Capitolo 7

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– Audrey, svegliati. – disse mia madre scuotendomi con forza.

– Uhm... – mugugnai io. – Altri cinque minuti. –

– No, tesoro. Hai il volo fra poco più di due ore e mezza. –

Mi alzai controvoglia. O meglio, aprii gli occhi controvoglia, ma vedendo la luce che filtrava nella mia camera, li richiusi all'istante.

– Vado domani. – risposi infilando la testa sotto il cuscino. – Roma non scappa mica. –

Sentii mia madre iniziare a protestare, ma fu bloccata da una voce squillante e, ahimè, inconfondibile.

– Sei ancora nel letto?! – urlò Tay togliendomi le coperte. – Forza, pigrona! Vai a lavarti e a vestirti! Anzi no, solo a lavarti. Ci penso io ai vestiti. E al trucco. E ai capelli. Insomma, datti una mossa che ho moltissime cose da fare! –

Ormai era troppo tardi per riaddormentarmi. La voce di Tay mi rimbombava ancora nelle orecchie mentre mi trascinavo in bagno e mi lavavo velocemente. Dovetti sbrigarmi, altrimenti Tay mi avrebbe letteralmente strappato via dal bagno.

Quando uscii non feci neanche in tempo a dargli il buongiorno che mi passò alcuni vestiti che, francamente, non avevo mai visto. Anzi, ero proprio sicura che non fossero miei.

– Tay, dove hai preso questi vestiti? – chiesi, indicando gli indumenti.

Lui alzò le spalle. – In un negozio qui vicino. –

– Tay... –

– Non cominciare! – corse dall'altro capo della stanza e frugò nei cassetti alla ricerca dei trucchi. Quando li trovò, li esibì come un trofeo.

– Sapevo che erano qui. – disse. – Meno male che nel tuo beauty case ho inserito qualche trousse... –

– Hai fatto cosa?! –

– Zitta e siediti. Ho meno di dieci minuti per sistemarti quella zazzera di capelli in qualcosa di diverso da un nido per uccelli. –

– Sei molto spiritoso, Tay. – lo presi in giro.

– Lo so. Me lo dicono in tanti. –

Trascorsi i dieci minuti più lunghi della mia vita ferma immobile come una statua di marmo, mentre Tay mi riempiva la faccia di strati di trucco e i capelli di prodotti naturali. Mi diede anche qualche consiglio – usa il verde per far risaltare i tuoi occhi, asciugati i capelli con il diffusore per non farli gonfiare... – ma ero talmente elettrizzata di vedere Roma che non lo ascoltai quasi per niente.

Dopo dieci pesanti minuti Tay terminò il suo lavoro.

– Il miracolo è compiuto! – esclamò alla fine. – Ora va', mia piccola creatura, e conquista il cuore degli italiani. –

Scossi la testa e feci per ribattere, quando mia madre – che non so quando era uscita dalla mia stanza – ci urlò che era ora di andare.

Caricammo le valigie in macchina – Tay era l'unico a riuscire ad alzare la pesantissima valigia da imbarcare – e partimmo per l'aeroporto.

Quando arrivammo, mia madre scoppiò a piangere. Alzai gli occhi al cielo : in fin dei conti sarei stata via solo un paio di settimane. Non c'era bisogno di allagare l'aeroporto!

Mentre Tay cercava di arginare il fiume di lacrime di mia madre, io imbarcai la valigia – non senza fatica – e tornai dagli altri. Mamma si era calmata e ora sorrideva amorevolmente.

Mi accompagnarono all'ingresso del check-in, poi dovetti salutarli. Mia madre si fiondò letteralmente su di me e per poco non caddi all'indietro; pianse ancora per un po' e poi si staccò, lasciando spazio al mio migliore amico. Lui prima mi guardò con un sorriso, piegando dolcemente la testa, poi mi abbracciò di slancio, togliendomi il respiro mentre mi stringeva a sé. Sentii il suo familiare profumo di menta e dopobarba.

– Passeranno in fretta, vedrai. – mi sussurrò nell'orecchio. – E se qualcuno prova a sfiorarti anche solo con un dito, hai l'obbligo di riferirmelo; prenderò il primo aereo e sarò lì in un batter d'occhio. –

Annuii contro la sua spalla. Era bello poter contare su qualcuno almeno una volta nella vita.

– Tesoro, devi andare. – disse a un tratto mia madre. – O perderai il volo. –

Mi staccai controvoglia da Tay e feci un passo indietro. Solo due settimane, continuavo a ripetermi mentre camminavo verso il check-in. Non mi voltai, perché sapevo che, se avessi incrociato di nuovo lo sguardo di Tay, non sarei più partita.

Mancavano cinque minuti all'imbarco. Me ne stavo seduta in sala d'attesa a giocare con la collana che mi aveva regalato Tay. Mi sembrava quasi di poter sentire la sua voce: "Passeranno in fretta".

Sperai vivamente che fosse così.

– È aperto l'imbarco per il volo 1909 delle ore 14:30 per Roma. – informò l'altoparlante con voce perentoria.

Attesi che la maggior parte della gente salisse – eravamo tantissimi – e poi mi imbarcai anche io. Mostrai la carta d'imbarco e il passaporto all'hostess e mi trascinai dietro la valigia leggera.

Sull'aereo il comandante mi invitò cordialmente a bordo con un bellissimo accento italiano. Gli risposi cortesemente: conoscevo la grammatica italiana perché a scuola l'avevo studiata come seconda lingua facoltativa insieme al francese. Cercai il mio posto: 37 A. Perfetto, vicino al finestrino. Avrei visto Roma dall'alto, bella come è nelle foto su Internet.

Chiusi gli occhi e mi preparai a partire. Sarebbero stare le quindici ore più lunghe della mia vita.

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