Capitolo 64

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Alexander's pov
"Io vado".
"No, tu non vai da nessuna parte", sbotta Micol. È la prima volta che usa questo tono con me.
"Per quel che ne so, potrebbe aver preso lui Sophia". Ringhio fra i denti. "Questo dannato biglietto corrisponde all'hotel in cui soggiorna Diego, cazzo".
"Lei non c'era", interviene Natalie.
"Beh, mi sembra ovvio. Se l'ha rapita, non la porta di certo a cena nel ristorante dell'albergo". Per quanto le parole di Dave mi attorciglino lo stomaco, non posso far altro che annuire.
"Comunque Alex non può presentarsi da quell'uomo e accusarlo di rapimento".
"Micol", serro la mascella. "Quell'uomo è entrato in casa mia".
"Non puoi esserne certo. Potrebbe essere una semplice coincidenza. Probabilmente Tom sapeva che Diego era qui, e aveva quel bigliettino".
"Scusami ma non ho intenzione di ragionare per ipotesi", sbotto. "Sono passati quindici giorni e non ho notizie di Sophia", poggio le mani contro il muro. Non mi sono mai sentito tanto debole in vita mia.
"Dovremmo farci un giro", propone Dave. "Dobbiamo capire anche se i Parker sono qui".
"Effettivamente sarebbe bello visitare New York", cinguetta Natalie.
"Sarebbe bello se te ne andassi a fanculo", la trucido con lo sguardo. "Dovevi indagare, invece di scoparti la cameriera del terzo piano", stringo le mani in due pugni. Mi sento solo, mi sento come se nessuno capisse quello che sto provando ora. Neppure Micol.
"Dave ha ragione", sospira Micol. "Entrare in quell'albergo e sparare sentenze non ha alcun senso. Usciamo, giriamo...perlustriamo ogni zona se necessario. Se i Parker sono qui, li troveremo".
"Non potremmo...non so, provare a localizzarli?".
Ci sono volte in cui mi chiedo davvero se questa ragazza ci è, o ci fa.
"Credi che non ci abbia già provato?", urlo.
"Alex", mi ammonisce Micol. "Cerca di mantenere i nervi saldi".
"Scusa amico", alza le mani in segno di resa. "Ma dovresti seriamente calmarti".
Sono stanco di sentirmi ripetere sempre le stesse cose. Non dico nulla, perché non ne ho più voglia. Afferro le mie sigarette e lascio la stanza. Girerò questa maledetta città da cima a fondo se necessario, e non mi arrenderò fin quando non l'avrò trovata.

Sophia's pov
"Pronta?".
Ho appena finito di fare l'ultimo controllo. Tutti avevano delle facce strane, ma nessuno ha detto nulla. Ho evitato di chiedere sicura di non ottenere risposta. Ora come ora, la mia mente sta elaborando altro e non posso lasciarmi abbattere dalle stranezze di questi giorni.
"Si", sospiro afferrando la mia borsa. Sembra di vivere un'altra vita, una vita che non mi piace affatto. Mi sento fuori luogo, a disagio. Vorrei solo tornare ad un mese fa, quando, seppur di sfuggita, lo vedevo.
Non avrei mai immaginato tutto questo, non avrei mai immaginato di allontanarmi così tanto da lui.
Sorpasso mio padre che, guardingo, mi osserva attentamente. Penso che sospetti una mia pazzia e devo stare molto attenta ad ogni cosa che dico o faccio. Quando lasciamo quella che poi si è rivelata essere una clinica, tiro un sospiro di sollievo, come se solo ora avessi ripreso a respirare.
"E mamma?".
"Ha preferito risposare", mi prende a braccetto. Alzo gli occhi al cielo ma lui non dice nulla. "Sono stati giorno difficili per tutti".
"Immagino".
"Sophia", sospira accarezzandomi il braccio. "Non credere che io sia felice di tutto questo".
"Preferisco non commentare", stringo le mani in due pugni.
"So che non condividi quello che ho fatto".
Fa caldo, le strade sono gremite di persone che ridono, parlano e scherzano fra di loro. Peccato che, nessuna di questa, riesca a leggere il grido d'aiuto nei miei occhi.
"Esatto, mi fa schifo", lo guardo. Sembra rammaricato e anche molto triste, ma non gli credo. È stato fin troppo bravo a mentirmi per tutto questo tempo.
"Volevo solo...creare qualcosa che potesse cambiare il destino dell'umanità. Voglio salvare...".
"A che prezzo?". Mi fermo e lo guardo. Lui non ci riesce, forse sa di aver sbagliato o forse neppure se ne rende conto.
"Tutto quello che ho fatto...".
"Non dire che l'hai fatto per me". Ho il respiro spezzato. Sono stanca di tutti questi inganni.
"Ma è la verità", afferra il mio viso a coppa fra le sue mani. "L'idea di perderti mi distruggeva. Sei mia figlia, Sophia".
"Tutti siamo figli di qualcuno, papà. Eppure, non tutti ucciderebbero quelli degli altri". Mi libero dalla sua presa. "Hai tradito un tuo amico, un uomo che di te si fidava. E sai una cosa, comprendo alla perfezione la sua sete di vendetta".
"Ma cosa dici?".
"Avresti fatto lo stesso", presso le labbra fra loro, ma non voglio limitarmi. "Anzi peggio".
"Sophia...".
"Voglio stare un po' da sola".
"No, non puoi girare da sola per una città che non conosci", mi segue.
"Tranquillo, torno", e lo farò.
"Sophia", mi afferra per un braccio. "Stai attenta e sopratutto", mi penetra con quegli occhi dello stesso colore dei miei. "Non dire a nessuno dove sei. A nessuno". So bene a chi si riferisce. "Mi sto fidando".
"E fai bene", lo sfido.
Ai bugiardi bisogna mentire.
Mi allontano, sento i suoi occhi pungere su di me. Spero solo non mi stia seguendo, in tutta onestà non credo a questa sua improvvisa fiducia nei miei confronti. Cammino per qualche chilometro fino a fermarmi ad un bar al centro di New York. È bellissimo ma in qualche modo non credo di potermi godere questo posto come vorrei, ora. Ordino un the freddo alla pesca e mi guardo intorno. Non mi sento affatto tranquilla, ma devo approfittare di queste ore per poter chiamare Alex, sempre...che non abbia già voltato pagina.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora