Trascorsi i quattro giorni seguenti come se fossi una turista qualunque: la mattina mi alzavo presto, facevo colazione da sola e uscivo per visitare qualche posto – anche se non conoscevo praticamente nulla della storia del luogo; poi pranzavo con un panino e il pomeriggio mi fermavo in qualche grande parco al centro di Roma per leggere, disegnare o ascoltare la musica. Tornavo verso le sei o le sette di sera, facevo una doccia veloce e aiutavo Lucia quando le serviva il mio aiuto a preparare la cena. Una sera mio padre ci aveva addirittura portato a cena fuori, in un ristorante piccolo ma affollato che faceva una pizza margherita straordinaria. La sera Filippo a volte mi chiedeva di rimanere un po' con lui e giocare con i Lego, delle piccole costruzioni di plastica che adoravo fin da piccola. Aveva una rappresentazione in miniatura del Millennium Falcon di Star Wars e più di una volta scherzando – o forse no? – lo avevo avvisato che, quando fossi tornata in America, me la sarei portata con me.
– Te la presto volentieri. – mi rispose una sera, mentre fingeva di sparare alla nave spaziale con un piccolo fucile in mano a una delle guardie dell'Impero. – Così dovrai per forza tornare da me prima o poi per restituirmela. –
Rimasi sorpresa da quelle parole: non pensavo che quel piccolo mostriciattolo potesse provare simpatia nei miei confronti.
Mi resi conto di aver già trascorso una settimana a Roma quando Lucia me lo fece notare con un sorriso sbilenco. – So che hai visto qualche opera qui a Roma, ma mi piacerebbe molto se qualcuno di noi ti accompagnasse in giro per la città a vedere qualche bel monumento particolare. –
La ringraziai ma scossi la testa. – Non penso che sia possibile: mio padre lavora fino a tardi e tu, beh, hai di meglio da fare che portarmi in giro per Roma, presumo. –
Lei annuì. – Per questo l'ho chiesto a Marshall. –
Mi si gelò il sangue nelle vene. – Marshall? – ripetei con un filo di voce. Non volevo rivederlo, anche se una vocina in fondo al petto mi disse che mi stavo comportando come una ragazzina viziata. La zittii con uno sbuffo.
– Marshall, certo. Durante l'estate c'è poco da fare e lui ha appena rotto con la sua fidanzata. Si sono presi un periodo di pausa, capisci? Quelle cose che dicono i ragazzi di oggi quando sono stufi di starsene sempre appiccicati tra loro. Ma io so che presto torneranno insieme. Marshall è davvero cotto di lei. – Lucia mi fece l'occhiolino e mi passò un foglio.
– Qui c'è il suo numero. – mi informò, anche se aveva già scritto il suo nome con dei grossi caratteri colorati. – Mi ha detto di informarti che puoi chiamarlo quando vuoi, anche subito. –
La ringraziai, ancora spaesata, poi tornai in camera mia. Mi sedetti sul letto e fissai il biglietto come se potesse scomparire da un momento all'altro. Non volevo chiamarlo, ma al contempo volevo chiamarlo. Era difficile da spiegare. Lottai contro l'impulso di chiamarlo, ma alla fine digitai il suo numero. Fissai lo schermo per un po', poi lasciai il telefono sul letto, dandomi della stupida.
– Che stai facendo? – mi chiese la vocina flebile di Filippo mentre si affacciava nella mia camera solo con la testa. – Posso entrare? –
Lo invitai dentro e lui si richiuse la porta alle spalle. Osservò per un momento la mia camera e fissò la valigia ancora intatta sotto il mio letto. – Hai già rifatto le valigie? –
– No, non ho mai tirato fuori tutti i vestiti, visto che sarei rimasta solo due settimane. –
Lui sembrò turbato, ma alla fine cercò di non darlo troppo a vedere. – Con chi stavi parlando? Se vuoi me ne vado così non ti disturbo. –
Fece per andarsene, ma lo bloccai quando era sulla soglia della porta. Rimasi colpita dal mio spirito d'iniziativa. – Rimani, se vuoi. Mi fa piacere la tua compagnia. –
Lui si illuminò in volto e mi chiese di potersi sedere ai piedi del letto. Rimase distante e per questo lo ringraziai mentalmente: non sapevo come comportarmi con un fratello minore. Lui fissò il telefono, ancora acceso, poi mi guardò piegando la testa come un cucciolo di cane.
– Tua mamma mi ha dato il numero di Marshall. – lo informai. – Mi ha detto che lui potrebbe farmi da guida turistica in città. –
Il bambino sorrise compiaciuto. – Marshall è un'ottima guida: a volte, quando non ha niente da fare, mi porta in giro e mi insegna tutte le stradine di Roma. Io non me le ricordo mai, ma lui me le ripete sempre senza perdere mai la pazienza. –
– Ti sta simpatico? – chiesi d'impulso.
Lui mi guardò come se avessi appena detto la cosa più ovvia di questo mondo. – Certo! È l'unico amico che ho e l'unico con cui mia madre mi permette di uscire. Mi fa sempre molti regali. –
Cercai di focalizzare l'attenzione su qualcos'altro. – Perché non hai amici? –
Lui si guardò la punta dei piedi, improvvisamente interessanti. – A scuola tutti mi prendono in giro perché non mi piace giocare a calcio. Ma io non sono capace e qualche volta glielo dico, però c'è un bambino che non mi lascia mai giocare con gli altri e spesso mi ruba la merenda. –
Lo guardai allibita. – Ne hai parlato con tua mamma? –
Lui scosse la testa. – Lei mi considera il più bravo della classe e questo è vero, ma non mi ascolterebbe se le dicessi cosa succede a scuola. Per lei conta solo fare bella figura sulle sue amiche. –
Sembrava stesse parlando da solo e, quando si accorse che io ero ancora lì, le sue orecchie si colorarono di rosso in pochi secondi. – Non volevo dire quello che ho detto... – tentò di giustificarsi.
Io gli sorrisi. – Non preoccuparti. Vediamo di fare qualcos'altro... –
– Chiamiamo Marshall! – propose lui con un sorriso.
Aprii la bocca per rispondere che non mi sembrava una saggia idea, ma la richiusi improvvisamente, a corto di una scusa plausibile. Del resto una guida turistica non mi sarebbe stata d'intralcio in una città grande come Roma. Composi il numero e premetti il tasto verde. Il telefono squillò diverse volte ed ero sul punto di riagganciare quando sentii la sua voce dall'altro lato della linea.
– Pronto? –
Rimasi in silenzio per un momento. – Ciao, Marshall. Sono Audrey. –
Lui sembrò meravigliato tanto quanto me. – Oh, ciao. Come stai? –
– Bene, grazie. E tu? –
– Bene. – ci fu un momento di silenzio imbarazzante. – Hai, uhm, bisogno di qualcosa? –
– No! – quasi urlai nel telefono, tanto che Filippo mi guardò sconcertato. Ripetei la parola in modo più calmo. – Lucia mi ha detto che ti eri proposto di farmi da guida turistica per Roma. –
Lui emise un verso affermativo. – Oh, giusto. –
– Ma se non vuoi... – iniziai io. Del resto neanche a me piaceva l'idea di rimanere del tempo con lui.
– Ma certo che voglio! Insomma, sei nuova di qui e non penso che ci sia qualcuno al mondo che conosce le stradine di Roma meglio di me. –
Alzai gli occhi al cielo. – Allora non è un problema? –
– Assolutamente no! – rispose lui allegro. – Ti vengo a prendere domani mattina alle nove, okay? –
Annuii, poi mi ricordai che non poteva vedermi. – Okay. A domani. –
– Oh, un'ultima cosa: grazie. –
Gli chiesi perché mi stesse ringraziando, ma lui mi attaccò prima di potermi dare una risposta. Fissai lo schermo per un paio di secondi, poi tornai sul pianeta Terra, dove due occhi curiosi mi stavano scrutando.
– Ha detto che mi accompagnerà. – gli spiegai.
Filippo sorrise sornione. – Bene, sono contento che abbia accettato. – Non capii se si stesse riferendo a me o a Marshall. Alla fine mi informò che era ora di cena. Andammo in cucina insieme e per un attimo dimenticai che eravamo nati da due madri diverse.
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Just friends
Teen FictionAudrey è una ragazza con un passato difficile: da piccola è stata abbandonata da suo padre e dal suo migliore amico, situazione che l'ha costretta a costruire intorno a sé un muro di sfiducia e incertezza e che pian piano l'ha spinta nel baratro del...