Capitolo 40

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Erano passati diversi giorni da quando Alice e io eravamo tornati insieme: alle feste e per strada i nostri amici ci guardavano in modo strano, come se ci fossero spuntate un paio di ali tutto d'un tratto. Ma a noi non importava, o per lo meno, a me: ero felice e questo era l'importante.

Le cose tra noi andavano davvero molto bene: Alice aveva firmato un contratto come modella con una piccola agenzia di indumenti intimi e io... Beh, io non sapevo ancora che fare nella vita. Per ora avevo trovato un lavoretto part-time come insegnante di ripetizioni per i bambini delle elementari ed era un lavoro che mi piaceva davvero molto.

Un giorno, mentre stavo aiutando un compagno di scuola di Filippo con i compiti di matematica, sentii il telefono vibrare. Di solito non rispondevo ai messaggi mentre davo ripetizioni, ma avevo detto ai miei amici di non contattarmi in determinati periodi della giornata e forse era qualcosa di importante.

Gettai un'occhiata veloce allo schermo e sussultai nel leggere il messaggio: era da parte di Audrey.

"Ciao, Marshall. Come va?" mi aveva scritto.

Tirai un pugno al tavolo e il bambino vicino a me mi fissò terrorizzato. Digitai velocemente la risposta. "Come va, mi chiedi? Vediamo un po'... Ti ho provato a scrivere per giorni e non mi hai mai risposto. Ti ho lasciato decine di messaggi e non ho mai ricevuto una parola in cambio. Neanche una, capisci? Ero frustrato dal fatto che non volevi parlarmi, forse perché ti faccio talmente schifo che dopo quella sera non volevi più vedermi. Per me va bene, fai come ti pare. Cerca solo di avvertirmi che vuoi sparire la prossima volta, così evito di sentirmi un verme per cose che non ho neanche fatto."

Rilessi il messaggio e lo cancellai con un sospiro. Anche se mi aveva evitato per tutto quel tempo, ero sicuro che ci fosse un motivo. Le scrissi soltanto un: "Bene, tu?" in risposta.

"Tutto a posto. Sei a casa?"

"No. Perché?"

"Volevo chiamarti su Skype. Ho qualche novità da raccontarti, quindi..."

Fissai lo schermo con sguardo vacuo. Non ero sicuro di voler conoscere le "novità". Le risposi che sarei tornato a casa in una mezz'ora e che poi le avrei mandato un messaggio non appena mi fossi collegato a Skype.

Fu la mezz'ora più lunga della mia vita: non mi ero mai spazientito con un bambino che non riusciva a fare un problema, ma quella non era una giornata come altre. Dovevo tornare a casa per sapere cosa Audrey aveva intenzione di dirmi, ma allo stesso tempo non volevo tornare a casa e darle la soddisfazione di poter pensare che poteva ricordarsi della mia esistenza solo quando voleva.

Comunque, dopo aver riscosso il denaro da un piccolo Tommaso ancora spaventato, mi fiondai sulla mia moto e sfrecciai verso casa. Accesi velocemente il computer, mandai un messaggio ad Audrey e mi stappai una birra. Cercai di mettermi comodo, decidendo quale posizione fosse la migliore, ma alla fine mi sbracai sul divano e rimasi lì a fissare il monitor.

Audrey mi rispose dopo due squilli. Vidi la sua faccia sorridente agitarsi dall'altra parte dello schermo e per un momento la perdonai per come si era comportata con me nell'ultimo periodo.

Sembrava una ragazzina il primo giorno di scuola: continuava a sistemarsi i capelli dietro le orecchie, gesto che usava fin da piccola quando aveva combinato qualcosa di brutto o quando aveva qualcosa di importante da dire.

Un brivido mi percorse da capo a piedi, ma cercai di allontanare la brutta sensazione che mi attanagliava lo stomaco. Le sorrisi di rimando e le chiesi come stava.

– Tutto bene. – mi rispose, agitandosi sulla poltrona della sua scrivania. Vidi dietro di lei parte della stanza in cui dormiva quando ero ancora in Ohio: i mobili erano diversi e i colori dei muri erano più spenti, ma notai con soddisfazione e incredulità che aveva lasciato appeso al muro il disegno che le avevo fatto per il suo ottavo compleanno: un bruttissimo me e una bruttissima lei che giocavano insieme con una palla quadrata.

Ci fissammo per un momento e lei distolse lo sguardo. Brutto segno.

– Allora, uhm... – le chiesi. – A cosa devo il piacere di questa chiamata? –

Lei fece un verso strozzato, probabilmente alla ricerca delle parole adatte. – Oh, ecco... Prima di tutto volevo scusarmi con te per non aver risposto a nessuno dei tuoi messaggi. –

– Non fa niente. Ora stiamo parlando, no? – risposi senza rendermene conto. Mi diedi immediatamente dello stupido: potevo almeno fare un po' il sostenuto prima di gettare la spugna e perdonarla.

Lei mi sorrise. – Sì, hai ragione, ma so per certo che il mio non è stato un bel comportamento. È solo che non sapevo cosa fare: la sera della festa avevo bevuto talmente tanto da non ricordare nulla e la mattina dopo, quando mi sono svegliata, ero troppo imbarazzata per chiamarti. –

– Quindi non ricordi nulla di quella sera? – chiesi quasi speranzoso.

Lei mi fissò per un attimo, continuando a sistemarsi ciocche di capelli perfettamente lisci dietro l'orecchio. – In realtà... sì. Cioè, dopo qualche giorno ho iniziato a ricordare qualcosa a caso, ma mi serviva qualcuno con cui parlare. Quindi ho scambiato qualche messaggio con Raoul e lui... –

– Lui cosa? – esplosi. Fissai in mente l'idea di uccidere Raoul non appena fosse tornato a casa. – Hai parlato con Raoul di quello che era successo senza rivolgerti prima a me? –

Lessi imbarazzo nei suoi occhi. – Lo so, sono stata una stupida, ma avevo davvero paura di aver combinato qualcosa di imperdonabile. Avevo il numero di Raoul in rubrica e, non appena mi sono ricordata che c'era anche lui quella sera, gli ho chiesto di aiutarmi a ricostruire qualche pezzo della storia. –

Sentivo gli ingranaggi della mia mente lavorare senza sosta: se aveva chiesto aiuto a Raoul, probabilmente non ricordava nulla del bacio. Non che fosse un mio problema, visto che a baciarmi era stata lei, ma ormai ero un ragazzo fidanzato e sapevo con certezza che Alice non avrebbe apprezzato il gesto.

– Quindi... cosa ricordi? – le chiesi.

Lei deglutì rumorosamente. – Ricordo che siamo arrivati lì, ho parlato con Raoul e mi ha raccontato di te e Alice. Ricordo di aver bevuto moltissimo alcool e che alla fine ho preso a pugni quella... ragazza. Poi me ne sono andata e ho incontrato un tizio che mi stava per investire con la macchina. Strano, non trovi? Sarei potuta morire, ma lui si è fermato in tempo. Poi sei arrivato e siamo tornati a casa; mi hai comprato un palloncino, o meglio, me ne hai comprati due e, una volta a letto, ti ho... chiesto di rimanere. –

Sbarrai gli occhi. – Oh, ma io non sono rimasto! Me ne sono andato e... –

– Lo so. – mi interruppe lei.

Deglutii. – Questo è tutto? –

Lei distolse lo sguardo. – Ricordo anche che... ti ho... insomma... io non... comunque ti ho... –

Chiusi gli occhi e finii la frase per lei. – ...Baciato? –

Lei annuì. – Scusami, non avrei dovuto. È solo che non ero cosciente di ciò che stavo facendo e... –

– Non preoccuparti. – Le dissi, mentre dentro di me mi davo dello stupido per non aver avuto il coraggio di dirle la verità. – Del resto non eri pienamente cosciente. –

Lei sembrò sollevata e approfittai del momento per chiederle della questione "novità". – Mi hai chiamato per questo? –

Lei scosse la testa. – Non solo. In realtà ho una piccola cosa da dirti. Beh, non è proprio piccola, ma... –

– Di cosa si tratta? – quasi le urlai contro. Ripetei la domanda in modo più gentile, strappandole una risata.

Si sistemò sulla sedia e mi guardò dritto negli occhi. – Come la prenderesti se ti dicessi che sto per tornare in Italia, stavolta per un periodo decisamente più lungo? –

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Ecco il capitolo successivo che tanto aspettavate! Preferivate che non lo mettessi, magari, visto come è finito :'D Audrey ha in mente qualcosa e Marshall... beh, lui non è proprio sicuro di ciò che vuole. Penso di aver appena imparato come funziona Wattpad (dopo anni che sono iscritta), ma ho risposto ai primi commenti lasciando altri commenti, quindi se non vi ho risposto probabilmente è perché ho pigiato sul tasto sbagliato. Godetevi la storia e a presto,

Crystal :)

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