Capitolo 20

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Inizia piovere, ma non so bene cosa stia bagnando il mio viso in questo momento. Mi ero ripromessa di non piangere più per lui e ci sarei riuscita se quelle parole non fossero state affilate come lame.
Uscire per sempre dalla sua vita, era una cosa che non ero mai riuscita ad accettare, ma stavolta è diverso. Stavolta non riesco e non posso più ignorare quello che Alex mi provoca. Mi fa del male, più di quanto ne meriti e per quanto perderlo mi toglie il respiro, devo accettarlo. Lui non mi vuole, non vuole che io faccia più parte in alcun modo della sua vita. Strizzo gli occhi cercando di bloccare altre lacrime in arrivo. Continuo a camminare e mi sembra quasi di non ricordare più la strada di casa, mi sento persa e forse lo sono davvero. Dei passi pesanti alle mie spalle mi fanno trasalire. È tardi e chiunque potrebbe facilmente rapirmi o farmi del male senza che nessun altro se ne accorga. Normalmente non avrei paura, piuttosto penserei a qualche modo per rompergli il setto nasale, ma ora come ora non ne ho ne la voglia, ne la forza. Mi sono arresa in ogni senso e fa male, più di quanto mi aspettassi. Per questo non reagisco quando una mano afferra la mia facendomi voltare all'indietro.
"Dove stai andando ora?". Sbarro gli occhi alla vista di un Alex fradicio dalla testa ai piedi. Le mie condizioni sono le stesse, ma non ho freddo. Vorrei non sentire nulla.
"A-a casa", balbetto distogliendo lo sguardo. Spero non noti che sto piangendo, mi sono umiliata fin troppo per lui stasera e proprio come lo scorso anno, anche questo vestito è rovinato. Sembra che io non sia destinata ad andare ad un ballo.
"Andiamo", il suo tono ora è basso e mi spinge ad alzare gli occhi verso i suoi che sono diversi da quelli arrabbiati di qualche istante fa. È strano, si passa ripetutamente le mani fra i capelli, è a disagio ed io, non voglio fargli pena.
"No, vado a piedi". Non è una delle mie solite risposte stizzite, non c'è nulla in quelle quattro parole. Non c'è rabbia se non quella che provo per me stessa. Mi volto, riprendendo a camminare quando la sua mano riafferra la mia, stavolta più piano. Senza nessuna forza, quasi come se avesse paura di farmi male, ma non può farmene più di quello che me ne ha già fatto.
"Dobbiamo andare nello stesso posto", mormora. "Non farti pregare". Aggiunge piccato. Ennesimo sbalzo d'umore dietro il quale non posso più stare.
"Non voglio essere pregata, conosco la strada di casa", riesco ad essere un pizzico più dura di prima. La parte ferita è ancora fresca e per quanto la voglia di piangere è più forte di quella che vorrebbe spaccare tutto, riesco a non obbedire ai suoi comandi come una stupida. "Ciao", aggiungo e non mi segue, almeno credo.

Sospiro pesantemente alla vista del mio palazzo. Sono esausta, un disastro completo. I capelli attaccati al viso, il vestito attaccato al corpo e il cuore che rischia di uscire da questo. Dovrei averne più cura.
Spingo il cancello principale lasciandomi alle spalle un'acquazzone che andrà avanti per tutta la notte. Ho bisogno di una doccia e di una lunga dormita, ma so già che non sarà così. La mia coscienza non me lo permette, i miei incubi neppure e vorrei solo sapere a cosa è dovuto tutto questo.
Chiudo gli occhi quando il getto d'acqua calda mi colpisce in pieno viso. Sento i muscoli rilassarsi, ma la testa sembra sia sul punto di scoppiare. Avvolgo il mio corpo in un asciugamano rosso prima di raggiungere la mia stanza e gettarmi a peso morto sul letto.
"Che idiota che sono", sussurro al vuoto aspettando una risposta che non arriverà mai.
Salto, quando invece il mio telefono si illumina segnalando l'arrivo di un messaggio. Eric.
Grazie mille per prima tesoro. È stata una serata fantastica, domani ti racconto.
Sorrido, sono felice che almeno lui sia riuscito a rendere indimenticabile questa serata. Per certi versi lo sarà anche per me, ma in modo totalmente diverso.
Grazie a te per avermi accompagnata. Domani voglio i dettagli. Invio, poggiando il telefono sul comodino al mio fianco, ma nel farlo noto qualcosa che mi fa battere forte il cuore e confondere ancor di più quello che ho in testa.
Alex è affacciato alla finestra e mi sta guardando, da non so quanto. Non so che fare, non so se fingere di non averlo visto, se chiudere la tenda o se parlargli. Una parte di me sa cosa è giusto fare, ma non è mai d'accordo con quello che invece vorrei fare. Sospiro mordicchiandomi il labbro, mi sta ancora guardando e non so dare un senso a tutto ciò. Scelgo di non seguire ciò che è giusto ancora una volta. Mi metto seduta sul mio letto poggiando le braccia al davanzale.
"Cosa stavi guardando?". Gli chiedo. Le nostre finestre sono così vicine che non serve urlare. Non ne abbiamo mai avuto bisogno almeno fino a questa sera.
"Te", trasalisco e lui lo nota, ma non dice altro.
"Perché?". Chiedo cauta. Dopo il modo in cui mi ha urlato contro, l'ultima cosa che mi aspettavo da lui era questo.
"Cerco di capire". Mi fissa con espressione apatica, assente. Come se non sentisse nulla e forse è così.
"Cosa devi capire?". Stringo appena i denti. Non ho mai avuto segreti con lui, sono un libro aperto. Fin troppo.
"Che vuoi da me Sophia?". Stringe la mascella e lo faccio anch'io. Ha una bella faccia tosta.
"Non credo ora abbia più importanza. Ho afferrato il concetto prima". Accarezzo le mie braccia nude e solo allora mi rendo conto di quello che non sto indossando ma darmela a gambe, renderebbe solo la cosa più imbarazzante. Inoltre, il suo sguardo non è mai sceso oltre i miei occhi. Non è interessato a me in quel senso oltre che, in nessun altro senso.
"Vorrei saperlo lo stesso", replica passandosi la lingua sulle labbra ed io mi distraggo.
"Per umiliarmi ancora?". Stringo le mani sul davanzale, le nocche sbiancano. Sento la rabbia montarmi nuovamente dentro.
"No", risponde tranquillo. "Solo per capire cosa ti porta ancora da me". Sull'ultima parola tentenna, ma è proprio così che stanno le cose. Voglio tornare da lui e voglio che lui torni da me.
Prendo un lungo respiro. Potrei mentire, potrei ferirlo ma credo che la verità gli farà ancora più male, semmai una piccola parte di lui mi abbia mai voluta bene. In caso contrario si farà una grossa risata. Lui continuerà la sua vita ed io, cercherò di riprendere in mano la mia, da sola.
"Non ti ho mai dimenticato", sono tranquilla mentre lo dico. Non me ne pento. È come se mi fossi liberata di un peso e perdo un battito quando noto il suo sguardo addolcirsi appena.
"Dovresti odiarmi". La sua voce è calda, mi scioglie completamente e mi chiedo com'è possibile che siamo arrivati a questo dopo quello che è successo in quello strano posto.
"Diciamo che provi spesso a farti odiare da me".
"E non ci sono mai riuscito?". Si sporge di più come se volesse avvicinarsi. D'istinto lo faccio anch'io perché voglio davvero avvicinarmi a lui. Più che posso.
"Non sarei qui". Replico non distogliendo mai lo sguardo dal suo. Pressa le labbra fra loro come se volesse dire qualcosa ma non lo fa, continua solo a guardarmi in un modo che non ha mai fatto. Non saprei definirlo, ma è diverso. Completamente.
"Vuoi che ti lasci in pace Alexander?". Sussurro. I suoi occhi restano fissi nei miei senza muoversi. Passano secondi nei quali non dice nulla e sono quasi sicura che non lo farà.
"La pace non è qualcosa che mi appartiene, Sophia". Le sue labbra accarezzano il mio nome prima di curvarsi in un sorriso sexy. "Il rosso ti dona", aggiunge prima di rientrare, chiudendo la tenda.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora