Ho pagato il tassista il triplo, perché superasse tutti i limiti di velocità possibili e immaginabili. Ma sono finalmente qui.
Apro il cancelletto con la mia chiave di riserva, lasciando la valigia in giardino, pur di precipitarmi in casa il prima possibile.
Quello che ho sentito in quella telefonata è stato troppo. Le parole di una madre che, ora, una madre non può essere definita. E quel figlio di puttana. Quel finto santo. Quel bastardo. Sua madre doveva abortire, cazzo.
- NIVES! - corro dentro, trovando il soggiorno vuoto. - NIVES! -
- Sono qui... - la voce proviene da dietro il divano.
Trovo la donna allegra che ho lasciato una settimana fa, in condizioni terribili. È rannicchiata a terra, i suoi occhi sono rossi e gonfi di pianto. Le guance più che rigate, sono scavate dalle lacrime. Il contorno delle palpebre è violaceo. Temo sia rimasta qui per tutto il tempo.
- Amore mio... - la tiro contro di me, abbracciandola più forte che posso. - Sono qui, adesso. Sono qui. -
- Mi dispiace... -
- No, no. - le bacio la testa. - No. -
Non risponde, ma sento la mia camicia bagnarsi. Come si può ridurre qualcuno così? Come può una madre fare questo alla propria figlia? Riccardo non mi sorprende. È chiaro che stia recitando la parte della vittima, in modo da passare dal lato della ragione. Ma sua madre...
- Vieni. - la sollevo quasi di peso, per farla sedere sul divano. - Guardami. -
Non lo fa. Tiene lo sguardo basso, come se si vergognasse. E forse è così. Ma non ha niente di cui vergognarsi.
- Devi raccontarle la verità, Nives... -
- Non mi crederà...e... - singhiozza. - Non posso... -
- Sì che puoi. -
- No... - scuote leggermente la testa. - Riccardo...mi ha quasi...uccisa...una volta. -
Il mio cuore smette di battere. - Cosa? -
- Voleva...accoltellarmi... - si copre il viso con una mano, disperata. - Ho paura che possa fare del male a qualcuno... -
Non le chiederò i dettagli adesso, sta troppo male. - Vieni. - la sollevo tra le braccia, portandola in camera da letto. Il letto è perfettamente sistemato, segno che non ha dormito qui. È rimasta davvero rannicchiata in quell'angolo. Mi stendo accanto a lei, tenendola contro di me. - Dormi un po'. Ne hai bisogno, vita mia. -
- Non lasciarmi... -
- Non ti lascerò. Sono qui. - le bacio la fronte. - Sono qui. -
Chiude gli occhi, affondando il viso nel mio petto. Ascolto il suo respiro, finché non diventa pesante e ho la certezza che stia dormendo.
Le accarezzo i capelli, con il cuore ha pezzi per quello che ha dovuto subire ieri sera. Stavo per addormentarmi, quando ho ricevuto la sua chiamata. Ci eravamo già sentiti e il mio istinto mi ha detto subito che qualcosa non andava. Ho risposto senza dire una sola parola. La prima voce che ho sentito, è stata quella di una donna che le diceva che doveva aver aperto per bene le gambe, per farsi regalare la collana che ha al collo. Le ha dato della poco di buono. Della maledetta. Ha maledetto il giorno in cui è nata. Poi ha telefonato a Riccardo. Ha chiamato Nives "fiocco di neve". Ha detto che la ama ancora. Che lei gli avrebbe messo le mani addosso. Che urlava. Che era frustrata. Ma ha detto anche una cosa vera: che merita me, perché siamo uguali.
Sì, Riccardo, Nives merita me perché la amo davvero. Perché io posso darle quello che tu non sarai mai in grado di dare neanche a te stesso.
- Mamma... - la voce triste di Nives mi fa salire le lacrime agli occhi. Starà sicuramente sognando quello che ha da poco vissuto. - Perché... -
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HEAL MY PAIN - Tancredi
RomanceLa vita di Tancredi, primogenito Ferrari, si è interrotta a causa di una scelta disastrosa. Ha deciso di dedicarsi solo al lavoro, perché l'amore lo ha già deluso troppo. Eppure, più si cerca di evitare qualcosa e più quel qualcosa piomba nelle nost...