Capitolo 62

6.2K 292 32
                                    

"Ragioniamo".
"Non c'è un cazzo da ragionare", sbotto iniziando a camminare avanti e indietro.
"Però, potevi dirmelo che lavoravi qui", ridacchia Micol fermandosi al bancone degli alcolici.
"Alexander non ama condividere", replica Natalie beccandosi un'occhiataccia da parte mia.
"Taci", sbuffo. Non la condividerei con nessuno, neppure con un'altra donna.
"New York non è proprio dietro l'angolo", continua imperterrita. "E poi sarebbe come cercare un ago in un pagliaio".
"È l'unica cosa che abbiamo e non ho intenzione di ignorarla", continuo a bere. Non faccio altro da dieci giorni, il mio fegato chiede pietà.
"Alex ha ragione", dice Micol, riportando l'attenzione su di noi. È stato un fottuto errore portare un uomo che non vede la luce da anni proprio qui, al Sophia. "Non possiamo trascurare nulla. Tu sei sicuro che quel biglietto non fosse già in casa prima dell'arrivo di Tom?".
"Si, Sophia non aveva nulla con se. Abbiamo comprato tutto in paese", dico e i ricordi mi piombano addosso come fulmini.
"Allora quel bigliettino sarà scivolato a Tom", conferma quello che sto cercando di dire da più di due ore.
"Non ne abbiamo la certezza, potrebbe essere un modo per depistarci", prosegue Natalie alzando gli occhi al cielo.
"Abbiamo un cazzo di indirizzo scritto proprio qui", urlo battendo il palmo della mano sul balcone. Sara sobbalza, ha cercato più volte di chiedermi qualcosa stasera ma non l'ho degnata neppure di uno sguardo. Un'ora fa è passato anche quel tipo, Eric. Avevo voglia di prenderlo a pugni ma quando l'ho visto  piangere ho resistito.
"Alexander", sussurra mentre prepara un altro cocktail. Da quando io e Sophia siamo scappati quella sera, nessuno ci ha più visto. Credo sia naturale voler capirci qualcosa.
"Dimmi", sospiro cercando di essere un po' più gentile. Solitamente non me ne frega un cazzo ma penso che questa donna tenga davvero a Sophia.
"Cosa sta succedendo? N-non vedo Sophia dal drive-in, il suo telefono è morto e la sua famiglia non abita più...".
"È vero, sono andati via", deglutisco. "Ma non so dove".
"Sai...il motivo almeno? Io ed Eric siamo preoccupatissimi. Sono sicura che ci avrebbe detto qualcosa, che ci avrebbe almeno salutato".
"Già", mi passo le mani fra i capelli.
"Lei...non voleva andarsene?". Sgrana gli occhi. "Oddio, sono confusa".
"Non sei l'unica", poggio il bicchiere sul bancone. "Un altro".
"Alexander...".
"Dimmi", stringo i pugni.
"Penso che....lei non sarebbe mai andata via così...di sua volontà". Tira su col naso, sta piangendo ed io, invidio le persone che riescono a farlo, che riescono ad esprimere così il loro dolore. "Penso che...sia successo qualcosa. Tu...devi trovarla, aiutarla...qualunque cosa".
"È quello che farò", distolgo lo sguardo. Odio mostrami volubile agli occhi degli altri, credo di esserci riuscito solo con lei.
"Per favore...tienimi aggiornata". La vedo prendere un fazzoletto e una penna. "È il mio numero, chiamami non appena la trovi". Annuisco sperando di riuscirci davvero.

Chiudo la valigia prima di gettarmi a letto. Domani partiremo e non so più che cazzo pensare. Probabilmente sarà solo un altro dei suoi inganni per allontanarmi  da sua figlia, ma non posso non provarci.
Stringo i denti quando sento la maniglia della mia stanza essere abbassata, avrei dovuto chiudere a chiave. Mi preparo psicologicamente all'ennesimo tentativo di mia madre di farmi cambiare idea sulla mia imminente partenza, ma devo ricredermi quando al suo posto vedo mio padre.
"Posso?".
"Sei già qui", resto a fissare il soffitto. Guardare la finestra mi toglie il respiro. Sospira avvicinandosi al letto.
"Tua madre mi ha detto che domani mattina hai un'aereo".
"Esatto".
"Alex...".
"No, non provarci neppure. Non cambierò idea".
"Questo lo so", abbozza un sorriso. "Volevo solo farti alcune raccomandazioni". Mi acciglio.
"Cioè?".
"Potresti guardarmi? Sono serio Alexander. Questo che stai per fare non è di certo un viaggio di piacere". Mi metto a sedere. Un tempo avevamo un bel rapporto, da quando poi hanno iniziato a parlare male di Sophia, mi sono allontanato da entrambi. Non lo capivo e tutt'oggi non lo capisco.
"Lo so benissimo", rilascio un lungo respiro. "Ma è necessario".
"Per chi è necessario?".
"Perché la odiate, eh?". Stringo le mani in due pugni.
"Perché per lei ti stiamo perdendo".
"Cazzate", sbotto. "Se voi quattro non ci avreste divisi, tutto questo non sarebbe mai accaduto".
"Tom ti ha solo usato", vedo i suoi lineamenti indurirsi, e mio padre reagisce così solo quando si parla della famiglia Parker.
"Ma anche salvato", mi costa ammetterlo, ma è così. "E per la cronaca, Sophia non ne sapeva nulla".
"Restare al suo fianco è pericoloso, quell'uomo farebbe di tutto per la figlia".
"Questa l'ho già sentita", presso le labbra fra loro.
"Ma nulla ti ha impedito di finire nei guai", borbotta scuotendo il capo. "Il nome Diego ti dice qualcosa?".
"Purtroppo si, ma questo non giustifica il vostro odio per lei".
"Non è lei il problema", sussurra. "Ma indirettamente si".
"Non capisco e non voglio neppure farlo".
"Alexander", afferra le mie mani. "Ognuno cerca di proteggere i propri figli come meglio può. Tom l'ha fatto usando quelli degli altri, noi...tenendoti lontano da lei". Mi libero dalla sua presa.
"E se non volessi, eh?". Scatto all'in piedi. "Se non volessi lasciarla perdere?".
"È qualcosa di troppo grande Alex, una battaglia che non riguarda noi". Mi guarda. "Quell'uomo ha fatto più male che bene".
"Quell'uomo ha fatto sì che tuo figlio fosse ancora vivo", urlo dando un calcio alla scrivania.
"I-io non sto dicendo questo...", prova ad avvicinarsi ma non glielo permetto.
"È esattamente questo quello che vuoi dire". Afferro la valigia. "Esattamente questo", lo sorpasso e mi lascio alle spalle tutto, anche le grida di mia madre.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora