Capitolo 14

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"Mi hai fatto prendere un colpo".
"Chi pensavi fosse?". Mi chiede inclinando la testa.
"Io...non lo so", sospiro passandomi una mano fra i capelli. "Ma...meglio così", bofonchio.
"Direi di si. Dave era parecchio incazzato e il tuo amico non era da meno".
"Vorrei solo capire cosa gli passa per la testa". Sbuffo portando le ginocchia al petto.
"A chi ti riferisci precisamente?". Ammicca allungando una mano nella mia direzione.
"Lascia perdere", sussurro distogliendo lo sguardo. I miei pensieri su Alex sono troppo imbarazzanti da condividere. Non capisco, dopo tutto quello che mi ha già fatto, perché ci resti ancora male per i suoi comportamenti.
"Andiamo va", mi tira da un braccio facendomi alzare.
"Sicura che....".
"E tu sei sicura che i tuoi genitori non mi denuncino per rapimento di minori?".
"Tecnicamente non sono minorenne, potrei anche guidare un auto", scrollo le spalle afferrando la mia borsa e sopratutto il mio cellulare che non ho ancora controllato. Ovviamente è scarico, ma devo ammettere che non mi è affatto mancato questo aggeggio infernale.
"Giusto", ridacchia. "Come mai non hai ancora la patente?".
"Aspetto di racimolare qualche soldo. Non credo che i miei ora possano permettersi di pagarmi il corso". La sala è deserta, tranquilla. Non c'è più nessuno oltre noi e fà quasi impressione vederla così.
"Resti spesso fino a quest'ora da sola?". Le chiedo, aspettando che chiudi un grosso catenaccio alla serranda del locale.
I miei capelli svolazzano al vento. Non vedo l'ora di dormire, ma dormire sul serio e spero di non iniziare ad urlare in prenda agli incubi. Non saprei cosa dire, ne come spiegarglielo. Non voglio farlo, ma non voglio neppure tornare in una casa che in questo momento non sento affatto mia.
È la prima volta che dormo in un posto diverso dalla mia stanza, so che mi sentirò strana, fuori luogo ma devo provarci. Non vivrò per sempre lì.
"Una volta al mese mi spetta la chiusura del locale. Non è molto impegnativo".
"Ma inquietate", le dico guardandomi intorno. Tutto questo silenzio mi mette ansia e non è da me. Non ho neppure paura quando dopo lavoro torno a casa da sola e a piedi.
"Poi ti ci abitui", scrolla le spalle, facendomi segno di seguirla alla sua macchina.
"Quindi....vivi da sola?". Le chiedo non appena mette  in moto.
"No, sto con mia madre. Con la bambina e il lavoro, non saprei proprio come organizzarmi".
"Capisco", in realtà no. I miei genitori non si sono mai fatti molti problemi a lasciarmi sola anche quando ero una bambina. Poi c'era Alex con me e le giornate erano sicuramente più semplici, più leggere, più belle. Questo però lo tengo per me. Custodisco i pochi ricordi che abbiano insieme gelosamente.
"E tu? Non sembri avere un buon rapporto con i tuoi".
Inizia a piovere e per un attimo mi perdo in quelle parole.
Non sembri avere un buon rapporto con i tuoi.
"Odio le bugie, e credo che loro ne dicano troppe".
"Non dovrebbe essere il contrario?". Mi guarda di sottecchi, trattenendo una risata.
"Già, ma non è così", ridacchio.
"Non credo sia solo questo a farti prendere questa decisione".
"Non si tratta di piccole bugie", replico sperando che non chieda altro.
"Quando vuoi, ti ascolterò".
"Grazie Sara. Mi hai davvero salvato stanotte".
"Aspetta a ringraziarmi. Non ti ho ancora detto cosa voglio in cambio". Mi strizza l'occhio e sono quasi tentata di aprire lo sportello dell'auto e lanciarmi fuori.

La casa di Sara è molto lontana dal Sophia, in una zona di Londra nella quale non sono mai stata.
Non sono ricca e il mio quartiere è forse uno dei più umili della città, ma questa zona mi spaventa e non ha nulla a che fare con quella in cui vivo io.
"Da questa parte", mi fa cenno di seguirla e non esito a farlo. C'è qualche ragazzo sotto il palazzo verso il quale ci stiamo dirigendo ma sembra che a lei non importi il fatto che questi tipi abbiamo un aspetto tutt'altro che raccomandabile. Non ho pregiudizi su nulla normalmente, so cosa significa ma in questo caso non riesco a fare altrimenti.
"Hey bella e tu chi sei?". Mi aggrappo alla giacca di Sara. In un altro caso avrei attaccato briga e mi sarei fatta valere, ma ci sono volte in cui il mio carattere aggressivo scompare, lasciando spazio ad una Sophia versione fanciulla indifesa che odio. Non sono questo, ma non sono neppure al cento per cento la ragazza che non ha mai paura di nulla. Sono vulnerabile nella mia forza e nelle mie fragilità.
"Peter lasciala stare", ridacchia Sara, divertita dalla mia reazione forse esagerata.
"Afferrato", risponde quel ragazzo alzando le mani in segno di resa.
"Lo conosci?". Le chiedo non appena entriamo in quel condomino dell'aspetto vecchio e pericolante. Non mi ero mai fatta un'idea chiara su come potesse essere la vita di Sara. È sempre così allegra, sorridente. Non avrei mai pensato che avesse...così tanti problemi, se posso definirli in questo modo. Magari per lei, questo è il meglio e la capisco. Siamo più simili di quanto pensassi per certi aspetti, eccetto che per il suo ottimismo. Io credo di non averlo mai avuto davvero.
"Ci conosciamo un po' tutti qui", scrolla le spalle. "Non vedo l'ora di presentarti mia figlia", sorride. "È una peste, ma credo che andrete d'accordo".
"Se è una peste, andremo per forza d'accordo", replico con un sorriso. L'ansia di pochi attimi fa sembra essere scomparsa e tutto questo grazie a Sara. Credo che tutti abbiamo bisogno di una persona come lei nella vita.
Sorrido, quando la voce, o meglio, le urla di una bambina giungono alle nostre orecchie.
"Credo che farà la cantante da grande".
"Non sarebbe male". Ridacchio restando qualche passo indietro quando Sara bussa alla porta di un appartamento al secondo piano.
"Oh finalmente". Una donna alta, giovane ed incredibilmente bella ci accoglie esasperata. "Oggi è stata irrequieta per tutto il tempo".
"Le mancavo", risponde Sara con una semplicità assurda. "Mamma lei è Sophia, resta con noi stanotte".
"Oh, ciao", mi guarda sorridendomi ampiamente. "Emma, la mamma di Sara", precisa e sembra essere davvero orgogliosa di questo.
"Piacere mio, sono Sophia", abbozzo un sorriso entrando in casa.
"Mamma, mamma".
Una piccola bambina con due piccole trecce bionde corre nella nostra direzione con in mano quella che ha tutto l'aspetto di essere una bambola decapitata. "Molly bua", piagnucola agitando il pezzo restante del suo gioco.
"Come mai la tua bambola non ha la testa tesoro?".
"Non lo so mamma, bua Molly". Sporge il labbro. È tenerissima. La cosa più dolce che abbia mai visto.
"Mh, si certo", borbotta Sara prendendola in braccio. Non credo di essere abituata a scene simili, ma sopratutto non mi aspettavo un lato così diverso in Sara.
"Che fai lì impalata cara, vieni a sederti".
"Oh, eccomi", scuoto il capo avvicinandomi  alla signora Emma che non ha smesso di guardarmi e sorridermi per un sol secondo. Ora capisco perché Sara è così. Avere buoni esempi è importate e forse, anche per questo io sono diversa.
"Torno subito", dice Sara portando sua figlia in un'altra stanza.
"Allora Sophia...lavori con mia figlia?". Prendo posto sul divano strapieno di giocattoli e copertine di ogni tipo.
"Non più. Ho fatto un periodo di prova al Sophia ma non è andato bene", scrollo le spalle poggiando la borsa al mio fianco.
"Davvero?". Si acciglia. "Sara mi ha sempre detto che il suo datore di lavoro è un uomo per bene".
Un uomo per bene, non è esattamente lo stesso modo in cui io avrei descritto Dave, ma è ovvio che Emma non conosca il soggetto.
"Non saprei dirle. Mi ha semplicemente detto che non avevano bisogno di una mano in più".
"Mh, mi dispiace per te cara", poggia una mano sulla mia posata sul tavolo.
"Fortunatamente ora ho un nuovo lavoro. La paga è più bassa ma non mi lamento". Sorrido.
"Sembri così giovane", inclina il capo. "Se posso, quanti anni hai?".
"Ecco io...ne ho sedici".
"Non mi sbaglio mai", ridacchia.
"Eccomi...ti ha già fatto l'interrogatorio?".
Sara ritorna con l'aria distrutta e completamente struccata. Beata lei che riesce ad essere bella anche così.
"Ma no, è gentilissima".
"Ecco, diglielo. Mia figlia mi critica sempre".
"Diciamo che ti conosco da un po'", replica Sara afferrando un biscotto da una scatola posta sul tavolo. "Hai fame?". Mi guarda.
"Oh no, sto bene".
"Cioccolata calda?". Propone sua madre.
"In realtà...".
"Si mamma, due e belle calde".

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora