Alexander's pov
"Dovresti smetterla".
"Decido io quando smetterla", sbotto afferrando la birra che Dave cerca a tutti i costi di strapparmi dalle mani. Non sono ubriaco ma non mi dispiacerebbe affatto esserlo in questo momento.
Andare in quel bar si è rivelato inutile oltre che straziante. Sophia non è mai tornata e dopo altri due giorni di ricerche, mi sono lasciato andare.
"Micol è riuscito a procurarci altre dosi, l'hai presa oggi?".
"È la decima volta che me lo chiedi", sbuffo fissando il cielo ricoperto di nuvole. Siamo seduti fuori un bar, io a bere e fumare, Dave a farmi da balia. "Tranquillo, non voglio suicidarmi", sbuffo una risata per nulla divertita. È come se un po', fossi già morto.
"Beh, non ci metterei la mano sul fuoco, sei distrutto amico". Evito di rispondere perché è vero, lo sono davvero e non so più che cazzo fare per ritrovarla. "Fra un po' dovrò portarti proprio lì".
"Li dove?". Seguo il suo sguardo.
"Sembra essere una clinica quella, magari hanno anche uno psicologo per le pene d'amore".
"Taci", sbotto fissando quel portone bianco senza alcun interesse. Non invidio affatto le persone che sono costrette a vivere in posti del genere nella falsa speranza che qualcuno possa davvero salvarli. "Puoi anche andartene".
"E tu? Vuoi passare un'altra notte per strada?".
"Cazzi miei", ingurgito altra birra ma senza alcun successo. Sembra non voler far effetto, come se dovessi restar lucidi, me stesso al cento per cento, ma non lo sono da tempo. Troppo tempo.
"Come vuoi", sospira alzandosi. "Comunque dovresti riposare, o farai la fine di...Sophia", urla. Lo guardo male, nel peggiore dei modi, ma lui non sta guardando me.
"Cazzo, Sophia". Urla ancora alzando le braccia per aria.
"Ma cosa...", e solo quando punto lo sguardo lì dove sta puntando il suo, il mondo si ferma, tranne il mio cuore. Quello è più vivo che mai.
"Perché è in quella clinica? Dovremmo chiamarla? Cosa vuoi fare?". Sono immobile come una statua. Continuo a fissarla come fosse una sorta di apparizione, e lo è.
"Sta zitto", ringhio non distogliendo mai lo sguardo da quello splendore. L'ho cercata per così tanto tempo che ora non so che fare, mi sento come un ragazzino di quindici anni ma qualcosa scatta in me quando si gira guardando fuori dalla finestra, ed è come se non fosse passato un solo giorno.
I nostri occhi si intrecciano all'istante, come se sentisse la mia presenza. Dapprima li spalanca, poi li strizza e io sono già sotto quella finestra con le mani attaccate al tubo del gas per salire da lei. È fastidiosamente romantico per uno come me, ma non posso sprecare neppure un secondo, non posso prendere in considerazione nessun tipo di pericolo quando sono a pochi centimetri dai suoi occhi lucidi, dalle sue labbra schiuse e dal suo profumo che tanto mi è mancato.
"Alex...", non le do modo di dire altro che mi piombo su di lei come un cacciatore con la sua preda. La stringo a me e la bacio come se da questo dipendesse la mia vita, ed è stato esattamente così in questi giorni. È confusa, e non ricambia subito, poi la stringo più forte e le sussurro un sono qui, sono io per riavere indietro la Sophia che ho sempre conosciuto. La mia Sophia.
"Sei...tu?". Mormora fra un bacio e l'altro, aggrappandosi alle mie spalle, mordendo le mie labbra, tirando i miei capelli.
"Si", ansimo lasciando scorrere le mani lungo tutto il suo corpo, afferrandola poi per il retro delle ginocchia per sollevarla e farla stendere sul letto sul fondo della stanza. "E non me ne vado più", le prometto. Non mi perdonerò mai per averla lasciata sola in casa. Mai.
"Oh, Alex", nasconde il viso nell'incavo del mio collo mentre bacio il suo con tutto me stesso. Voglio divorarla, voglio che lei sappia quanto è mia, e sto per farlo, sto per dirle tutto ma qualcuno alla porta suona e posso leggere tanto, troppo terrore nei suoi occhi.
"Sophia, puoi aprire un attimo?". Tom.
"Oddio", si mette a sedere restando però aggrappata al mio braccio. "Dio, Alex devi andare".
"Neanche per sogno", metto in chiaro. "Apri, gli parlo io".
"Cosa? Sei impazzito?". Si alza e inizia a camminare per la stanza con le mani fra i capelli.
"Sophia".
"Un attimo", urla. "Mi sto vestendo".
"Hey", mi alzo anch'io, la raggiungo afferrando il suo viso fra le mie mani. I suoi occhi si addolciscono, e giuro non avrei mai immaginato una reazione simile da parte sua dopo il modo in cui ci siamo lasciati. Dopo il modo in cui io, l'ho lasciata. "Di cosa hai paura?".
"Non ci credo che sei qui", sussurra.
"Neanch'io", ammetto. "Ma è così, e non ho alcuna intenzione di commettere gli stessi errori".
"Non puoi farti vedere da lui. Succederà un casino".
"Credimi, nulla che non stia già succedendo". Poggio la fronte contro la sua.
"Io...ti prego, nasconditi in bagno. Non voglio che lui ti mandi via", mi supplica e per quanto voglia spaccare la faccia di suo padre, vederla così mi porta ad accettare la sua richiesta.
"Mandalo via il prima possibile", mi lecco le labbra dove c'è ancora il suo sapore, prima di chiudermi nel bagno in camera ed aspettare.
"Eccomi", la sento mentre apre la porta a suo padre. Non sapevo di avere tutto questo auto controllo.
"Ma che stavi facendo?". Sbuffa lui, vorrei davvero pestarlo a sangue. Adoravo quest'uomo, ora non è più così, non dopo quello che ha fatto.
"E-ero in bagno". Sophia non sa mentire, non l'ha mai saputo fare. Continuano a parlare del più del meno, io conto i secondi che mi separano da lei, fin quando il mio telefono squilla, e tutto va a puttane.
"Ma...chi c'è?". Urla Tom.
"No, papà. Ti prego", Sophia scoppia a piangere mentre sento suo padre avvicinarsi a me e non ho rimpianti, nemmeno uno. Apre la porta, lo colpisco in pieno viso con un gancio destro che lo metterà fuori gioco per un po'.
"Alex", urla Sophia. "Ma cosa stai...".
"Tu vieni con me", le prendo la mano. La sua incertezza mi fa paura. "Non ti lascio più", dico senza neppure pensarci. È naturale, e quando stringe le sue dita alle mie, capisco che tutto il resto può anche aspettare. "Corri", le dico e lo facciamo, più che possiamo. Spingo medici ed altre persone che cercando di fermarci, la tengo stretta a me mentre sento le urla di suo padre troppo vicine.
"Dave", urlo con tutto il fiato che ho in gola non appena siamo fuori. Mi vede, ci vede. Continuiamo a correre e non mi guardo mai indietro. Sento che è stanca, sento che non reggerà a lungo.
"Alex", annaspa in cerca d'aria. Mi abbasso sulle ginocchia, la prendo in braccio, e continuo a correre fin quando non sono sicuro che li abbiamo seminati.
"Alex, da questa parte", seguo Dave e guardo Sophia che ora è bianca come un lenzuolo.
"Alex", sussurra lei.
"Hey, cos'hai?". Il cuore le va a mille, ho paura.
"Non lo so", mi guarda e nonostante tutto, è sempre bellissima.
"Tranquilla", le bacio la fronte. "Ora sei al sicuro".
"Dobbiamo portarla da Micol", dice Dave. Annuisco lasciandole un altro bacio, ma sulle labbra.

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La cura [H.S.]
Fanfiction"Mi stai curando". "Forse è il contrario". Così vicini eppure così lontani. Da oltre dieci anni, Sophia e Alexander condividono lo stesso condominio e l'odio che i loro rispettivi genitori covano l'uno nei confronti dell'altro. Un segreto, un errore...