Capitolo 15

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Rimasi in camera a fissare il soffitto per pochi minuti, sebbene mi sembrassero ore. Poi qualcuno bussò alla porta: evidentemente era l'ora della buonanotte.

- Posso? - Marshall entrò in camera.

Io mi tirai su a sedere, scattante come una molla. - Credevo fossi Filippo. -

Lui scrollò le spalle. - Spiacente di deluderti. - Rimase fermo davanti alla porta finché alla fine non indicò i piedi del letto. - Posso sedermi? -

Annuii e portai le ginocchia al petto, mentre lui prendeva posto lentamente. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e fissò un punto indistinto davanti a lui. I raggi della luna che filtravano dalla finestra gli mettevano in risalto gli zigomi pronunciati. Iniziò a parlare quasi come si fosse dimenticato che io fossi lì, a pochi centimetri da lui.

- Quando vivevo ancora in Ohio mi sentivo una specie di nullità: mio padre era sempre in giro per lavoro e mia madre lo seguiva. A scuola tutti mi prendevano in giro perché ero troppo piccolo per la mia età. Non riuscivo a trovare un vero amico con cui parlare, finché un giorno non sei arrivata tu. Sei stata come un raggio di sole dopo mesi di cielo coperto. Mi hai fatto sperare nella potenza dell'amicizia. Con te trascorrevo tutto il mio tempo libero, proteggendoti come se fossi stata la mia sorellina minore.

- Finché un bel giorno mio padre ha caricato tutte le mie cose in macchina e mi ha costretto a trasferirmi in Italia. - fece un sorriso triste. - Mi sentivo preso in giro, messo in un angolo. Tutte le mie lamentele non servirono a niente: mi prese per le braccia e mi caricò sulla macchina come se fossi stato un'altra valigia pesante. -

- Fortuna che non abitavi in un condominio. - scherzai io. - Avrebbero pensato tutti che i tuoi genitori ti avessero appena rapito o venduto a qualche trafficante di organi. -

Sorrise mestamente, ma continuò a non guardarmi. - Trascorsi i primi anni nel delirio più totale. Poi capii che non avrei avuto indietro la mia infanzia, che non avrei più rivisto te. Me ne feci lentamente una ragione e pian piano mi costruii una vita qui.

- Crescendo iniziai a praticare gli sport più disparati e a colmare i vuoti con decine di ragazze diverse conosciute a feste tutte uguali. Non sono mai riuscito a riprendermi del tutto. -

- Forse dovresti cambiare tattica. -

Quando mi guardò, mi si strinse il cuore: avevo trascorso anni interi a odiare lui e mio padre e adesso, invece, tutti i miei buoni propositi erano stati risucchiati dai suoi occhi verdi.

Abbassai lo sguardo sulle mie ginocchia per non doverlo guardare direttamente. - Magari dovresti conoscerle un po' meglio prima di portarle a casa. Sai, una volta ho invitato un ragazzo per un progetto di scuola e ha spaccato un vaso perché non gli piaceva la mia fantasia. -

Lui sorrise e per un momento rividi quel ragazzino tutto pelle e ossa con cui giocavo da piccola, quel bambino insicuro e mingherlino che tutti prendevano in giro e che non sapeva difendersi da solo. Poi però tornò serio tutto a un tratto.

- Credevi che mi fossi dimenticato di te? Che avessi voluto sbarazzarmi della tua amicizia? - chiese con un filo di voce.

- Ci speravo. - risposi con un sussurro.

Lui mi alzò il mento con due dita per guardarmi dritto negli occhi. Lessi sofferenza nel suo sguardo. - Non puoi dirlo davvero. -

Sapevo che non sarei riuscita a sopportare ancora a lungo quella sua voce incrinata. Avevo voglia di abbracciarlo, di accarezzargli i capelli come faceva lui quando piangevo per mio padre. Ma repressi quell'istinto e iniziai a giocare con il ciondolo che mi aveva regalato Tay.

Marshall parve notarlo. - È una bella collana. -

- Grazie. - Ebbi il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi. - È il mio regalo di compleanno da... - Mi bloccai, evitando accuratamente di sbattergli in faccia il fatto di averlo rimpiazzato con un altro migliore amico.

Ma lui notò il mio comportamento. - Giusto! Qualche giorno fa è stato il tuo compleanno. Beh, allora... auguri, anche se un po' in ritardo. - Lo ringraziai sorridendo. - Chi te l'ha regalata? - mi chiese allora.

Guardai il ciondolo. - Taylor. È... un ragazzo che ho conosciuto dopo che sei partito. -

- È il tuo ragazzo? - mi chiese.

- È il mio migliore amico. - non riuscii a trovare un modo migliore per dirglielo. Lo guardai per vedere la sua reazione. Lui sembrava... ferito. Era sul punto di dire qualcosa, ma lo bloccai subito. - So che per te è stato difficile cambiare completamente la tua vita da un giorno all'altro, ma lo è stato anche per me. Ho perso te e mio padre nel giro di pochissimo tempo e sono caduta in depressione. Ho trascorso anni in un centro di riabilitazione in cui mi trattavano come una pazza psicopatica pronta a suicidarsi da un momento all'altro. Ho passato i momenti peggiori lì dentro, finché non ho incontrato Tay. Lui era nella mia stessa situazione, l'ultima ruota di un carro che non potrà più rimettersi in moto. Mi ha aiutato tantissimo e mi è sempre stato vicino. È grazie a lui che sono riuscita a lasciarmi tutto alle spalle, ma ora... -

- ...ora i ricordi sono tornati a galla. - concluse lui per me. - E tutto questo fa male. -

Annuii, incerta su cos'altro dire. Non volevo rinfacciargli nulla, ma non potevo piegarmi al passato, altrimenti mi sarei spezzata.

Lui rimase ancora un po' seduto davanti a me, poi si alzò, si lisciò i pantaloni in un gesto nervoso e mi salutò. - Suppongo sia stata una giornata pesante. Buonanotte, Audrey. -

- Notte, Marshall. -

Uscì dalla mia camera, chiudendo lentamente la porta. Attesi che Filippo passasse nella mia stanza per sussurrarmi la buonanotte, prima di infilare la testa sotto il cuscino e scaricare tutta la rabbia repressa. Mi morsi una guancia per non piangere: ero forte, non avrei più pianto.

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