Capitolo 50

7.4K 323 10
                                    




Respira, è la prima cosa che mi ripeto mentalmente non appena chiude quella porta. Vorrei sfondarla e prenderlo a calci fino a cancellare dalla sua faccia quell'espressione soddisfatta.

Scuoto il capo e ingoio il groppo che ho in gola e che mi impedisce di respirare normalmente. Mi ha ferita, ha rovinato tutto come al solito. Tutti i miei gesti, le mie parole non sono contati nulla per lui. Questa è l'amara verità che mi tocca accettare anche se, una parte di me, non riesce a credergli. Alexander mente e indossa spesso una maschera, ma il vero problema, è che non sono riuscita a capire quale sia il vero lui e voglio smetterla di illudermi. Raggiungo il letto e mi ci siedo su afferrando la pillola per il mal di testa che Micol mi ha portato. Non ricordo neppure se l'ho ringraziato o meno. Sono completamente nel pallone e voglio andare via. Non so cosa sia successo alla mia famiglia ma pretendo di saperlo ora, quindi, prima che Alex possa uscire dal bagno, mi alzo dal letto recuperando la mia borsa su una piccola sedia posta al fianco di un armadio nero.

Un solo squillo e la voce squillante di mia madre mi costringe ad allontanare il telefono dall'orecchio.

"Sophia, dove diavolo sei?".

"Mamma, non urlare", sbotto, ed è in quel momento che porta del bagno si apre e dopo soli tre secondi il mio telefono vola dall'altra parte della stanza schiantandosi contro il muro.

"Ma sei impazzito?". Urlo spingendo Alexander dal petto e solo oro noto cosa indossa, o meglio cosa non indossa. Il suo corpo è semplicemente avvolto da un asciugamano, sempre nero e il suo sguardo non promette nulla di buono.

"Le hai detto dove ti trovi?". Mi sovrasta con la sua altezza, l'espressione dura o forse preoccupata ma lo escludo.

"Direi di no", faccio una smorfia. "Mi hai rotto il cellulare", sbraito cercando di mantenere lo sguardo alto.

"Meglio", dice soltanto poi si gira pronto a tornarsene in bagno.

"Perchè l'hai fatto?". Lo seguo fregandomene della cappa di calore che c'è lì dentro o del fatto che forse sto invadendo la sua privacy, ma infondo lui con me non si pone tutti questi problemi.

"Devo parlare con mia madre, devo sapere dove sono e...".

"Sono a casa", sospira pesantemente.

"Ma tu hai detto che...".

"So cosa ho detto", mi interrompe. "Ma tu non puoi tornare lì".

"E per quale assurdo motivo?". Spalanco le braccia.

"Non puoi e basta", mi trucida con lo sguardo. "Ora, a meno che tu non voglia aiutarmi a mettere i boxer, esci", ghigna. Schiudo le labbra e in mezzo secondo sono fuori rossa di rabbia ma anche di vergogna.


"Fame?".

"No, grazie", sussurro mentre Micol beve la sua tazza di caffè.

"Dovresti mangiare qualcosa, a quanto ho capito ieri vi siete divertiti parecchio", per poco non mi strozzo con la saliva.

"Cosa? No, ecco noi...ecco...penso che qualcosa lo mangio", sorrido nervosamente.

"Bene", ridacchia. "Allora, abbiamo uova, bacon...latte, cereali...".

"Latte e cereali va benissimo", ho già lo stomaco sotto sopra.

"Ecco a te", dice poggiando il tutto sotto il mio naso. Alexander è ancora chiuso in camera, io me ne sono andata non appena l'ho visto uscire dal bagno. Non credo di riuscire a restargli vicina senza arrossire. I ricordi di quello che è successo fra noi solo poche ore fa, sono vividissimi e vorrei prendere a testate quel muro per il mio comportamento.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora