Capitolo 62

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《Oh povera piccola. 》Sentii una voce familiare al mio fianco, aprii gli occhi. Alzai il volto, spedendo lo sguardo su quella figura che risultava tremendamente offuscata. Solo una caratteristica spiccò in quel buio che la circondava, i suoi capelli erano di un buffo color carota.

Solo dopo aver strizzato gli occhi, mi resi conto che era proprio lei, la segretaria che Shane aveva soprannominato "Carota". Un senso di angoscia prese il sopravvento, mi sentivo così imbarazzata e tremendamente delusa da me stessa, avevo permessa ad una persona di avere la meglio su di me, avevo servito la vittoria su un piatto d'argento, una vittoria che nemmeno Brandon voleva, una vittoria che non avrebbe portato nessun vantaggio a nessuno dei due.

Mi sentii spaesata, non sapevo cosa fare, decisi di alzarmi da quel pavimento bagnato e freddo, che forse era stato il posto più accogliente in quel momento.

《Mi scusi. 》Dissi guardando verso in basso, i sandali che portavo erano macchiati di fango e i miei piedi sporchi non erano meno ripugnati. Come il mio corpo, anche il mio animo era lurido. 《Dovrò ritornare all'accademia, mi staranno aspettando, non vorrei far preoccupare nessuno. 》Iniziai a blaterare mentre lei mi osservava con uno sguardo amorevole. Mi ricordavo una donna molto più severa e cattiva, ma in quel momento, mi sembrava l'unica persona che poteva darmi una mano. Rimasi lì senza far niente, non avevo le forze e le mie gambe non riuscirono a reggere il mio corpo. Mi sentii svenire, ma in verità mi accasciai di nuovo a terra, iniziando a respirare in modo affannoso.

《Povera. 》Disse solamente quella donna, aiutandomi ad alzarmi e iniziando ad accompagnarmi dolcemente verso una meta sconosciuta. Quel suo "povera" sembrava tanto una presa in giro, ma i suoi gesti dimostravano altro. Non parlò, ma sorreggendomi, passo dopo passo, mi trasmise un senso di sicurezza. Non so dire quanto ci mettemmo ad arrivare in quello che sembrava un piccolo appartamento, non ero certa nemmeno della strada che avevamo percorso, ma ero lì e non ero sola, non mi sentivo sola.

Il mio corpo non rispondeva ai comandi e la donna di cui ignoravo il nome mi accompagnò fino al bagno. Con calma, aprì il rubinetto della vasca e quasi fossi sua figlia, mi costrinse a levare i vestiti, invitando a farmi un bel bagno caldo. Mentre lei mi abbandonava in un silenzio capace di distruggermi. Dopo essere entrata nella vasca, iniziai accuratamente a pulire la sporcizia con una pezza. Mi sentii persa senza quella figura femminile, per quanto sembrasse strano sembrava impegnarsi tanto per una ragazza che aveva solo intravisto tempo fa.

I miei occhi avevano interrotto il pianto, ma il mio sguardo era perso nel vuoto, mentre continuavo imperterrita il lavoro di pulire ogni angolo del mio corpo. Mi sentii in trance, tanto che non mi resi conto di sta lavando persino di capelli.

Mi sollevai dalla vasca, in cerca di un qualcosa con cui potermi asciugare, fu in quel momento che la donna aprì la porta e allungando la mano mi porgeva un asciugamano abbastanza grande per asciugare il mio corpo. Camminai verso la porta, producendo ad ogni passo un piccolo laghetto. Mi coprii il corpo e la donna entrò poco tempo dopo con un asciugamano che mi sarebbe servita per i capelli.

La donna si allontanò per un momento ed io ebbi la possibilità di guardarmi allo specchio, mi sentii così vuota, persa, senza una speranza, quando il mondo invece n'è pieno zeppo.

La signora fece ritorno con una vestaglia linda e rigorosamente piegata e con in mano un fono che utilizzo per asciugare i miei capelli indomabili. Dopo aver poggiato tutto su uno sgabello, scomparve di nuovo, approfittai del momento per vestirmi e mi sorpresi a notare che era della mia misura.

Presi il forno in mano e lo alzai cercando di asciugare i capelli, Carota aveva fatto ritorno con un palo e una pezza che aveva utilizzato per pulire il lago che avevo causato. Alzai il fono in mano, quando rividi nello specchio il viso di quel ragazzo. Gridai e l'asciugacapelli cadde producendo un'orribile rumore.

La donna lo raccolse, fortunatamente non aveva toccato l'acqua. Cercai di scusarmi appena mi fossi ripresa, ma le mie mani continuavano a tremare. Mi invitò a girare il busto, così che potesse dedicarsi lei ad asciugare i capelli.

Ci mise un po', ma mostrò una tranquillità quasi paurosa, come se stesse curando una sua bambola di porcellana, la sua bambola preferita.

I ricci, una volta asciutti, ricadevano disordinatamente sulle spalle. Mi accompagnò in una stanza, tinta di viola. Le pareti erano ricoperti di quadri che raffiguravano la vita di una ragazza che ricordava particolarmente Carota soprattutto dal colore dei capelli. Supposi fosse sua figlia e mi sentii tremendamente imbarazzata ad utilizzare quella stanza per riposare.

《Ti conviene metterti nel letto. 》Suggerì la donna, parlando in modo amorevole. Diedi un'occhiata all'orologio, non pensavo fosse così tardi. Erano passate parecchie ore da quando mi ero allontanata dal campo estivo.

Carota si allontanò e fece ritorno stranamente con un bicchiere di acqua.

《Bevi. 》Mi invitò, porgendomi ciò che teneva in mano.

Feci un grande sorso e mi sorpresi a notare che dentro vi era anche lo zucchero.

《Acqua e zucchero, il miglior rimedio quando si sta male. 》Sorrise lei vedendo la mia faccia stupita e prendendo posto in quel letto di una piazza e mezzo proprio al centro della camera.

《Una delusione, eh? 》Sospirò, guardando il mio viso rivolto verso la finestra che inquadrava perfettamente la luna piena. Annuii, non degnandola di uno sguardo.

Mi accarezzò il viso con un gesto materno e con dolcezza, asciugando le lacrime che abbandonavano i miei occhi.

Iniziò a canticchiare dolcemente la ninna nanna di Mozart, quasi invitandomi a farmi cullare nelle braccia di Morfeo.

Mi lasciai trasportare da quella dolce melodia che mi fece tronare bambina. Ripensai molto alla donna che mi stava coccolando come una figlia. Una piccola bambina indifesa, incapace di fare tutto. Forse ero così in quel momento, incapace di prendermi cura del mio corpo, ma soprattutto della mia anima. Il mio guscio, ciò che avevo creato in tutti questi anni per difendere me stessa dall'orrore del mondo, era svanito in un secondo. Ciò che mi era successo, quel viso, quelle parole. Rivivevo quel momento ad ogni nota che Carota canticchiava, Mi raccolsi le braccia al petto e iniziai a singhiozzare sempre più forte. Iniziai a piangere a dirotto e quella donna decise di alzarsi e dirigersi verso la porta. 《Sarà meglio lasciarti sola, buonanotte. 》Disse con uno sguardo di chi avevo compreso la situazione meglio di chiunque altro.

Mi voltai quando lei arrivo sulla soglia. 《Perché? 》Domandai in preda alla disperazione. 《Perché è così gentile con me? 》Chiesi, colmando ogni parola con dei singhiozzi. 《Non merito nulla. Ed era così, Carota aveva fatto forse solo quello che una madre può fare ad una figlia e io mi ero lasciata coccolare dalle sue carezze, dal suo amore.

《Non lascerò mai una ragazza sola nel momento del bisogno... 》Lasciò la frase in sospeso, quasi come se ciò che pensava era troppo doloroso da dire ad alta voce. 《...Lei non avrebbe voluto. 》Completò con voce smezzata.

Mi feci bastare quella risposta e Carota con calma chiuse la porta, lasciandomi da sola coi miei pensieri. Mi rannicchiai e capii che sarebbe stata la nottata più brutta della mia vita. Ripensai con nostalgia al giorno prima e alla spensieratezza che mi aveva circondato durante la lettura di quel libro.

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