Guardo fuori dal finestrino. Lui non dice nulla, io non dico nulla. È da dieci minuti che va avanti così.
La mia mano trema sul mio ginocchio ma di rabbia. Sono stufa di essere trattata così, sono stufa di essere sempre ignorata. Certo, ora lui mi sta aiutando, ma come sempre non mi ascolta, ne mi da la possibilità di parlargli.
"Perché diavolo correvi in quel modo?". Mi acciglio e mi giro a guardarlo.
"Dovevo parlarti".
"Ah davvero? E di cosa?". Stringe le mani sul volante così forte da far sbiancare le nocche.
"Di quei muri", il suo piede pigia sull'acceleratore sfiorando i centoventi chilometri orari.
"Sto per incazzarmi sul serio, Sophia", ringhia fra i denti. "Ci sei riandata?".
"Avevi qualche dubbio?". Mi guarda così male che temo possa davvero fulminarmi all'istante.
"Purtroppo no", pressa le labbra fra loro. È davvero incazzato.
"Non lo faccio per fare un dispetto a te", dico. Non voglio che lui pensi questo, sopratutto dopo quello che forse ho scoperto.
"A no? E perché?". Mi guarda con la coda dell'occhio.
"Pensi questo?". Ne sono delusa. "Non farei mai nulla che possa ferirti".
"Eppure lo fai", si lascia sfuggire per poi pentirsene subito e lo capisco dal suo volto contrariato. "Devi stare al tuo posto", aggiunge rimettendo la maschera.
"E qual'è il mio posto?". Stringo un filetto del mio jeans sfilacciato fra le dita.
"Che hai visto?". Alzo gli occhi al cielo.
"Sei mai entrato lì dentro?".
"Che hai visto?". Sbotta. "Non ti dirò mai nulla di me Sophia, quindi parla e non farmi perdere tempo", urla.
"Tranquillo, non ti farò perdere più tempo. Vaffanculo", riconosco quel maledetto ospedale e prima che possa fermare l'auto provo ad aprire la portiera, ma è chiusa. "Aprila".
"Che cazzo volevi fare?". D'istinto, almeno credo, afferra la mia mano e mi strattona all'indietro. "Sei impazzita per caso?".
"Si cazzo. Tu mi farai impazzire prima o poi", cerco di liberarmi ma non molla la presa.
"Beata te. Io sono già impazzito a causa tua", urla più forte di me. È una continua lotta fra noi due.
"Bene, allora apri questa maledetta porta. Voglio andarmene".
"Non riesci neppure a camminare, idiota".
"Stai zitto, coglione", inizio a forzare l'apertura ma lui scende dall'auto, e in tre secondi me lo ritrovo dal mio lato ancor più incazzato di prima.
"Controllati cerbiatta, non ti basteranno neppure mille ore di straordinari per ripagarla".
"Fottiti", ringhio e inizio a scalciare quando mi solleva come un sacco di patate poggiandomi sulla sua spalla. Tutti ci guardano e credo di non essermi mai vergognata tanto. "Mettimi giù, ora".
"Come vuoi", lo fa e finisco col culo per terra.
"Sei uno stronzo".
"Ingrata", mi guarda dall'alto con la sua enorme strafottenza. Poi si abbassa e mi ricarica in spalla come se non pesassi nulla. "Ora non parli?". Chiede.
In risposta gli assento, con il piede buono, un calcio nello stomaco che lo fa gemere di dolore. "Questa me la paghi, stronza". Biascica.
"Quanto sei dolce", alzo gli occhi al cielo.
"Solo con te", dice e poi eccoci qui. Corridoi schifosamente bianchi e odore di acqua ossigenata a go a go.
"Wow, mi era mancato questo posto", sussurro e lui si irrigidisce. Non so il perché, continuo a non capirlo mai.
"Ragazzi, che succede?". Un'infermiera ci si avvicina e solo allora, Alex mi capovolge mettendomi fra le sue braccia come un uomo farebbe con la donna che ha appena sposato.
