasse davvero cosa aveva da dire, dato che non rispondeva ai miei messaggi. Gliene mandai un altro. "Mi stai facendo preoccupare. Puoi chiamarmi?"

Niente, la risposta non arrivava. Continuai a mangiare patitine, bere birra e fissare lo schermo del telefono come un ossesso. Passò un'ora senza che lei si facesse viva. Alla fine lasciai il pacchetto mezzo aperto sul tavolino e mi sdraiai sul divano.

Ogni tanto – ogni otto minuti, per la precisione – le mandavo un messaggio, sempre meno gentile del precedente. L'ultimo fu qualcosa del genere: "Okay, se non ne vuoi parlare va bene. Ma cazzo, rispondi!"

Non avevo mai accennato al bacio, ma solo alla serata, comunque di sfuggita. Non sapevo che fare: mi sentivo un po' in imbarazzo e sapevo che in quel momento lei mi avrebbe considerato uno stalker, ma qualcosa in fondo al petto mi spingeva a scriverle comunque.

Alla fine gettai il telefono sul tavolino, frustrato, e mi coprii la faccia con il braccio.

– 'Fanculo. In realtà non ti interessa ciò che ha da dirti. – provai a convincere me stesso. La mia opera di auto convincimento si dissolse nel nulla quando il telefono vibrò ancora. Mi ci fiondai sopra, sbattendo con il mignolo contro la gamba del tavolino. Masticai un'imprecazione e sbloccai la tastiera; lessi il messaggio: "Ciao, amore, come stai?"

Era mia madre. Digitai un veloce "Tutto bene" e glielo inviai. Ricaddi sul divano e non mi alzai da lì finché non sentii un rumore di chiavi provenire dall'ingresso.

– Sono a casa! – urlò Raoul. Non appena mi vide sdraiato sul divano, trattenne a stento un sussulto. – Merda! Che hai combinato? Non mi dire che hai ammazzato una persona! Ho la pala in garage e... –

Sbottai. – Che cazzo dici? Non ho ammazzato nessuno! –

– Okay, non c'era bisogno di attaccarmi in questo modo. Sai che sono una persona emotiva. –

Sbuffai e lui si sedette accanto a me. – Cosa c'è che non va? –

Scossi la testa, cercando di non far trapelare nulla. Di solito ero bravo a nascondere i miei sentimenti, ma Raoul mi conosceva da così tanto tempo che anche un piccolo cenno per lui era rivelatorio.

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