Capitolo 45

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"Più di quanto immagini", faccio una smorfia.
"Vedremo", borbotta.
"Quindi, che si fa ora?".
"Sto pensando", mi fulmina con lo sguardo. "Sai qui non funziona come a casa tua".
"L'ho capito", sospiro andandomi a sedere in un angolino. "E tu? Cosa avresti fatto in questo caso?".
"Avrei raggiunto la mia stanza", si passa le mani fra i capelli. È teso, so che parlarmene non rientrava nella sue intenzioni.
"La tua stanza?". Mi acciglio. "Hai una stanza qui?".
"Tutti abbiamo una stanza qui", si siede anche lui, molto lontano da me. "E in teoria, dovrei raggiungerla fra...venti minuti", dice guardando l'orologio che ha al polso.
"Non credo di aver capito", sussurro.
"È normale", dice, poi nulla più.
"Sembrava che tu volessi dirmi tutti". Cerco il suo sguardo che come sempre è sfuggente. Sono sicura che neppure in questa circostanza otterrò qualcosa.
"Non ti allargare". Sbuffa una risata. "Inevitabilmente capirai qualcosa ma non tutto, non stanotte", si fa improvvisamente serio.
"Queste le ho già viste", indico le boccette che ci circondano.
"Lo so", sembra quasi rassegnato mentre parla. Non credo ci sia altro modo per descrivere il suo tono di voce.
"A cosa servono?".
"A tante cose", ora mi guarda e sembra quasi che stia cercando di controllare ogni mia piccola reazione. Per ora sono tranquilla. So che non dovrei esserlo, so che questo posto non è normale. Nulla lo è ma la sua presenza in qualche modo mi calma e so anche, che non è lo stesso per lui.
"Quindi...devi andare...nella tua stanza?". Domando incerta.
"Non credo proprio che lo farò", fa una smorfia. "Avvicinati, lì sei troppo esposta".
"Ma non possiamo, non so...uscire da qui dentro?".
"No, non puoi uscire da qui dentro", specifica. Mi alzo andandomi a sedere al suo fianco dove uno scaffale ci copre nel caso qualcuno decidesse di entrare.
"E...quindi non è un problema se tu...".
"Si", mi interrompe bruscamente. "È un problema se non sono nella mia stanza fra venti minuti. Sanno che sono entrato e mi chiedo come diavolo hai fatto....".
"Sono bassa", ridacchio e lui mi guarda male.
"Questo non è uno scherzo, Sophia", ringhia fra i denti. "Non dovevi...".
"Lo sai perché l'ho fatto". Sbuffo.
"No, non lo so. Solo una stupida entrerebbe in un posto simile".
"Sai cosa?". Chiudo le mani in due pugni. "Sarò anche una stupida, avevo paura ma l'ho fatto solo per te. Perché pensavo che ti facessero del male come a quel ragazzo. Forse tu per me non lo faresti, ma io si", sbotto tutto d'un fiato. Il suo sguardo è fisso su di me, non mi ha lasciata per un sol secondo e credo non abbia parole da ribattere, ma ancora una volta mi sbaglio.
"Qui non fanno del male". Solo questo, come se tutto quello che ho detto non avesse alcuna importanza.
"Sei uno stronzo", scuoto il capo.
"Libera di pensarlo". Punto lo sguardo lontano da lui imponendomi di non parlargli più. Non so in che diavolo di guaio mi sono cacciata ma la sua indifferenza fa più male delle conseguenze del mio gesto. Abbraccio le mie ginocchia e poggio il mento su questo. Passa mezz'ora, forse un'ora così e da una parte vorrei che se ne andasse nella sua maledetta stanza e mi lasciasse in pace, ma non avviene. Qui fa freddo e puzza di disinfettante. Sarà una lunga notte.
"È complicato", la sua voce esce roca come se non parlasse da anni. Non rispondo e lui continua, stranamente lo fa. "Potresti pensare che questo sia un manicomio e forse lo è, ma qui nessuno vuole fare del male a nessuno. È solo molto complicato e come tutto, ha degli effetti collaterali".
"Come le tue mani?". Mi mordicchio il labbro giocherellando con i lacci delle mie scarpe.
"Come le mie mani", conferma. "Ma non devi dirlo a nessuno".
"Pensavo ti fidassi un minimo".
"Qui la fiducia c'entra ben poco". Sento che mi guarda ma non ricambio. "Sapere è un pericolo, Sophia".
"Non so poi molto".
"Dovresti venire più in qua".
"C-cosa?". Balbetto quando sento le sue mani afferrare le mie gambe e trascinarmi sempre più vicina a lui.
"Se qualcuno entra, ti vede". Sospira quasi scocciato, eppure il suo tocco ha tutto un altro aspetto.
"E...cosa succede se....".
"Nulla, non ti succede nulla", vedo i suoi lineamenti indurirsi.
"E a te?".
"Pensi sempre a me, nana?". Inclina la testa di lato mentre io lotto per non arrossire.
"Ti pare?". Inarco un sopracciglio improvvisando una sicurezza che non ho affatto ora.
"Mi pare", un sorriso furbo increspa le sue labbra.
"Allora dovrei smetterla di darti così tante sicurezze". Sussurro.