"È svenuta". Dice lui.
"Sono solo caduta", dico io.
"C'è il dottor Connel?". Alzo di scatto la testa verso Alex.
"Lo conosci?".
"C'è o non c'è?". Sbotta, facendo tremare quella povera donna.
"Ma se ho capito bene a voi serve un ortopedico, non un cardiologo". Sussurra incerta.
"Ci servono entrambi", replica Alex prima che possa farlo io.
"S-si, vi chiamo fra poco", risponde l'infermiera allontanandosi.
"L'hai spaventata", dico e lui si siede con me in braccio nella sala d'attesa. Sento gli occhi di tutti addosso ma lui, penso, non ci abbia fatto neppure caso.
"Per così poco", scrolla le spalle. "Con te ho fatto di peggio", mi guarda.
"Come sai di Connel?".
"I tuoi parlavano con i miei".
"Avevano già litigato". Almeno così mi hanno detto. Certo, sapevo che i suoi sapessero del mio intervento ma avevano già interrotto i rapporti e spesso, mi chiedo il perché i miei avessero deciso di parlagli proprio di questo.
"Può darsi".
"No, è così. Tu lo sapevi e non sei mai...".
"Cosa? Non sono uno che finge o prova pietà per nessuno".
"Non dovevi provare pietà infatti", distolgo lo sguardo.
"Non la provavo infatti", sento il suo respiro battere sul mio viso.
"Allora è semplice", torno a guardarlo. "Non t'importava".
"Conclusione affrettata, non trovi?". Assottiglia lo sguardo spostando poi una ciocca di capelli dal mio viso. I suoi gesti mi destabilizzano, mi addolciscono ma ora non posso permetterlo.
"È quello che mi hai dimostrato".
"Io non ti ho mai dimostrato nulla".
"Lo so", un sorriso amaro lascia le mie labbra. "Hai ancora tutti gli organi Alex?". Spalanca gli occhi.
"C-che cosa?".
"Succede qualcosa in quei muri e so che tu lo sai. Carla, l'amica di mia madre lavora lì. Ci portano dei ragazzi e non so cosa gli fanno. L'ho visto e non ho mai visto tanta paura nei tuoi occhi come ora". Lì chiude ma non mi sfugge, non più. "Dimmi solo se ti hanno fatto del male e giuro che...".
"Cosa?". Li riapre e c'è di tutto lì dentro.
"Li ammazzo", un sorriso triste increspa le sue labbra. "Dimmi solo questo". Poggio la fronte sulla sua.
"Non eri incazzata?". Guarda le mie labbra poi i miei occhi. Sembra sfinito, esausto. Come se si fosse arreso ma so che non è così. Con me non si lascerà mai andare del tutto.
"Certo, ma voglio davvero sapere se stai bene".
"E perché, eh?". Poggia le mani sui miei fianchi e spinge la fronte contro la mia. "Fai sempre di testa tua, Sophia".
"Perché sei tutto per me, Alex". Lo dico e non me ne pento perché nonostante tutto, io sento quello che c'è. Sento che quegli occhi dicono altro, ed è come se gli avessi appena tirato uno schiaffo. Si allontana e si guarda intorno completamente spaesato.
"Potete entrare, il dottor Connel vi sta aspettando". Scendo della sue gambe e provo a saltellare fino alla porta d'ingresso poi sento ancora le sue mani su di me. Mi prende in braccio e piano, come se non volesse mai che questo momento finisse, entra in quella stanza e mi guarda per tutto il tempo, ogni secondo come se anch'io fossi tutto per lui.
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La cura [H.S.]
Fanfiction"Mi stai curando". "Forse è il contrario". Così vicini eppure così lontani. Da oltre dieci anni, Sophia e Alexander condividono lo stesso condominio e l'odio che i loro rispettivi genitori covano l'uno nei confronti dell'altro. Un segreto, un errore...