Capitolo 18

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"Tutto bene?". Guardo Adele mentre si tiene una mano sulla fronte.
"Sono solo molta stanca", sorride appena. "Non sono più così giovane".
"Certo che lo sei", ridacchio avvicinandomi a lei. "Ma effettivamente stasera sembri davvero stanca. Sicura di star bene?". La scuro attentamente.
"Credo di avere la febbre", scrolla le spalle. "E altri tre tavoli da pulire", aggiunge facendo una smorfia.
"Torna a casa, me ne occupo io". Le dico accarezzandole il braccio. È sempre così gentile con me, questo è il minimo che io possa fare per lei.
"Ma no tranquilla, sono di chiusura e.....".
"Lo faccio io, davvero. Domani non ho scuola", mento ma probabilmente passerò davvero tutta la mattinata a letto.
"Sei sicura?". Mi guarda speranzosa. Vorrei sapere di più su questa donna, se è spostata, se ha figli....
"Nessun problema", annuisco sorridendole. "Và pure".
"Grazie Sophia, sei una cara ragazza", mi lascia una carezza sul viso prima di scomparire nel ripostiglio dove sono le nostre cose. Sciacquo bene le mani dal detersivo. Bruciano da morire le ferite fresche e neppure i guanti hanno fatto un buon lavoro.
Lego i cappelli in una crocchia prima di uscire dalla cucina. I clienti sono andati via, sono le tre del mattino e mi aspettano tre tavoli ricoperti di ogni tipo di cibo cucinato, da pulire.
Sospiro avviandomi al primo con uno straccio bagnato. Inizio a togliere i piatti sporchi poggiandoli su un carrello metallico.
"Allora vado". Adele sbuca dalla cucina avvolta in una grande sciarpa rossa.
"A domani", la saluto prima di tornare al lungo lavoraccio che mi aspetta.
Mi alterno fra la sala e la cucina, ho persino messo su un po' di musica per compagnia. Tutto quel silenzio aveva iniziato a mettermi ansia. Sono pur sempre sola, in un posto così grande e in piena notte. Un'ora dopo ho finito di pulire ogni centimetro di questo posto, sono esausta e mi chiedo come Adele riesca a fare tutto questo da sola, ogni sera.
Mi passo una mano sul viso prima di passare in rassegna l'intera sala. Sembra che tutto sia al suo posto. Recupero le mie cose dallo sgabuzzino prima di raggiungere l'uscita e spegnere tutte le luci.
"Credo che tu abbia qualcosa che mi appartenga?".
Salto sul posto, le chiavi mi cadono dalle mani finendo a terra.
"C-cosa ci fai qui?". Balbetto portandomi una mano al petto.
"Natalie mi ha detto che avresti dovuto darmi qualcosa, ma non l'hai fatto". Il suo tono è duro, così come i lineamenti del suo viso.
"Tuo padre mi ha detto che non eri in casa", replico infastidita dai suoi modi.
"Mio padre?". Sbianca.
"Ho bussato alla tua porta per darti questa". Afferro la busta bianca, che questa famosa Natalie mi ha dato, dalla mia borsa. "Ecco".
"Mi pare di essere stato chiaro con te". La strappa dalle mie mani, stringendola fra le sue.
"Eh?".
"Non devi bussare alla mia porta".
"Ma...".
"Nessun ma, non devi e basta".
"E come avrei potuto darti quella?". Spalanco le braccia.
"Natalie ha sbagliato, infatti", ringhia fra i denti e mi sento ferita.
"Tranquillo, non ho ficcato il naso in cose non mie", gli do le spalle recuperando le chiavi da terra.
"Minimo", replica. Mi volto di scatto nella sua direzione.
"Avevi qualche dubbio?". Sbotto.
"Sei una persona molto curiosa", scrolla le spalle.
"Beh, la prossima volta dì alla tua amica di non chiedermi nessuno favore per conto tuo", gli punto un dito contro. Trasalisco quando lo afferra con la sua mano avvicinandolo al suo viso.
"Che hai fatto alle mani?". Mi penetra con lo sguardo. Cerco di ritrarmi ma senza alcun risultato.
"Che t'importa?". Mormoro a disagio.
"Qualcuno ti ha fatto del male?". La sua espressione si fa seria ed io sono sempre più confusa dai suoi repentini sbalzi d'umore.
"No", scuoto il capo. "Mi sono fatta male da sola". Per qualche strano motivo non voglio che lui sappia della box. Qualunque cosa io abbia iniziato in questi anni, è per lui e non posso rivelarglielo.