"Sicurezze?". Sbuffa una risata. "Non sei molto sicura, Sophia. Non sei una di quelle che dove la metti, la ritrovi. Ma infondo...non lo sei mai stata".
"Menomale che lo ricordi allora", dico guardandolo.
"Già, menomale", pressa le labbra fra loro poggiando la testa contro il muro.
"Se devi andare...".
"Ti ho già detto che non vado da nessuna parte". Sospira.
"Come vuoi", allungo le gambe e lui ride. "Che ti prende ora?".
"Quanto sei alta?". Assottiglia lo sguardo.
"Abbastanza da tirarti un pugno in faccia".
"Sapevo che avresti risposto così", ridacchia.
"E quindi sai anche che ne sarei capace", assottiglio lo sguardo.
"Solo perché ti lascerei vincere", incrocia le braccia al petto mettendo in risalto i suoi muscoli.
"Certo, staremo a vedere".
"Da quando condividi il tuo gelato?". Domanda d'un tratto, ha la capacità di passare da un argomento all'altro con fin troppa facilità.
"Da poco, in realtà", scrollo le spalle, qualcosa mi dice che questo lo infastidisce e non poco. Alle volte mi chiedo come entrambi possiamo evitare di parlare di quei baci con così tanta facilità. A me manca il coraggio, ma a lui?
"Immaginavo", fa una smorfia.
"Perché questa domanda?". Chiedo.
"Così", afferra una boccetta e se la rigira fra le mani.
"Posso vedere?".
"No", alza lo sguardo ma nel frattempo ne ho già presa una. "Posala Sophia", sospira.
"Sembri mio padre", alzo gli al cielo. "Rilassati. A giusto, anche lui conosce queste...cose. Te le ha date lui". Aggiungo piccata.
"Come vedi, non mi serve lui per averle", si guarda intorno.
"Mi stai dicendo che è coinvolto?".
"Penso che tu lo sappia già ormai". Scrolla le spalle.
"Quello che non so, è di cosa si tratta".
"Capirai anche quello", sussurra.
"Perché avete paura che io lo sappia?". Poso quella boccetta al suo posto ed Alex segue ogni mio minimo movimento con gli occhi.
"Io non ho paura". L'intensità del suo sguardo mi sconvolgendo. "O meglio...niente", scuote il capo.
"Non avevo dubbi", una risata amara lascia le mie labbra. "Mi chiedo spesso cosa ti trattenga".
"Tu", sputa arrabbiato. "Ma non lo capisci", si alza iniziando a camminare per la stanza con le mani fra i capelli.
"Io? Che ho fatto ora?". Mi alzo a mia volta. "E non dirmi che è complicato".
"Anche se lo è?". Si ferma girandosi nella mia direzione.
"Più complicato di allontanarti da me?". Sussulta. Ho questo brutto vizio: non so controllarmi.
"Sei testarda", accenna un sorriso triste o infastidito. Non saprei dirlo. "Mi è sempre piaciuto". Stavolta sono io quella ad essere colta di sorpresa e a non sapere cosa dire.
"Ti piace ancora qualcosa di me?". Avanzo di qualche passo con il cuore in gola e una voglia matta di abbraccialo.
"Qualcosa", quel sorriso aumenta anche se lui fa di tutto per mascherarlo.
"Meglio di nulla", mi fermo ad un passo da lui.
"Non ti arrendi mai tu, eh?". Scuoto il capo.
"Tu l'avresti fatto?". Sussurro e chiudo gli occhi quando la sua mano si allunga verso il mio viso portando una ciocca di capelli dietro il mio orecchio.
Ho ancora gli occhi chiusi, non parla. Li schiudo quando entrambe le sue mani afferrano il mio viso. Accarezza le mie guance, poi con i pollici sfiora le mie labbra. Poggia la fronte contro la mia e ci guardiamo come se il resto non esistesse e vorrei davvero che fosse così.
"No, se ci tengo". I suoi occhi ora puntano solo le mie labbra. Voglio baciarlo ma non voglio che consideri questi baci come una semplice collezione.
"E ci tieni?".
"A chi?". Inarca un sopracciglio.
"Ti piace umiliarmi, Alex?".
"Alex? Non siamo così in confidenza", ridacchia facendomi innervosire. Mi allontano lasciandolo con le mani a mezz'aria. "Quanto sei permalosa". Sbuffa.
"Quanto sei superficiale", replico con una smorfia.
"Affatto".
Vado a sedermi dov'eravamo prima senza degnarlo di riposta.
Sbuffa ancora più forte, addirittura ha il coraggio di fare la parte dell'offeso quando quella incazzata dovrei essere io. Solo io. Non mi prende mai sul serio. Non prende sul serio i miei sentimenti e il nostro legame, ma infondo quello l'ha dimenticato da un pezzo.
"Quando ti è passata, fammelo sapere". Stranamente viene a sedersi al mio fianco. Continuo a non risponderlo. Sono esausta, così poggio la testa sulle ginocchia sperando di riuscire a dormire qualche ora e quando sto per addormentarmi sento le sue mani posarsi sulle mie spalle.
"Mh", mugugno.
"Poggia la testa sulle mie gambe", dice e mi aiuta a farlo. Sto per crollare quando sento le sue dita giocare con i miei capelli.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora