Capitolo 37

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"Quindi te lo ricordi quel posto?". Mi avvicino di qualche passo, il suo sguardo che segue attento ogni mio movimento.
"Non molto", dice eppure sono sicura che sta mentendo. Mi fermo a davvero pochi passi da lui. So che dovrei andarci con i piedi di piombo, so che non dovrei travisare il mio stesso volere. Voglio bene ad Alexander ma questo sentimento sembra diverso rispetto a quello di dieci anni. Forse è normale, ma quello che accende un allarme nella mia mente, è quella strana voglia di voler stare sempre più vicina a lui e non solo fisicamente parlando. In ogni senso e non so a cosa possa portarmi tutto questo. Ho sempre più paura, mi sento insicura come non mai.
"Alex", sospiro presa da tutte quelle sensazioni negative che forse sono solo nella mia testa ma che non posso ugualmente ignorare. "Io...non voglio che tu ti senta costretto. Se non vuoi...ecco, io non voglio che tu accetti di venire in quel posto con me solo per...pietà". È imbarazzante parlare in questi termini ma sono sempre stata fin troppo diretta con lui e forse è questo il mio sbaglio più grande. Quello che lo farà allontanare.
"Non faccio mai quello che non voglio fare". I suoi occhi sembrano sinceri e quando tende una mano verso la maglia che indosso tirandone un lembo, sussulto.
"Deve essere strano vedere il proprio nome ovunque", alza lo sguardo ma io ho altro da dire.
"A volte non fai neanche quello che invece vorresti fare".
Inclina il capo e l'ombra di un sorriso spunta sul suo viso.
"A volte", sussurra. "Ma non questa volta".
"Quindi vuoi?". Odio mostrarmi così insicura, odio pensare di apparire una stupida ai suoi occhi ma se questo potrebbe riallacciare i nostri rapporti, sarò ben felice di tutto quello che ho fatto per lui un giorno.
"Mh, mh", annuisce.
"E comunque si, è abbastanza strano vedere il mio nome ovunque", ridacchio cercando di mascherare la tensione che mi sta mangiando viva. "Ma è anche figo".
"Figo, eh?".
"Mi fa sentire a casa", dico ma me ne pento quando noto la sua espressione. "Ho detto qualcosa di sbagliato?". Domando prontamente.
"No, niente di sbagliato". Sospira mordendosi il labbro. Lascia la presa dalla mia maglia passandosi una mano fra i capelli. "Il tempo sta peggiorando", si avvicina alla finestra. Sta diluviando in effetti e sono le tre del mattino. Sbadiglio passandomi le mani in faccia. Stranamente ho sonno e stranamente non temo di dormire come ogni notte.
"Restiamo qui?". Chiedo guadando le sue spalle rigide e larghe. Deve fare tanta palestra per avere un fisico del genere
"Si", si gira tornando verso di me. "C'è una coperta sul divano, sistemati lì".
"E tu?".
"Non ho sonno".
"Ma dai". Sbuffo una risata. "Di solito sono le ragazze che trovano una scusa per non dormire con il ragazzo che le ospita per la notte".
"Non è una scusa, sbruffona", assottiglia lo sguardo. "Quando mi verrà sonno, rimpiangerai di avermi su quel divano". Ammicca.
"Mh, vedremo", scrollo le spalle sfilando le scarpe, prima di stendermi sul divano e coprirmi con quella coperta.
Lui è impalato al centro della stanza e non si muove come se stesse pensando a chissà cosa.
"Beach East". Dice di punto in bianco.
"Cosa?". Mi metto seduta.
"Dove abbiamo scattato quella foto, era quella la zona".
"La spiaggia è bellissima", dico con un sorriso a trentadue denti.
"Già".
"Speriamo ci sia il sole dopodomani". Sussurro.
"Vuoi ustionarti?". Si avvicina.
"Metterò la protezione", scrollo le spalle. "E dovresti farlo anche tu, sei più bianco di me".
"Il caldo non è un problema per me". Sospira. "Fammi spazio, nana".
"La smetti di chiamarmi così?". Aggrotto le sopracciglia, spostandomi un po'.
"Ma lo sei". Si siede dandomi le spalle mentre si sfila le scarpe.
"Si, certo", borbotto.
"Vuoi negarlo?". Si gira guardandomi come se stessimo parlando di qualcosa di estremamente serio.
"Ma cosa stai...", sgrano gli occhi quando si sfila la maglia dalla testa.
"Fa caldo", scrolla le spalle. "Qualche problema?".
"Ehm, no", distolgo lo sguardo mentre sento il suo bruciare il mio viso. Sospira, cercando di stendersi al mio fianco. Odio dargli ragione, ma questo divano è davvero troppo piccolo per entrambi.
"Aiuto, così mi schiacci", scoppia a ridere.
"Te l'avevo detto". Si rimette a sedere. Siamo faccia a faccia e inevitabilmente i miei occhi sono colpiti da tutto quel nero che decora la sua pelle.
"Un tempo avevi paura degli aghi".
"Direi che l'ho superata alla grande", dice abbassando lo sguardo sul suo petto macchiato di inchiostro.
"Direi proprio di sì", ridacchio. "Alcuni sono molto belli".
"Solo alcuni?". Inarca un sopracciglio.
"Mh, vediamo". Inclino il capo cercando di avere una visione generale di tutti, e cavolo non sono affatto male. Ne sono tantissimi. Alcuni più grandi, altri più piccoli.
"Nel complesso, sono tutti molto belli e....cos'è...", afferro il suo polso.
"Non è niente", cerca di allontanarsi ma io ho ancora la sua mano stretta nella mia. Il mio bracciale, la mia chiave che batte sul suo polso dove c'è il disegno di un lucchetto.
"Alex, ma è...", alzo lo sguardo verso il suo viso ma non ricambia.
"Non è quello che pensi tu". Sbotta. "Non è per te". Alza lo sguardo, la mascella serrata e l'ennesimo colpo che devo subire.
"Oh, scusami io...", abbasso il capo mortificata fino alle punte dei capelli. "Ho solo frainteso". Prende un lungo respiro scuotendo il capo.
"Non devi scusarti", dice. La sua voce è strana, come se provasse dolore solo parlando.
"Ok", non riusciamo più a parlarci. Una parte di me aveva davvero sperato che quel tatuaggio fosse per me, ma magari c'è stata qualche ragazza nella sua vita. Ha amato qualcuno anche se ha sempre affermato il contrario. "Meglio se...dormiamo", dico cercando di infilarmi nel poco spazio che ho fra la spalliera del divano e il suo corpo. Gli do le spalle, ficcando i denti sul mio labbro inferiore. Sento che si muove alle mie spalle in cerca di una pozione che non lo faccia cadere per terra, poi sento le sue mani afferrare la coperta e poggiarla sulle mie spalle. Respiro piano, vorrei addormentarmi subito ma non accadrà. Mi fa troppo male il cuore per riuscirci, poi sento il suo fiato sul collo, la sua mano spostare i miei capelli in avanti per poi poggiarsi su un mio fianco. Passano dei secondi così in cui trattengo il fiato rischiando quasi di sentirmi male.
"Buonanotte, Sophy", dice e le sue dita scendono più in basso afferrando il ciondolo a chiave con il quale si mette a giocherellare.
Buonanotte un corno, vorrei dire.
"Notte", mi limito a dire con tono strozzato. Spero solo che il mio cuore non faccia brutti scherzi e che si dia una regolata. Questa vicinanza mi fa bene, mi fa sentire come avrei voluto sentirmi con Ben. Non dovrei confondere le due cose ma fra le braccia di Alexander mi sento esattamente come ogni donna dovrebbe sentirsi con il proprio uomo.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora