Le mie cose sono ancora da Sara e i messaggi di Ben durante le ultime ore di lezione hanno sfiorato la ventina. Devo richiamarlo. Non appena la campanella suona, mi precipito verso l'uscita con il telefono attaccato all'orecchio. Non so cosa mi inventerò e non so neppure se ho voglia di continuare a mentirgli. Forse, dovrei solo dirgli la verità e chiudere una cosa inutile per entrambi. Non voglio che perda tempo con me, con una persona che purtroppo non è stata in grado di amare un ragazzo che lo meritava. Un ragazzo, che mi avrebbe resa serena, tranquilla ma forse, non completamente felice. Non so cosa sia la felicità. Credo di averla solo sfiorata una volta nella vita per poi lasciarla scappare via troppo facilmente.
"Sophia", la sua voce preoccupata è un pugno allo stomaco, un chiaro segnale di dover fermare tutto, ora.
"Ben, possiamo vederci?".
"Stai bene? Dio, ma che fine hai fatto? Ero preoccupatissimo". Sospiro cercando di non farmi prendere troppo dai sensi di colpa. Continuerei a stare con lui e non sarebbe giusto. Questo momento è mio. I miei problemi devo imparare a gestirli da sola e non posso accontentarmi o appoggiarmi a qualcuno solo per la paura di restare sola.
"Ho...ho avuto dei problemi con i miei, ma...ti prego possiamo vederci subito?".
"Sì, certo tesoro. L'importante è che tu stia bene".
"Certo", sussurro a bassa voce. Se solo sapesse quello che sta per accadere non mi augurerebbe di star bene, o forse sì?
"Vengo a prenderti a scuola, non muoverti di lì". È dolce mentre dice una frase che ha tutto l'aspetto di un ordine. È dolce quando mi abbraccia, quando mi bacia e anche quando lo tratto male. Attacca e io chiudo gli occhi reggendomi ad una panchina. Non mi ero neppure resa conto di aver raggiunto il giardino. Come un'automa compongo il numero di Eric, sperando che lui possa dirmi cosa fare, ma sopratutto come farlo.La mia scuola e quella di Ben distano all'incirca una ventina di minuti. Esattamente ventidue minuti dopo averlo chiamato, l'auto di Ben entra nella mia visuale. La scuola è deserta. Sono tutti andati via, ma a quanto pare, io passerò molte altre ore per strada prima di prendere una decisione e forse tornare a casa, ma di certo non perché me lo ha imposto il signor Alexander.
Deglutisco, quando Ben mi saluta dal finestrino prima di rallentare in prossimità del parcheggio.
Dovrebbe essere incazzato a morte con me, cazzo. Lui invece sorride, anche troppo.
"Cucciola". Presso le labbra fra loro quando scende dall'auto e mi viene incontro per poi abbracciarmi forte. "Sicura di star bene?". Si allontana scrutandomi attentamente. Io sono un paletto di ghiaccio.
"Abbastanza bene", sorrido appena, accarezzandogli impacciatamente un braccio.
"Io...", il suo è ancora avvolto alla mia vita. "Io...credevo che tu fossi arrabbiata con me per...per quello che stava accadendo nella mia auto". Le sue guance si colarono di rosa. È adorabile, peccato che io non voglia un ragazzo adorabile.
"Ma no", spalanco gli occhi. "Assolutamente no". Tira un sospiro di sollievo e tutto diventa più difficile. "Ho davvero avuto dei problemi con mio padre...mi ha...delusa e sono stata per qualche giorno a casa di un'amica".
"Un'amica? Tu non hai amiche". Si acciglia. Quella frase fa male, ma ovviamente non posso prendermela, lui non sa della mia breve esperienza al Sophia, e poi ha ragione. Fino a poche settimane fà non avevo un'amica. Neppure l'ombra.
"Una collega di lavoro". Non preciso quale lavoro.
"Oh", sembra sorpreso. "Hai dormito da un'estranea".
"Sara non è un'estranea". Il mio tono esce più acido di quanto avrei voluto. "È stata molto gentile ad ospitarmi".
"Potevi venire da me", replica infastidito, credo, per la prima volta. "O comunque potevi chiamarmi".
"Non trovavo il telefono". Sembra non credermi ma è troppo gentile per dirmelo.
"Sophia..", sospira. "Cosa sta succedendo?". Non mi aspettavo una domanda del genere da parte sua. Di solito per lui è sempre tutto rose e fiori.
"Ben, dobbiamo parlare", mi passo una mano fra i capelli. Sto tremando.
"Di cosa precisamente?". Il suo tono è basso, mi guarda appena.
"Di noi". Replico più decisa del solito. "Io....tu sei perfetto Ben...".
"Ma?". I suoi occhi sono lucidi e la mia cicatrice duole. Ho un legame particolare con lei, come se ogni forma di dolore l'assorbisse, facendo concentrale tutto il male in quel punto.
"Ma...".
"Sono innamorato di te Sophia". Trasalisco. "Ma so che non tu non lo sei di me. Non sono uno stupido". Fa un sorriso amaro. "Ho solo sperato che potesse accadere".
"Mi dispiace", abbasso il capo. Per quanto non amassi Ben, è stato una persona importante nella mia vita. C'è stato quando gli altri non c'erano.
"Solo che....".
"Ami...qualcun altro?".
"Cosa?". Sbarro gli occhi.
"I tuoi occhi sono tristi Sophia", accarezza il mio braccio e non so come ci riesca. Forse è l'amore a dargli la forza. "Poche volte li ho visti accendersi e mai per me".
"Ben io....".
"Non devi dire nulla", sorride appena. "Spero solo che...prima o poi potranno brillare ogni secondo della giornata, perché sono davvero belli".
"Ben...", non credo di saper dire altro. Ho un groppo in gola e tanta voglia di piangere. "Sono stata una stronza", chiudo gli occhi per un attimo. Le lacrime non arriveranno. Ho pianto solo una volta, pochi giorni fa, dopo tanti anni e non ricapiterà di nuovo. "Non meritavi questo".
"Non sei una stronza Sophia. Sei perfetta così come sei". La sua mano raggiunge la mia nuca e inaspettatamente mi abbraccia. Poggio il capo sul suo petto e mi sento meglio. So di averlo liberato di un peso che non avrebbe portato che guai nella sua vita. So, di avergli spezzato il cuore, so che forse piangerà, so che forse avrà paura di innamorarsi ancora. So di aver fatto la cosa giusta.
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La cura [H.S.]
Fanfiction"Mi stai curando". "Forse è il contrario". Così vicini eppure così lontani. Da oltre dieci anni, Sophia e Alexander condividono lo stesso condominio e l'odio che i loro rispettivi genitori covano l'uno nei confronti dell'altro. Un segreto, un errore...