Il sole filtra dalla finestra facendomi serrare forte gli occhi non appena tento di aprirli.
La testa mi scoppia, ma come al solito possa dare la colpa di questo alle lacrime versate stanotte dopo essermi svegliata in prenda ad un incubo bruttissimo. Convivo con loro da sempre, da anni. Eppure non credo di essermi mai abituata del tutto e stanotte, è stata peggio delle altre.
Non ho ricordi chiari di quello che ho sognato ma una sensazione di angoscia che mi attanaglia il petto. La porterò con me per tutto il giorno, ne sono sicura.
Sbuffo quando le urla di mio padre perforano i miei timpani. Sarà un altro dei tanti litigi fra i miei, ma devo ricredermi quando noto che quelle urla non sono poi così tanto vicine. Con chiunque lui stia litigando, non è in questa casa.
Mi metto a sedere passandomi le mani sul viso quando un nome e non uno qualunque, lascia le labbra di mio padre in un modo che forse neppure gli appartiene.
"Stai lontano da lei". Scosto le coperte dal mio corpo con uno strattone, esco dalla mia stanza per precipitarmi verso il balcone della cucina che da sulla strada e quello che vedo mi lascia letteralmente senza parole.
"L'ho visto", urla mio padre. "Tieni quelle mani lontane da lei". Alex è fermo dinanzi a mio padre, non spiccica parola ma continua a guardarlo come se solo attraverso gli occhi, fosse in grado di bruciarlo vivo.
"Sono stato chiaro?". Trasalisco quando mio padre lo afferra per il bavero della giacca. Non so cosa Alex abbia risposto, ma quando mio padre gli tira un gancio in pieno viso non posso far altro che seguire il mio istinto. Ed il mio istinto ha sempre detto: Alex. Non bado a quello che indosso o non indosso mentre apro la porta di casa e scendo le scale a due a due. Non bado alla signora del primo piano che mi guarda in modo strano o all'asfalto che sfrega contro i miei piedi.
"Sophia", vado a sbattere contro mio padre quando sto per uscire fuori dal cancello principale.
"Levati", sputo con disprezzo. "Come hai potuto?". Lo spingo sorpassandolo mentre lo sento chiamare forte il mio nome ma non mi fermo. È più forte di me, anche dopo la scorsa notte nella quale Alexander mi ha riconfermato quanto poco gli importi di me.
Esco per strada, lui è sulla sua moto pronto a partire. Non mi vede e mi metto a correre per poterlo fermare. Non so così gli dirò, non so cosa diavolo io stia facendo ma continuo a correre per quei cento metri che ci separano e continuo a farlo sempre di più quando la moto inizia a muoversi.
"Alex", urlo. I polmoni mi bruciano, mi fanno male i piedi ma quando si gira e mi guarda in quel modo credo di poterlo rifare altre mille volte.
"A-Alex", sfioro con le dita la sua giacca prima che la testa prenda a girare come una trottola.
"Sophia", sento la sua voce preoccupata, le sue dita stringere i miei fianchi. Mi sostiene e forse mi basta questo per riprendermi.
"Stai bene?". Sbatto le palpebre mettendolo a fuoco.
"Tu no", serra la mascella. "Che diavolo cercavi di fare?". Le sue mani sono ancora su di me.
"Mio...mio padre ti ha dato un pugno e io...io... ti ha fatto male?". Corro sulle parole come un fiume in piena. Lo guardo, cerco un qualunque segno della violenza di mio padre di lui, ma niente. Il suo viso è intatto e perfetto come sempre, eppure sono abbastanza sicura di quello che ho visto.
"Non è nulla", distoglie lo sguardo.
"Ma io ho visto che stavate litigando e lui...".
"Torna dentro", mi interrompe per poi lasciare scorrere il suo sguardo lungo tutto il mio corpo. "Sei in...è un pigiama questo?". Sgrano gli occhi quando mi rendo conto di indossare una misera canotta bianca e degli altrettanto miseri pantaloncini, e sono scalza. Già, un piccolo dettaglio che mi è sfuggito.
"Ehm...ok", sussurro spostando le mani dalle sue braccia ed è in quel momento che la vista si appanna di nuovo e le poche forze che avevo, vacillano.
"Cazzo Sophia", sento le sue mani reggermi per le ascelle mentre mi aiuta a farmi sedere davanti a lui sulla moto.
"S-sto bene", gracchio reggendomi al manubrio.
"Stavi svenendo per la seconda volta, anzi terza". Sbotta.
"Ho solo...ho solo corso troppo velocemente". Per lo sport che pratico questo non è un grande sforzo per me, ma il mio corpo ha deciso di fare i capricci nel giorno sbagliato.
"O forse non stai bene come vuoi far credere". Sbotta facendomi accigliare. "Non che mi importi comunque", aggiunge dandomi il colpo di grazia.
"Allora lasciami qui", lo spingo quando, per la prima volta dopo chissà quanto tempo, cerca di trattenermi.
"Non posso". Sento le sue mani stringere ancora sulla mia vita. Mi fa scendere tenendomi ancora prima di dire qualcosa che non so come decifrare.
"Tu ora vieni con me".
"Cosa?".
"Sali". Ordina aiutandomi a salire dietro di lui.
"E cerca di non cadere".
"Ma dove...che diavolo vuoi fare?". Urlo quando mette in moto.
"Non sei l'unica a voler capire qualcosa". Replica, l'espressione dura mi trafigge attraverso lo specchietto retrovisore.
"Non capisco...dove...", non nego di essere preoccupata. Non per lui. Nonostante tutto so che non mi farebbe mai del male, ma per qualcos'altro che neppure so. La mia espressione deve averlo colpito, i suoi lineamenti si ammorbidiscono appena e devo trattenermi dal sorridere come una stupida quando poggia una mano sulla mia coscia e sussurra: "tranquilla, non rischi nulla con me". Poi si acciglia, mordendosi appena le labbra. "Non oggi almeno", sussurra a bassa voce. Ma io, riesco a sentirlo lo stesso. "Ah, e tieni le gambe su. Sarebbe un peccato ritrovarti senza". Ammicca ed a quel punto non riesco a non sorridere anch'io.
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La cura [H.S.]
Fanfiction"Mi stai curando". "Forse è il contrario". Così vicini eppure così lontani. Da oltre dieci anni, Sophia e Alexander condividono lo stesso condominio e l'odio che i loro rispettivi genitori covano l'uno nei confronti dell'altro. Un segreto, un errore...