Capitolo 39

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La partita era appena iniziata: sentivo le urla del pubblico, ma cercai di estraniarmi da tutto ciò che non fosse la palla o la mia squadra.

Francesco stava giocando piuttosto bene e dovetti ammettere che mi stavo impegnando pur di non farlo avvicinare alla porta. Pochi minuti dopo l'inizio della partita, ero riuscito a intercettare la palla di uno dei miei avversari. Sfrecciai verso la porta e, con l'aiuto di Raoul, riuscimmo a segnare il primo goal.

La folla era in delirio: non si aspettavano un goal così presto. Ma noi dovevamo vincere: ne andava non solo del campionato, ma anche del nostro onore.

La partita continuò così per quarantacinque minuti, finché l'arbitro non fischiò la fine del primo tempo, che si era concluso con un combattutissimo uno a uno. Eravamo tutti esausti, soprattutto perché ci stavamo davvero mettendo l'anima.

Negli spogliatoi cercai di spronare i miei compagni ad attingere alle ultime energie che rimanevano loro per vincere. – Siamo stati davvero bravi nel primo tempo, ma adesso viene il bello: siamo tutti stanchi e i nostri avversari non sono di meno. Ma sappiamo anche che nessuno di noi getterà la spugna per un po' di fiatone. –

– Sputeremo un polmone, se è necessario! – mi interruppe Luigi, uno dei miei centrocampisti migliori.

Tutti si concessero una risata prima di tornare seri. Poi io continuai a parlare. – È il momento di tirare fuori gli artigli: sappiamo che tra tutti gli avversari solo Gregori e un altro paio di giocatori reggono bene il fiato, quindi questo è già un punto a nostro vantaggio. Ora cambiamo tattica: dobbiamo esasperarli, cambiare continuamente schema di gioco, passare la palla da una fascia all'altra. Così conquisteremo campo; poi, quando saremo abbastanza vicini, uno scatto veloce, diretti verso la porta e... –

– Goal! – concluse Massimiliano al mio posto.

Antonio, uno dei più forti della squadra, lo squadrò per un secondo. – Max, vedi di non fartelo fare tu il goal. –

Max sbuffò. – Sono il miglior portiere che ci sia, razza di imbecille. Vedi invece tu di usare una volta tanto quella zucca vuota che hai al posto della testa e segnare qualche goal.

Li interruppi prima che continuassero a insultarsi a vicenda. – Okay, basta così. –

Loro fecero vagare lo sguardo per lo spogliatoio, mentre io incitavo un'ultima volta i miei compagni a dare il massimo. Prima di entrare in campo, ripetemmo a gran voce il nostro motto. Poi iniziò il secondo tempo.

La nostra metà campo era la più favorevole, visto che avevamo il sole alle spalle. L'arbitro fischiò e mettemmo in pratica mesi di addestramento: correvamo quel poco che bastava per intercettare la palla, passandocela però talmente spesso che gli avversari rimasero evidentemente colpiti da questo nostro modo di giocare. Continuavamo a passare la palla avanti, dietro, ai lati, finché non eravamo abbastanza vicini alla porta per tentare di segnare.

Quaranta minuti dopo la squadra di Gregori aveva incassato ben quattro goal, uno mio, due di Raoul e uno di Antonio, che aveva lasciato tutti a bocca aperta con il suo colpo di testa. Max gli fischiò dalla porta, approfittando di un giocatore a terra per parlare ad Antonio.

– E io che pensavo che non riuscissi a combinare niente! – urlò. – Almeno ogni tanto mi dai retta. Mi prendi troppo alla lettera, eh, però... meglio di niente. –

Antonio mostrò una faccia soddisfatta e, appena l'arbitro riprese il gioco, si concentrò al massimo ancora una volta. Cinque minuti dopo sentimmo il fischio che ci informava che la partita era finita: avevamo vinto cinque a uno.

Strinsi la mano a tutti i miei avversari, Francesco per primo.

– Bella partita. – gli dissi, quando fui abbastanza vicino. Lui grugnì in risposta e mi mandò a quel paese senza troppe cerimonie.

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