Capitolo 16

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La mattina seguente mi svegliai con un enorme mal di testa. Rimasi quasi un'ora nella doccia, prima di decidermi ad andare in cucina per chiedere a Lucia qualcosa di forte per la mia emicrania. Lei mostrò il suo sorriso più smagliante.

– Tesoro, stai parlando con la persona giusta! – mi disse, iniziando a frugare nella dispensa e nel frigorifero senza sosta. Alla fine dispose sul tavolo un uovo, della farina, foglie di basilico, aceto e pangrattato; frullò il tutto aggiungendo dell'acqua e poi me lo passò in un bicchiere. Lo presi titubante.

– Questo... uhm... cosa sarebbe? –

Lei sembrò sorpresa. – Ovvio, no? La mia miglior cura contro il mal di testa. Manda giù tutto d'un soffio. –

Lei mi fece l'occhiolino e io annusai il contenuto. Era a dir poco rivoltante, ma visto che Lucia continuava a fissarmi come se fosse stata la cosa più buona del mondo, portai lentamente il bicchiere alle labbra. Repressi un conato.

– Allora... – mi disse quando mi vide posare il bicchiere sul tavolo. – Non ti piace? –

Scossi la testa. – Ti ringrazio del pensiero, ma preferirei un'aspirina. –

Lei sembrò prenderla sul personale, ma un momento dopo mi sorrise e prese da un piccolo cofanetto una pasticca bianca e me la passò. – Forse in America non avete i rimedi della nonna. –

La guardai torva, reprimendo l'istinto di far assaggiare a lei quella robaccia che mi aveva rifilato. Alla fine la ringraziai comunque, presi la mia aspirina e la informai che avrei passato la giornata fuori. Lei mi informò che mio padre era al lavoro. Informazione inutile, comunque, ma lei me lo volle far sapere lo stesso.

Scesi in strada e mi avviai verso la fermata della metropolitana, che distava circa tre minuti a piedi da casa di mio padre. Non dovetti attendere molto: la metro arrivò dopo neanche un minuto, non erano ancora le dieci di mattina e c'era già molta gente. Mi guardai intorno: la maggior parte dei pendolari era vestita in giacca e cravatta o teneva in mano una valigetta da lavoro; alcuni stringevano cartelle cliniche o borse particolari e il resto di loro era gente che probabilmente aveva la giornata libera da dedicare a se stessi.

Scesi alla fermata di Spagna, uscì dalla metropolitana e mi ritrovai sulla piazza principale. Al centro c'era un grande obelisco circondato ai quattro lati da una serie di gradini e quattro fontane poste sui vertici. Le fontane a forma di leone davano un effetto imponente al tutto, anche se non era largo più di qualche metro.

Continuai oltre l'obelisco, in direzione di via del Corso, la strada conosciuta principalmente per i suoi negozi. Entrai in diversi posti e comprai una maglietta, un paio di orecchini e un sacchetto di caramelle. Poi tornai in direzione dell'obelisco e mi sedetti sugli scalini, assaporando i dolci che avevo appena comprato.

Tirai fuori il mio album da disegno e iniziai a ritrarre particolari di ciò che vedevo intorno a me: la testa del leone della fontana, gli archi all'ingresso della piazza, l'insegna di un ristorante lì davanti.

Quando controllai l'orologio, erano quasi le tre. Non avevo pranzato e mi resi conto solo in quel momento di essere effettivamente affamata. Entrai in una panineria lì vicino e comprai un panino con prosciutto crudo e formaggio – che si rivelò essere una scelta eccezionale – e una bottiglietta d'acqua.

Consumai il mio pranzo seduta a uno dei tavolini della panineria che si trovavano all'esterno, sotto un grande ombrellone bianco. Rimasi lì anche dopo aver mangiato, poi mi riavviai verso casa. Rimasi però nel parco pubblico davanti al palazzo dove viveva mio padre, mi sedetti sotto una grossa quercia e rimasi un po' lì a fare nulla, sentendo solo la gente che passava e il rimbombo lontano delle auto che circolavano.

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