Sono in un bagno di sudore. I capelli appiccati al viso. Il cuore che batte a mille. Uno dei miei tanti risvegli post incubo. È un inferno. Mi passo le mani fra i capelli cercando di districare i nodi che si sono formati sulle punte. La testa fa malissimo, avrei dovuto mettere qualcosa di caldo addosso e non dormire mezza nuda e completamente bagnata.
Sospiro quando noto che sono le sette del mattino e che quindi devo darmi una mossa se non voglio perdere l'autobus.
La porta della mia stanza è aperta e sono abbastanza sicura di averla chiusa ieri sera. Forse, ai miei genitori importa ancora di me.
Dopo un'altra doccia rapida, vado in cucina. C'è solo mia madre che mi da le spalle mentre è ai fornelli. Non la saluto ma avverte la mia presenza.
"Sophia", si gira di scatto e corre ad abbracciarmi come non faceva da anni, ma io non ricambio.
"Dove sei stata?". Torna seria e sembra incazzata.
"Da un'amica", rispondo distrattamente agguantando una fetta di pane e nutella.
"Un'amica?". So cosa vuol dire. Anche lei è consapevole del fatto che la sua unica figlia non abbia amiche.
"Una collega", alzo gli occhi al cielo. "È finito l'interrogatorio?".
"Non rispondermi in questo modo", sbotta. "Sono tre giorni che non torni a casa. Tre giorni che non abbiamo tue notizie".
"Non mi sembra che ne abbiate fatto un dramma". Scrollo le spalle e cavolo, non mi aspettavo che reagisse così.
"Sei un'ingrata", urla. Io mi porto la mano sulla guancia. Non mi ha mai dato uno schiaffo. "Quello che facciamo è per te".
"Cosa?". Urlo anch'io. "Cosa state facendo per me?". Abbassa lo sguardo.
"Vai, o farai tardi a scuola". Si allontana, sfregandosi nervosamente le mani fra loro.
"Troppo facile così. Continuate pure a riempirmi di bugie. Questo non farà altro che allontanarmi da voi". Non mi risponde, ma continua a mantenere lo sguardo basso sul lavello. Me ne vado, curandomi di sbattere la porta di casa il più forte possibile.
"Poi non chiedermi di aggiustartela".
"Oddio", urlo saltando sul posto.
"Mh, a volte". Scrolla le spalle. Mi acciglio.
"E quella guancia?". I suoi occhi si riduco a due fessure. Si avvicina e lo sorpasso. Non ha alcun diritto di fare il simpatico quando solo il giorno prima mi ha praticamente urlato in faccia.
"Uh, siamo nervose". Lo sento mentre scende le scale dietro di me e sento di essere ancor più stupida per come mi sto comportando ora, dato che solo qualche ora fa, non desideravo altro che vederlo.
Alex mi rende nervosa, insicura e molto frustrata.
Sto per aprire il cancello quando la sua mano si ferma su questo.
"Vedo che hai seguito il mio consiglio". La sua voce mi arriva come una scarica elettrica, incendiando tutto.
"Non montarti la testa. Non seguo i consigli di nessuno". Continuo a dargli le spalle. È sicuramente più facile parlargli in questo modo.
"Peccato", sposta la mano e io ne approfitto per sgattaiolare via. Cammino verso la fermata dell'autobus che come al solito non è ancora arrivato. Due minuti dopo, sento il rombo della moto di Alex farsi sempre più vicino. Non indossa il casco e questo mi permette di vedere il suo viso perfetto, i suoi occhi bellissimi e quelle labbra...basta.
Sposto lo sguardo altrove prima che possa rendersi conto che lo sto fissando. Trattengo il respiro quando la sua moto rallenta al mio fianco.
"Un passaggio?". Sbarro gli occhi.
"Scherzi?". È impazzito, non c'è alcuna spiegazione e sopratutto mi sembra stranamente sereno e disposto al dialogo. Cosa mai accaduta prima.
"No", replica prontamente. Mi guarda negli occhi mentre lo dice e sembra sincero. Muoio dalla voglia di salire su quella moto con lui e abbracciarlo ma ho anche paura che mi stia solo prendendo in giro.
"Perché vuoi darmi un passaggio?". Indago, lui si morde le labbra.
"È sciopero, non passerà nessun autobus di qui".
Il mio entusiasmo si smorza. Avrei preferito una risposta totalmente diversa, ma infondo cosa mi aspettavo?
"Vado a piedi". Stringo le dita attorno alla cinghia del mio zaino.
Continua a guardarmi e ora sembra essere tornato quello di sempre. Lo stronzo di sempre.
"Come ti pare", sbotta mettendo in marcia, colpendomi con una nuvola di fumo che mi fa tossire.
Lo fisso mentre sfreccia via e quasi mi pento di non aver accettato quel passaggio.Mezz'ora dopo sono fuori la mia scuola, ma a quanto pare quello degli autobus non sembra essere l'unico sciopero del giorno. Tutti sono ancora fuori il cancello principale ad urlare cose che neppure riesco a capire. Mi avvicino ad un ragazzo che urla con gli altri, gli tocco la spalla e lui mi fulmina con lo sguardo.

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La cura [H.S.]
Fanfiction"Mi stai curando". "Forse è il contrario". Così vicini eppure così lontani. Da oltre dieci anni, Sophia e Alexander condividono lo stesso condominio e l'odio che i loro rispettivi genitori covano l'uno nei confronti dell'altro. Un segreto, un errore...