Capitolo 50

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Trascorremmo anche la settimana seguente senza troppi problemi, anche se dovemmo vivere di cibo precotto e di take-away. Ma ero comunque elettrizzata all'idea che in un paio di giorni avrei iniziato la scuola: ero andata a vedere la costruzione e a parlare con il preside – un uomo di mezza età che adorava viaggiare e conoscere nuove culture, proprio come me.

Notai che in Italia la scuola era diversa: non potevo scegliere le materie, le cambiavano a seconda del tipo di scuola. Mi ero segnata al liceo artistico, dato che, fin da piccola, il mio sogno era stato quello di diventare brava a dipingere e disegnare come mia madre, e poi mi avrebbe dato l'opportunità di imparare la storia dell'arte italiana.

Tay mi aveva accompagnato a parlare con il preside e un paio d'ore dopo ci stavamo dirigendo verso lo studio di Cassandra Del Monte, una stilista italiana e professoressa universitaria che dava lavoro agli studenti che volevano imparare l'arte del mestiere. Tay le aveva mandato il suo curriculum una settimana prima di partire, insieme ad alcuni dei suoi schizzi migliori, e lei aveva risposto con entusiasmo alla sua richiesta di fare tirocinio con lei.

– Pensi che riuscirò a sorprenderla? – mi chiese Tay per la decima volta nella giornata. – Insomma, so che le ho mandato i miei disegni e le sono piaciuti, ma potrebbe cambiare idea... Magari ha trovato qualcuno più bravo di me. –

Lo presi per mano mentre entravamo nel palazzo dove la signora Del Monte lavorava. – Non preoccuparti, non c'è nessuno più bravo di te. Sarebbe una sciocca a rimpiazzarti. –

Lui sembrò parzialmente convinto delle mie parole e fece un respiro profondo prima di avviarsi verso la scrivania della segretaria. Essendo un programma internazionale, Tay non avrebbe avuto problemi, visto che le lezioni in italiano erano tradotte in cinque lingue e registrate sul sito della stilista.

Rimasi qualche passo indietro, studiando la posizione perfettamente eretta di Tay: aveva le spalle rigide e continuava a spostare il peso da una gamba all'altra. Parlò con la segretaria un paio di minuti, poi mi raggiunse.

– Quinto piano, stanza 359. – mi disse, senza quasi guardarmi. Poi mi prese per mano e ci avviammo verso l'ascensore senza dire una parola. Era evidente che Tay era elettrizzato e spaventato allo stesso tempo e per la prima volta da quando ci conoscevamo non sapevo cosa dire.

Quando l'ascensore ci informò che eravamo arrivati al quinto piano, Tay aspettò un momento prima di scendere. Alla fine decise che non era una buona idea rimanere lì dentro, quindi mi fece cenno di uscire e ci accomodammo nella sala d'aspetto: era una saletta con le pareti rosse e nere, decorata con diversi quadri che ritraevano schizzi per gli abiti e foto autografate di stilisti più o meno famosi.

Ci sedemmo su una delle poltroncine alla destra della stanza 359 e attendemmo il nostro turno. Tay era visibilmente stressato, quindi gli strinsi un braccio, sorridendo per rassicurarlo. Lui mi sorrise in risposta e mi posò un bacio sulla fronte. – Grazie, Edith. Qualunque sia l'esito, grazie per essermi sempre accanto. –

Lo abbracciai. – Sono io che ringrazio te per essere entrato nella mia vita. –

Quando ci staccammo, mi guardò con un mezzo sorriso. – Spero che sia migliore della direttrice di Runway. –

Sentimmo la porta aprirsi. Una ragazza ne uscì di corsa, in lacrime, sbattendosi la porta alle spalle. Corse giù per le scale e il silenzio tornò a regnare nella saletta.

– O forse no. – sussurrò a un certo punto, iniziando a giocherellare distrattamente con la cartellina nera che stringeva tra le mani. – Oddio, mi sta prendendo un attacco di panico. –

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