"Come?". Mi libero dalla sua presa.
"Devo andare", lo supero camminando a passo svelto.
"Una lavapiatti non dovrebbe chiudere il locale". In lontananza scorgo la sua moto. Non mi sta seguendo, deve semplicemente andare dove sto andando io.
"Neanche Sara", mi sfugge e vorrei prendermi a schiaffi da sola. "Me lo ha detto lei", cerco di rimediare.
"Vedo che ti sei fatta degli amici". Si ferma alla sua moto. Si sentono solo le nostre voci per strada.
"Già", replico continuando a camminare consapevole che il nostro tragitto insieme è appena terminato.
"Vuoi un passaggio?". Urla, ma io non rispondo almeno fin quando non sento una mano tirare la parte di dietro della mia giacca.
"Sei impazzito?". Urlo quando si accosta a me con la sua moto.
"Sali", ha un ghigno enorme stampato in faccia.
"Pensavo volessi uccidermi con il pensiero prima", faccio un cenno alla busta bianca ficcata sotto al manubrio.
"Nah", inclina il capo lasciando scorrere il suo sguardo lungo tutto il mio corpo. "Sarebbe uno spreco", aggiunge. Distolgo lo sguardo, arrossendo. Odio questo, vorrei essere più sicura con lui, ma quando se ne esce con certe frasi non riesco a non imbarazzarmi.
"Solo perché sono stanca", sussurro a capo chino posando una mano sulla sua spalla per salire dietro di lui.
"Certo", ridacchia. Non so cosa stia succedendo fra noi, non so tutto questo a cosa ci porterà. Ma non voglio che finisca, mai.
Evito di rispondere alla sua ennesima provocazione, allacciando le braccia al suo busto. Il suo profumo inonda le mie narici non appena inizia a prendere velocità e credo che non abbia mai sentito odore più bello di questo. Così dolce, sexy e forte allo stesso tempo. Dà alla testa, proprio come lui e in ogni senso. Avrei voglia di chiedergli di riportarmi in quel posto strano. Non so il perché, ma in qualche modo ha fatto bene ad entrambi, ma è notte fonda e so benissimo che rifiuterebbe seduta stante. Non ho alcun dubbio. Stavolta non entra nel suo garage, mi fa cenno di scendere prima e con qualche difficoltà, lo faccio. Mi sento così impacciata. Sono sicura che ora andrà via di nuovo, magari incontrerà questa Natalie e faranno...quello che hanno sempre fatto. Ma mi ricredo.
"Aspetta qui", mormora scomparendo verso il garage la cui serranda si chiude al suo passaggio. Scelgo di non riempirmi la testa di altri mille dubbi su questa cosa, solo perché sono stanca, ma so già, che domani succederà e succederà ancora, fin quando non otterrò qualche piccola verità.
Passo le mani sulle braccia cercando di darmi calore. Sbadiglio, poggiandomi al muro nello stesso momento in cui Alex esce dal garage senza quella busta fra le mani e qualcosa mi dice che questo è il motivo, o almeno uno dei tanti, per il quale mi ha scaricata qui fuori.
"Sonno?". Domanda, stringendosi nella giacca di pelle. Non so come faccia a non aver freddo con solo quella indosso.
Stiamo per entrare in primavera, ma fa ancora parecchio freddo da queste parti.
Annuisco, distogliendo lo sguardo dal suo così indagatore, così sicuro, nonostante le magliaia di bugie che le sue labbra e i suoi occhi dicono ogni secondo.
Prendo le chiavi, aprendo il cancello. Sento che mi segue e non potrebbe essere altrimenti d'altronde.
Saliamo in silenzio le scale e a differenza dell'altra volta, non mi volto verso di lui. Non ho nulla da dirgli.
"Ti tagli?".
"Cosa?". Sgrano gli occhi con la mano a mezz'aria.
"Le mani", le guarda seriamente.
"No", rispondo sbigottita. "Cosa ti salta in mente? E poi...che io sappia, chi soffre di autolesionismo si taglia..".
"I polsi, lo so". Mi guarda. "Volevo solo essere sicuro che non ti stessi rovinando la vita con quella merda". Mi viene da sorridere.
"Ora mi rubi anche le frasi?". Inarco un sopracciglio.
"Figurati", scrolla le spalle, ma riesco a scorgere l'ombra di un sorriso anche sul suo viso. "Quindi? Come?". Sospiro, passandomi nervosamente le mani fra i capelli.
"Ognuno ha i suoi segreti, Alexander". Mi volto e per una volta sono io a lasciare lui fuori da quella porta.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora