Capitolo 31

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Quando torna a guardarmi vorrei poter fermare il tempo. Sembra così sicuro della decisione appena presa. Spero solo non se ne penta. Aspetto con le braccia molli lungo i fianchi la sua prossima mossa che non tarda ad arrivare.
"Stanno andando via", dice passandosi una mano fra i capelli. Non so se è ancora ubriaco, ma i suoi occhi sono lucidi, la postura differente da quella impostata e sicura di sempre. Vorrei che faccia questo perché lo vuole ma la paura che lui possa mandarmi via è più forte. Non dico nulla. Annuisco soltanto. La musica si stacca di colpo provocando un forte boato che mi fa sorridere.
"Li conosci tutti?". Domando torturando le mani fra loro.
"Qualcuno", scrolla le spalle. "Mi basta che vadano via". Ed è proprio quello che accade. La voce, anzi le urla di Dave rimbombano aldilà di questa stanza. C'è chi si lamenta, chi continua a ridere. Le voci man mano diminuiscono fino a trasformarsi in un silenzio che non posso che adorare in questo momento.
Anche Eric ne sarà felice.
Dio, Eric. Mi sono completamente dimentica di lui, ma so che se gli racconterò quello che mi sta succedendo, non potrà essere arrabbiato con me. Almeno lo spero.
"Credo siamo rimasti solo noi ora", sussurro rilasciando un respiro tremolante.
"Già", non riesco a guardarlo. Sono imbarazza ma quando alza lo sguardo nella sua direzione mi rilasso un po'. Almeno ci provo. È così carino mentre cerca di sfilarsi le scarpe rischiando varie volte di spiaccicarsi al suolo. È ancora ubriaco.
"Tutto ok?". Ridacchio avvicinandomi a lui.
"Mh, alla grande", faccio tre passi indietro, invece quando si sfila la maglia dalla testa. Quando si è fatto tutti quei tatuaggi?
"Ecco...cosa...". Dovrei richiedergli di dormire sul divano. Per quanto dormire con lui sarebbe fantastico, so che non abbiamo più cinque anni. Un tempo era la normalità, oggi, sarebbe strano. Non posso però negare che mi piacerebbe dormire fra le sue braccia.
"Russi?".
"Eh?".
"Perfetto", si butta sul letto di una piazza e mezza portando le braccia sotto la testa. "Che aspetti?". Mi guarda dal basso.
"Ah quindi... devo dormire...".
"Non devi...se non vuoi", aggiunge in tono serio. Da sobrio non mi avrebbe mai voluta così vicina. Ne sono sicura e questo mi fa pensare a tante cose. Al suo rapporto con mio padre, a quelle strane fialette, a quell'uomo che si fingeva un dottore, alle sue mani. Le sue mani che vorrei stringere fra le mie. Curare da qualunque cosa le faccia soffrire.
Se voglio? Certo che voglio. Non lo dico a parole, perché non ci riuscirei senza arrossire come un peperone. Mi avvicino a piccoli passi al sul letto stendendomi al suo fianco. Sguardo al soffitto, mani sulla pancia e mille pensieri per la testa.
"Chi c'è a casa tua?".
"Cosa?". Mi volto. Lui ha ancora lo sguardo rivolto al soffitto. "Ah...Sara ed Eric".
"Eric", ripete quel nome lentamente, come se lo stesse studiando.
"E sua figlia".
"Eric ha una figlia?". Si acciglia guardandomi.
"Sara ha una figlia. Non lo sapevi?".
"Ah si, vero", scrolla le spalle. "E...Eric è?".
"Un suo amico...ma ora credo anche mio".
È quasi difficile reggere il suo sguardo ora. Indecifrabile ma intenso al contempo.
"Capisco", sospira poi pressando le labbra fra loro.
"Come sei finito a lavorare al Sophia?". I suoi occhi bruciano nei miei. Serra la mascella, poi chiude gli occhi. Poi li riapre e si gira con tutto il corpo nella mia direzione. Come un mantra. Come se fosse un modo per tenere tutto sotto controllo.
"Come tu sei finita in quel posto per una settimana". Replica. So che è infastidito da questo argomento. Glielo si legge in faccia.
"E ti piace? Lavorare lì intendo".
"Si".
"Beh lo capisco", ridacchio nervosamente. "Credo sia il sogno di ogni ragazzo".
"Pensi che quel posto mi piaccia per le ragazze che ballano lì?". Inarca un sopracciglio. L'espressione seria e dura di sempre solo che ora, con quegli occhi così piccoli e assonnati non è molto credibile.
"Ehm..insomma..sei un ragazzo e credo sia..".
"Il Sophia è più di quello", sussurra. Sembra così sincero. Come se stesse parlando di qualcosa di suo.
"Ci lavori da molto? Sembri affezionato a quel posto?".
"Da sempre. Ci lavoro da sempre e si...è tutto per me". Mi guarda negli occhi. In realtà non ha mai smesso di farlo da quando abbiamo iniziato a parlare. Porto una mano sotto la guancia.
"Sai, anche a me piace molto il Sophia", dico. Sussulta ma è solo un attimo, tanto che penso di essermelo solo immaginato. "Ho lavorato poco lì, ma....mi sentivo a casa". Sorrido al pensiero. Al ricordo di quei giorni. "Stavo bene. Mi sentivo protetta. È un bell'ambiente".
"Protetta?". Sussurra sospirando pesantemente.
"Si, molto. Dove lavoro ora sto bene. Non è questo...solo che, mi piaceva di più stare lì". Scrollo le spalle. Continua a guardarmi mettendomi ancor più in imbarazzo. "Aspetta...non è che sto cercando di..insomma, so che tu preferisci che io non metta più piede lì. Era solo...la mia opinione su...". Le parole mi muoiono in bocca quando sfiora il mio viso con le dita. Il suo respiro batte sul mio viso prima che quella stessa mano percorra il mio profilo fino a posarsi sul mio fianco. Da qui posso vedere la finestra della mia stanza. Stasera le sue tende sono aperte. Non so che dire, ma ci pensa lui a spiazzarmi.
Ha gli occhi chiusi, credo sia sul punto di addormentarsi quando pronuncia qualcosa che invece a me non farà chiudere occhio per tutta la notte.
"Piacerebbe anche a me averti ancora lì", un filo di voce. Parole dette in un momento di semi coscienza. Ma pur sempre dette. Sbatto le palpebre cercando di capire se quello che è successo, è reale. Lui è qui, al mio fianco.
"Alex", sfioro il suo viso fregandomene della sua reazione, e quando lo  spinge verso il palmo della mia mano, capisco che si è addormentato ed è tutto esattamente come lo volevo. Tutto al suo posto.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora