Capitolo 80

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Marshall's POV

Mio padre rimase congelato sul posto, fissando la donna davanti a lui.
- Come... - inizio' lui, balbettando per la prima volta in vita sua. - Quando... Quando ti sei trasferita qui? -
- Dovrei fartela io questa domanda. - ribatte' lei, edifentemente scioccata. - Pensavo vivessi negli Stati Uniti. -
Lui si allento' letamente la cravatta, gesto che faceva solo quando era sotto stress. - Ci siamo trasferiti qui quasi dieci anni fa. -
- Ci...? - chiese lei, confusa.
Io feci un passo avanti. - Io e i miei genitori. -
Lei annui' lentamente, senza aggiungere altro.
- Posso sapere che diavolo sta succedendo? - chiesi alla fine, alzando il mio tono di voce.
Mio padre mi fisso' con sguardo severo, invitandomi a calmarmi, ma io non riuscivo davvero a capire perche' uno come lui avesse appena perso la sua faccia marmorea nel solo vedere quella donna.
- Ne parleremo a casa. - disse lui, chiudendo la conversazione.
Sapevo bene che non avrei potuto ribattere per nessun motivo, quindi rimasi solo in silenzio, rimuginando su cio' che era successo.
Mezz'ora dopo la segretaria ci informo' che potevamo lasciare l'edificio. Mio padre prese la sua valigetta con fretta e si doresse verso la porta senza dire niente, non prima di essersi fermato un paio di secondi per guardare la donna negli occhi, come per accertarsi che fosse realmente lei.
Si avvio' verso la macchina a passo spedito e dovetti quasi correre per stargli dietro.
Una volta che entro' in macchina, pero', decisi che dovevo tornare indietro.
- Padre, ho dimenticato qualcosa nella centrale. E' piuttosto importante. -
Lui fece schioccare la lingua sul palato. - Va bene. Ma sbrigati, o ti lascio qui. -
Annuii e corsi dentro. Appena varcai la soglia della porta, tutti mi fissarono. Abbassai lo sguardo sul pavimento e mi avviai verso il gruppo con cui ero arrivato li'.
Prima di raggiungere i divanetti, pero', qualcuno mi si piazzo' davanti, sbarrandomi la strada.
- Dove credi di andare? - chiese Gabriele retoricamente, fissandomi con sguardo di fuoco.
- Non e' un tuo problema. - risposi io, cercando di passare.
Lui sembro' sul punto di colpirmi.
- Gabriele, torna qui, per favore. - chiese sua madre con voce preoccupata.
Lui si contorse le mani, ma alla fine se ne torno' a cuccia. Bravo cane.
- Che sei tornato a fare? - chiese lui severamente.
- Devo parlare con Filippo. - risposi.
Lui si adiro' di nuovo. - Assolutamente no! Non... -
- Gabriele. - lo rimprovero' la madre. - Lascialo andare. -
Lui si morse un labbro e io ne approfittai per avvicinarmi al bambino, che stava seguendo la scena con sguardo curioso.
- Ti sei spaventato? - gli chiesi io, abbassandomi sulle ginocchia per essere al suo stesso livello.
Lui scosse la testa. - E' stato fortissimo! -
Lo fissai con un sopracciglio alzato. - Non e' stato... fortissimo. E' una cosa sbagliata da fare. -
- Anche quando lo fai per la ragazza che ti piace? - chiese lui con tono ingenuo.
Incrociai lo sguardo di Audrey per un secondo, senza realmente sapere cosa fare. Sapevo di essermi comportato da stupido. Sapevo che fare qualcosa del genere avrebbe solo reso tutto piu' difficile. Ma sapevo anche che ero innamorato di Audrey fin da quando eravamo bambini e giurai che avrei trovato un modo per mettere a posto le cose. Fosse stata l'ultima cosa che avessi fatto in vita mia.
- Sai, Filippo. A volte nella vita dovrai combattere per cio' in cui credi o a cui tieni. - gli spiegai, cercando di non farmi sentire dall'altro ragazzo. - Ma la violenza non e' mai la soluzione. Sii intelligente, batti i tuoi avversari con le parole, perche' le parole sono piu' taglienti di un coltello in molti casi. -
Lui mi fisso'. - Grazie. -
Gli arruffai i capelli con un gesto fraterno. - Grazie a te per essere venuto con me oggi. Adesso devo andare, ma prometto che la prossima volta ti porto al parco. -
Lui sembro' entusiasta. Si alzo' e mi abbraccio' di slancio.
- Vedi di non combinare piu' casini, ma vai dritto al punto. - sussurro' lui direttamente nel mio orecchio.
Io lo guardai per un momento e lui mi fece cenno di andare. Salutai e mi avviai verso la porta.
Mio padre mise in moto la macchina e non proferi' parola per l'intero viaggio. Non era mai stato un padre affettuoso: trascorreva giorni interi lontano da casa, lasciandoci da soli anche per settimane. Poi, quando tornava, non passava mai del tempo con me, insegnandomi a giocare a calcio o anche solo parlando con me. Mi dava qualche euro e si chiudeva nel suo ufficio, lasciandomi da solo a fissare la porta chiusa.
Quando alla fine arrivammo a casa, mio padre non scese dalla macchina.
- Hai una domanda. - disse lui con tono piatto, piu' come un'affermazione.
- Chi e' quella donna? - chiesi io.
Sapevo che non avrebbe risposto, perche' domande personali di questo genere l'avevano sempre tenuto lontano da ogni tipo di possibile spiegazione.
Lui si porto' una mano alla faccia e improvvisamente sembro' vulnerabile. Ma cio' duro' solo per qualche secondo: lui riprese la sua compostezza e fisso' il garage davanti a se'.
- Prima di sposare tua madre viaggiavo spesso per lavoro. - inizio' lui con tono piatto. - Ho girato praticamente tutto il mondo. Una volta dovetti andare in Italia. A Milano, per l'esattezza, per una conferenza. Donatella era una delle mie segretarie in Italia e mi innamorai di lei al primo sguardo. -
Io lo guardai, ma lui continuo' a fissare il vuoto. - Rimasi li' per due mesi e, prima di tornare in America, decisi che avrei confessato a mio padre il mio amore per lei. -
Poi si rabbuio'. - Non appena seppe che avevo in mente di trascorrere la mia vita con lei, mio padre mi fece immediatamente rientrare e mi obbligo' a sposare una donna che non amavo, solo perche' apparteneva a una ricca famiglia. -
- Mia madre? - chiesi io.
Lui annui'. - Tua madre e' una donna fantastica e con il tempo ho imparato ad apprezzarla, ma non l'ho mai amata. -
Sentii il cuore stringermisi. - Ma allora perche' sei rimasto con lei? -
- Perche' mio padre disse che mi avrebbe diseredato se avessi sposato quella donna. -
- Quindi tu hai scelto il denaro al posto dell'amore. - conclusi io sarcasticamente.
Lui si adiro'. - Cosa avrei dovuto fare? Ero giovane, confuso, e non sapevo cosa fare. Ma oggi che l'ho incontrata di nuovo... -
Mi guardo' improvvisamente. - Cosa sai del ragazzo con cui ti sei preso a botte? -
Mi studiai le dita delle mani. - Che ha un ottimo gancio destro. -
Lui mi fisso' con sguardo severo e io sbuffai. - Non lo so, padre. E' il fidanzato di Audrey ed e' un poliziotto. E' tutto cio' che so. -
Lui si passo' le dita tra i capelli curati, che stavano iniziando a perdere il colore vivido di un tempo.
- Non azzardarti a dire a nessuno cosa e' successo oggi. - ordino' lui severamente. - E cosa ancora piu' importante... Non parlare con nessuno di quella donna. -
Poi scese dalla macchina e sbatte' la portiera con forza.
Io rimasi in macchina per qualche secondo prima di seguirlo all'interno.
Mio padre si chiuse nel suo studio, come sempre, mentre io mi avviai verso la mia camera.
Mi buttai sul letto e fissai il soffitto. Possibile che mio padre fosse davvero innamorato di quella donna? Non credevo che fosse mai stato capace di amare qualcuno, o per lo meno di esprimere affetto, eppure dal modo in cui l'aveva guardata non era difficile capire che stava dicendo la verita'.
Infilai la testa sotto il cuscino e urlai, soffocando la faccia nel materasso.
Sentii qualcuno bussare alla porta della mia camera e, dopo essermi calmato, dissi che la porta era aperta.
- Hey, tesoro. - mi saluto' mia madre. - Tutto bene? -
Non riuscii a sorridere in risposta, quindi lei mi si sedette accanto, abbracciandomi come quando ero piccolo e mio padre mi metteva in punizione ogni volta che uscivo di casa di soppiatto per andare a trovare Audrey.
Rimanemmo in quella posizione per un po' e mi godetti l'abbraccio confortevole di mia mamma.
Quando alla fine si stacco', mi guardo' con occhi dolci. - Ne e' passato di tempo dall'ultima volta che mi hai abbracciato in questo modo. -
Tirai su con il naso. - Almeno otto anni. -
Lei mi passo' le dita delle mani tra i capelli e mi sorrise. - Sai che puoi parlare con me di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, vero? -
Il sorriso che mi spunto' sulle labbra fu sincero. - Grazie, mamma. -
Lei mi diede un bacio sulla fronte e usci' dalla stanza, lasciandomi da solo con me stesso.

La settimana seguente chiesi ad Audrey se le fosse piaciuto passare del tempo con me e la invitai a casa dei miei genitori, visto che loro erano in Germania per il loro anniversario di matrimonio.
Dal giorno della rissa mio padre non mi aveva piu' rivolto la parola. Non che la situazione fosse cambiata piu' di tanto, ma evidentemente ero in errore nel pensare che potesse andare peggio di come non fosse gia'.
Lei accetto' volentieri e mi disse che anche lei aveva qualcosa di cui parlare.
Quando sentii il campanello suonare, corsi ad aprire. Era quasi l'inizio delle vacanze di Natale e il freddo stava iniziando a farsi sentire.
Anche con il suo maglione largo e i capelli tirati su in uno chignon improvvisato, Audrey era bellissima come sempre.
La invitai ad entrare e lei si guardo' intorno per un po'.
- Questo posto mi ricorda molto la casa di Tay. Intendo... la casa in cui vivevi da piccolo. -
- Non preoccuparti. - la rassicurai, vedendola in difficolta'. - Effettivamente adesso e' la casa del tuo migliore amico. -
Lei si avvio' verso il pianoforte a coda in salone. - Non proprio. I suoi genitori abitano li', ma lui non ha intenzione di tornarci. -
- Non ha un buon rapporto con i genitori, eh? - commentai io e lei mi fisso' per un momento.
- Chi ce lo ha? - chiese, sapendo che anche con la mia famiglia non andavamo proprio d'accordo.
Poi riprese a passare la mano sul pianoforte, senza pero' toccare i tasti.
- Sai suonare il piano? - le chiesi.
Lei sorrise. - Ho studiato pianoforte per sei anni. Sai, questione di... alta societa', credo. I tuoi genitori non hanno costretto anche te a suonare uno strumento? -
Mi passai una mano tra i capelli. - Quando siamo arrivati qui in Italia volevano che studiassi violino, ma odio la musica classica. Insomma, mi ci vedi a suonare un... violino? Cosi' ho deciso di imparare a suonare il pianoforte da me, visto che ne avevamo uno in casa. -
Lei mi fisso' sbalordita, spostando lo sguardo dal pianoforte a me. Sentii qualcosa dentro di me iniziare a fremere e mi schiarii la gola.
- Non sapevo che suonassi il piano! - commento' lei, visibilmente colpita.
Io scrollai le spalle. - Ho un paio di amici che hanno imparato da soli e sono entrato nel giro senza neanche accorgermene. -
Lei sorrise e io sentii l'impulso irrefrenabile di andarle vicino, guardandola come se fosse stata la vosa piu' meravigliosa del mondo. E lo era.
Lei mi fisso' non appena mi avvicinai. - Un tempo eravamo migliori amici. Sapevamo tutto l'uno dell'altra. Ti consideravo il mio eroe. -
- Cosa e' cambiato? - mi sentii chiederle.
Lei emise un sospiro. - Sono passati tanti anni, Marshall. Non ti ho sentito per tantissimo tempo. Come pretendi che tutto torni alla normalita' solo perche' adesso sono qui? -
Mi morsi un labbro. - Non lo so. Ma penso che il fatto che ci siamo incontrati di nuovo sia un segno. -
- Un segno di cosa? - chiese lei.
Mi avvicinai ancora: adesso potevo sentire il suo respiro che si faceva piu' pesante. - Un segno del destino. Audrey, fin da quando eravamo piccoli siamo sempre stati uniti. Ci siamo sempre difesi a vicenda e ogni volta che qualcosa di brutto accadeva a uno di noi, l'altro non esitava un istante a mettere da parte i suoi problemi per rendersi utile. -
Mi schiarii la voce una seconda volta, attingendo ai miei vemti secondi di coraggio. - Per te sono sempre stato il tuo fratello maggiore. Ed e' una sensazione fantastica, non fraintendere. Ma per me era qualcosa di piu'. Lo e' sempre stato, Audrey. E quando mio padre ha detto che ci saremmo trasferiti dall'altra parte del mondo gli ho detto di no per la prima volta nella mia vita. -
Lei sembro' confusa e colpita allo stesso tempo, ma non proferi' parola.
- Il fatto e' che cio' che provavo andava oltre l'amicizia. - continuai io, sapendo che era arrivato il momento di scoprire le mie carte. - E dopo tutto questo tempo non ho mai smesso di pensare a te. Mai, Audrey. Sono cambiato, questo e' vero. Non sono piu' il ragazzino indifeso di una volta. Ma i miei sentimenti per te non sono mai cambiati. -
Mi avvicinai ancora e le posai una mano sulla guancia. - Sono innamorato di te da quando eravamo bambini e la distanza non ha fatto altro che rendere il tutto ancora piu' forte. Amo il tuo sorriso, il tuo sguardo. Amo il fatto che non hai mai smesso di essere te stessa. Amo te. -
Cazzo, l'avevo detto. E non ci sarebbe stato piu' un punto di ritorno.

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Angolo autrice:
Sono in ritardissimo, ma wattpad ha avuto la brillante idea di cancellare il mio capitolo, quindi ho dovuto scriverlo di nuovo da capo.
Spero che vi piaccia, penso che questo sia uno dei capitoli che mi piacciono di piu' in assoluto, se non addirittura il mio preferito. Adoro scrivere dal punto di vista di Marshall e penso che il prossimo capitolo sara' ancora da parte sua.
Fatemi sapere cosa ne pensate! :)

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