Alexander's pov
Amo guardare Sophia, e amo ancor di più il gioco di sguardi che siamo in grado di tenere nonostante la presenza di tre paia d'occhi che ci fissano in modo inquietante.
"Però...buono", commenta Natalie dinanzi al suo secondo piatto di pollo arrosto. Sembra una specie di scaricatore di porto quando mangia, una persona completamente diversa da quello che appare e da quello che anche Sophia pensa.
Noto che la guarda spesso e che spesso si perde a pensare chissà cosa. Vorrei essere più chiaro con lei, vorrei avere il coraggio di dirle che è mia in quel letto ma sopratutto fuori da quello. Vorrei che fosse la mia ragazza ma da due giorni a questa parte, sembra quasi impossibile restare da soli e Micol ne è la causa principale.
Dopo essere tornati dalla nostra breve fuga d'amore, parole sue, Micol mi ha riempito la testa di chiacchiere relative la salute di Sophia, e per quanto io voglia a tutti i costi nascondere la testa sotto la sabbia a riguardo, so che c'è qualcosa che non va. So che spesso è stanca anche quando nega di esserlo, so che ha spesso giramenti di testa anche quando li camuffa con un sorriso. So tante cose, eppure preferisco vivere nell'illusione che tutto vada bene. Non sono mai stato tanto ottimista in vita mia, sempre perfettamente misurato in tutte le mie reazioni. Avevo tutto sotto controllo. Ora non è così, ora è tutto completamente diverso, quasi perfetto ma questo non giustifica il fatto che io stia tralasciando la cosa più importante per me: la sua vita.
"Già, come ti senti oggi Sophia?". Interviene Micol e sento che mi guarda, come se volesse mettermi dinanzi la realtà dei fatti.
"Ecco....così così", i miei occhi cercano immediatamente i suoi.
"Non mi hai detto di stare male stamattina", intervengo e la vedo arrossire probabilmente al ricordo di quello che è successo.
"Ehm, sono solo un po' stanca ora", scrolla le spalle. "Dopo pranzo vado a riposare un po'".
"Dovremmo parlare Sophia", continua Micol e per quanto vorrei mettermi ad urlare ed attirare Sophia fra le mie braccia, mi ritrovo ad annuire come se lo avesse chiesto a me, perché ovviamente ci sarò anch'io.
"S-si, va bene", sussurra guardandomi, e credo non servono parole per farle capire che resterò sempre al suo fianco."Hey amico, hai una sigaretta?".
"Me ne devi cinque", sbuffo lasciando uscire il fumo dalle mie labbra prima di lanciare il pacchetto pieno per metà a Dave.
"Certo, me ne ricorderò", ridacchia venendosi a sedere sullo stesso muretto sul quale io e Sophia eravamo soli fino ad un minuto prima. "Che fate?".
"Nulla", replica lei mentre io mi limito a guardarlo male.
"Micol ti cerca", continua rivolgendosi a Sophia che credo non sospetti minimamente dell'interesse che questo coglione provi nei suoi confronti.
"Ah, si...ora vado", fa per alzarsi ma l'afferro da un braccio.
"Aspetta, finisco di fumare e andiamo insieme".
"Ok", mi sorride ignara anche dell'effetto che ha su di me ogni volta che lo fa. "Alex", mi chiama dopo un po'. "Posso fare una telefonata?".
"A chi?". Mi acciglio forse più del dovuto.
"Vorrei chiamare Eric e Sara, saranno preoccupati e ...".
"Credo sia meglio non rischiare", interviene Dave poggiando una mano sulla sua spalla. Sto davvero cercando di controllarmi.
"Perché?". Domanda lei. "Non credo ci siamo microchip in giro". Sbotta.
"Dave ha ragione", dico attirando la sua attenzione. Probabilmente litigheremo ma non voglio che chiami quel tipo che mi sta sulle palle. Ha me, non serve altro. "Non possiamo fidarci di nessuno".
"Scherzi?". Incrocia le braccia al petto. "Sono miei amici e Sara lavora dove lavori anche tu". Dave scoppia a ridere e sta per beccassi un pugno fra i denti.
"Chiunque potrebbe tradirci", serro la mascella. "Puoi davvero fidarti di loro?".
"Certo che posso", sbotta alzandosi. "Mi vogliono bene ed è quasi un mese che non hanno mie notizie...".
"Magari non gliene frega proprio", scrollo le spalle e posso vedere nei suoi l'occhi passare l'ombra di qualcosa che mi spezza in due.
"Magari hai ragione, ma quando stavo male per te", le trema il labbro ed io vorrei solo prendermi a sprangate da solo, "loro ci sono sempre stati".
"Dove stai......", mi sorpassa con tanto di spallata, rientrando in sala.
"Mi sa che l'hai fatta incazzare".
Stringo le mani in due pugni cercando di calmarmi ma non ci riesco, ho la necessità di sapere chi cazzo è quell'Eric per lei. Non voglio farla piangere, non voglio più vederla star male per nessuno, sopratutto per me, ma la gelosia che provo nei suoi confronti è enorme e le cazzate che farò, ancor di più.
"Levati dalla palle", mi limito a questo solo per poter raggiungere Sophia e chiarire questa situazione una volta per tutte, e mi tremano le mani quando vedo Micol girarle intono come una fottuta ape su un fiore.
"Dobbiamo parlare", le dico quando sono a meno di mezzo centimetro da lei.
"No, ora devo parlare con Micol", iniziano a camminare fino alla sua stanza, li seguo.
"Bene, come vuoi, ma dopo dobbiamo...", e resto a bocca aperta e con una mano a mezz'aria, quando mi chiede la porta in faccia con un tonfo.
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La cura [H.S.]
أدب الهواة"Mi stai curando". "Forse è il contrario". Così vicini eppure così lontani. Da oltre dieci anni, Sophia e Alexander condividono lo stesso condominio e l'odio che i loro rispettivi genitori covano l'uno nei confronti dell'altro. Un segreto, un errore...