Capitolo 13

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Tornai a casa verso le sei del pomeriggio. Salii velocemente le cinque rampe di scale che mi separavano dall'appartamento di mio padre e bussai alla porta. Evitai per poco un colpo al cuore quando vidi la donna che mi era venuta ad aprire: Lucia indossava un accappatoio bianco troppo corto anche per me e aveva la faccia ricoperta di una crema verde puzzolente; i capelli gialli erano raccolti in una crocchia da cui uscivano decine di ciocche penzolanti.

– Finalmente sei tornata! – Lucia si fece da parte per farmi passare. – Pensavo ti fossi dimenticata della cena. –

– Non l'ho fatto. – risposi, mentre chiudevo la porta delicatamente.

Lei sembrò più felice del solito mentre mi metteva in mano un pacco con un grosso nastro sopra. – Io e Filippo oggi siamo usciti e siamo andati a prenderti questo. L'ho visto in vetrina e non ho potuto fare a meno di sognarlo addosso a te. –

– Uhm... grazie. – risposi cercando di sorridere. – Devo aprirlo? –

– Ovviamente! Non puoi indossarlo mentre è ancora nel pacco, no? –

La fissai per un attimo, poi mi diressi nella mia camera, poggiai la scatola sul letto e tolsi il coperchio. Rimasi a bocca aperta, prendendo in mano l'abito: era un vestito fucsia con una profonda scollatura e due bretelle piene di fiori di stoffa; l'abito era formato da più strati di tulle che seguivano tutte le gradazioni di rosa. Ringraziai, tentando di nascondere la mia sorpresa.

– Ti piace? – mi chiese lei.

Non sapevo se annuire o meno. – È... particolare. –

Lei sorrise e batté le mani un paio di volte. – Sapevo che ti sarebbe piaciuto! Io adoro il rosa... –

– Lo avevo intuito. – risposi a mezza voce.

Lucia non diede peso alla mia battuta sarcastica, ma corse in camera sua – per quanto le ciabatte con il tacco e le piume sintetiche glielo permettessero – e tornò poco dopo con un paio di scarpe con un tacco vertiginoso.

Spalancai gli occhi. – Ti ringrazio, ma penso che metterò le mie scarpe. –

Lei sembrò infelice per un attimo, ma il secondo dopo aveva già ripreso a sorridere. – Okay, come ti pare. Ora vado: le mie ciglia non si allungheranno da sole. Gli ospiti arriveranno alle otto. –

Chiuse la porta con forza e io mi buttai sul letto, scaricando la mia frustrazione sul cuscino. Alla fine mi alzai e guardai il vestito poggiato sul letto con le braccia incrociate sotto il petto e la testa inclinata.

– E io adesso come entro lì dentro? –

Mezz'ora dopo avevo fatto una doccia e mi ero asciugata i capelli, lasciandoli mossi. Guardai il vestito fucsia, poi il mio armadio e infine di nuovo il vestito. Decisamente quello non era il mio colore preferito – non mi era mai piaciuto il rosa, neanche da piccola – ma pensai che a Lucia avrebbe fatto piacere che lo indossassi.

Sbuffai e tirai giù la lampo. Stetti un momento a studiare il modo per infilarlo e dopo cinque minuti di lotta riuscii a entrare nell'abito. Non avevo un corpo magrissimo, visto che non avevo mai smesso di fare sport da quando avevo tre anni. Avevo le gambe muscolose e le spalle larghe: ero decisamente lontana dallo stereotipo della bellezza anoressica che andava tanto di moda. Il vestito mi metteva in risalto i fianchi e il seno e ogni volta che provavo a tirarlo giù dovevo poi subito tirarlo su. Alla fine trovai un equilibrio.

Legai i capelli in una coda morbida e lasciai una ciocca ricadere dolcemente da un lato del viso. Infilai un paio di scarpe color panna con un po' di tacco. Mi truccai in modo naturale, aggiungendo dell'ombretto dello stesso colore del vestito, che si intravedeva appena.

Alla fine mi guardai allo specchio, feci una foto e la mandai a Tay. Lui mi rispose poco dopo.

"Tesoro, sei uno schianto! Serviva la bisbetica bionda per farti indossare qualcosa di diverso?"

Scossi la testa, sorridendo. "Non saprei... non mi sento molto a mio agio."

"Oh, smettila. Sei bellissima."

"E tu sei un bugiardo."

"Ti voglio bene, Edith. Conquistali tutti."

"Ti voglio bene anche io. Ci sentiamo stasera."

Ci mandammo un paio di cuoricini e alla fine lasciai il telefono in camera e mi avviai verso il salone. Appena Lucia mi vide, emise un verso strozzato che mi fece sobbalzare. Rischiai di prendere una storta, ma fortunatamente riuscii a mantenere l'equilibrio.

– Oh, mia cara, sei bellissima! – mi girò intorno come un avvoltoio. – Sapevo che questo vestito era perfetto per te. – 

Mi spostai dalla sua traiettoria e mi sedetti sul divano, cercando di comportarmi nel modo più femminile che conoscessi. Molte volte avevo preso parte a serate di beneficienza organizzate da mia madre, ma avevo sempre indossato vestiti meno vistosi.

Lucia ammiccò un paio di volte nella mia direzione, poi sparì in cucina. Io mi rilassai sul divano, cercando di tenere le gambe chiuse. Mio padre tornò a casa alle otto meno un quarto. Appena aprì la porta, sembrò rimanere un momento sbalordito nel vedermi.

– Bel... uhm... vestito. – mi disse, cercando le parole adatte per definire quell'ammasso di tulle rosa.

Mi alzai dal divano e lisciai le pieghe dell'abito. – Me lo ha comprato Lucia. Ho dovuto metterlo. –

Lui sorrise. – Sapevo che l'avrebbe fatto. Lei adora il rosa. –

– Me lo ha accennato, sì. –

Lui annuì con un cenno del capo. – Tra poco arriveranno gli ospiti: un mio collega di lavoro e grande amico, con sua moglie e suo figlio. Avete quasi la stessa età. –

– Ho la stessa età del tuo collega?! – risposi quasi senza rendermene conto.

– No, Audrey Whitney. – mi rispose alzando gli occhi al cielo. – Hai la stessa età del figlio. E ti chiedo gentilmente di essere carina con lui. Suo padre e io siamo grandi amici e... –

– Non diventerò sua amica solo perché tu e il padre lo siete. – la risposta acida mi uscì spontaneamente dalla bocca senza che potessi fare nulla per trattenermi.

Mio padre rimase stupito dalle mie parole. – Sei cambiata. –

– Perché... tu sai com'ero prima che ci abbandonassi? –

Speravo quasi che rispondesse in modo pungente esattamente come io avevo appena fatto – avevo preso da lui la lingua tagliente – ma lui incassò il colpo e mi informò che gli ospiti sarebbero arrivati di lì a poco. Poi mi guardò un attimo in silenzio e alla fine borbottò che si sarebbe andato a cambiare la cravatta.

Dopo circa un quarto d'ora qualcuno suonò il campanello. Lucia corse più veloce che poté sui suoi vertiginosi tacchi a spillo, avvolta come una caramella in un vestito verde brillante troppo scollato. Aprì la porta, stampandosi sul viso uno dei suoi odiosi sorrisi, e invitò gli ospiti a entrare.

Appena i poveretti riuscirono a sorpassare la padrona di casa – che li aveva salutati abbracciandoli come se fossero amici da chissà quanto tempo – mio padre presentò a me e a Filippo il collega e sua moglie. Notai in loro qualcosa di familiare, ma lasciai subito perdere: il giorno precedente avevo visto talmente tante persone da arrivare a un momento in cui pensavo di conoscerle tutte.

Mi resi invece conto di conoscere effettivamente i due coniugi quando mi presentarono il figlio: il ragazzo muscoloso contro cui ero andata a sbattere quella mattina. Certo che il mondo era proprio piccolo...

Ma ancora non mi spiegavo perché conoscessi i suoi genitori, finché lui non si presentò di persona.

– Sono Marshall. Piacere di conoscerti. O meglio, di rivederti, dato che sono trascorsi nove lunghi anni dall'ultima volta in cui ci siamo visti. – 

|Spazio dell'autore|

Ciao a tutti! Sono Crystal. Questi sono i primi capitoli di Just Friends e spero che la storia vi stia piacendo. Vi chiedo di lasciare qualche commento e contattarmi per eventuali errori. Ho pubblicato questi primi capitoli tutti insieme, ma gli altri verranno pubblicati circa ogni due giorni. A presto e buona lettura,

Crystal :)

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