Capitolo 22

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"Sei libera oggi?". Guardo mio padre con un profondo cipiglio stampato il volto. Ho dimenticato il giorno nel quale mi ha rivolto la parola l'ultima volta.
Poggio lo zaino al fianco del tavolo, valutando quale potrebbe essere la sua richiesta ora.
"Perché?". Prendo posto al suo fianco, annusando il pranzo che mia madre ci ha lasciato. Lei non c'è e mi domando dove diavolo possa essere andata a quest'ora.
"Devo incontrare dei rifornitori e mi chiedevo se potessi occuparti del negozio per qualche ora".
"Stasera lavoro". Replico affondando la forchetta nel piatto.
"Tornerò in tempo". Già, ed io non avrò neppure quello per cenare.
"Pensavo non me lo avresti mai permesso", alzo lo sguardo.
"Mi fido di te", abbozza un sorriso eppure ho la sensazione che non sia proprio così.
"Per le nove devo andare".
"Chiudiamo alle otto", mi alza il pollice e io gli occhi al cielo.
"Non mangi?". Gli chiedo quando vedo che afferra la sua giacca e il suo piatto è ancora intatto.
"Questo appuntamento è fuori città e se non parto ora, arriverò in ritardo".
"Come vuoi", mormoro fingendomi disinteressata. La verità è che non so più cosa significhi non pranzare o cenare da sola. Non ci sono mai e questo un tempo non sarebbe mai accaduto.
"A stasera", sento che mi guarda ma non ricambio.
"Ah ah", borbotto accedendo la tv.

Questo posto è esattamente come lo ricordavo. Un casino assurdo. Giocattoli su giocattoli vecchi e nuovi da dover sistemare. Mio padre è sempre stato molto disordinato e mi chiedo come possa capirci qualcosa quando deve avere a che fare con un cliente.
Passo le dita sul taccuino storico con tutti gli appunti, le vendite e qualche mio scarabocchio di quando ero piccola. C'è stato un tempo in cui questo negozio era la mia seconda casa, ora non sento più questo. Sento come se questo, fosse solo un altro rifugio pieno di bugie della mia famiglia. Sono le tre del pomeriggio ed è raro che qualcuno scelga di venire a comprare un giocattolo a quest'ora, così ne approfitto per fare un giro fra vecchi e forse nuovi ricordi.
Sospiro quando spingo la porta dell'ufficio di mio padre, lo stesso nel quale ho visto Alex per la prima volta con quella strana boccetta fra le mani. So che non è giusto, ma non riesco a trattenermi dal raggiungere la sua scrivania e curiosare fra la montagna di cartacce che vi è sopra. Fatture, ordinazioni e quant'altro non mi servono a nulla se non a farmi innervosire ulteriormente. Apro tutti i cassetti disponibili, ma nulla. Sembra tutto così normale, eppure so per certo che non è così. Sobbalzo andando a sbattere con la testa sotto la scrivania quando il suono della campanella attaccata alla porta d'ingresso, segnala l'arrivo di un cliente. Il primo. Passo le mani sui jeans cercando di scacciare via la polvere prima di raggiungere il bancone e svolgere il mio lavoro.
"Mi scusi ero....che ci fai qui?". Spalanco gli occhi poggiando le mani sul bordo del bancone.
"Tuo padre?".
"Mio padre non c'è". Serro la mascella dando il via alla mia battaglia interiore. "Puoi chiedere a me", aggiungo cercando di mantenere vivo e ben saldo il contatto con lo sguardo corrucciato e infastidito di Alexander.
"Ripasserò". Replica pressando le labbra fra loro. Troppo semplice così.
"Cosa vuoi da mio padre?". Si irrigidisce per un attimo prima di sfoderare il suo solito sorriso arrogante che tanto odio.
"Perché dovrei dirtelo?". Inclina il capo studiandomi dalla testa alla vita, poiché il bancone oscura quello che c'è oltre. Quando vuole, sa come farmi sentire stupida e impacciata come una bambina.
"Perché qui si comprano giocattoli e posso esserti d'aiuto per questo". Il mio tono è duro, per nulla gentile. Molto diverso da quello usato solo la notte prima. Ma infondo è questo quello che accade fra noi, non riusciamo mai a raggiungere un equilibrio.
"Ti ringrazio, ma preferisco giocattoli d'altro tipo", ammicca ed io sono sicura di avere assunto le sembianze di un peperone.
"Beh in quel caso...".
"Non puoi essermi d'aiuto?". Assottiglia lo sguardo avanzando di un passo. Poggia i gomiti sul bancone scrutandomi attentamente.
"Direi di n-no", balbetto. "Se non c'è altro...".
"Non è molto educato cacciare un cliente". Sorride prendendosi chiaramente beffa di me. A volte penso che l'Alex che mi prende in giro stia tornando, e che quello a cui sono indifferente sia solo un lontano ricordo. Ma questo avviene così raramente da non poterne essere completamente sicura, in ogni caso, non so cosa sia peggio.
"Neppure importunare chi sta lavorando". Replico stizzita.
"Io non ti sto importunando", ridacchia leccandosi le labbra. "Ti sembro il tipo?".
"Lo hai già fatto". Trattengo il respiro e non so il perché. Con lui mi sento sempre così. Sul punto di cadere, ma anche pronta a spiccare il volo da un momento all'altro.
"Fatto cosa?". Si abbassa un po' come se fosse realmente interessato alla mia risposta.
"Darmi il tormento", rispondo ovvia. "Con il tuo amico", aggiungo facendo una smorfia. "E per tua informazione, ho dovuto ricomprare il libro di matematica".
"Il libro di matematica?". Si acciglia.
"Già, quello che Dave mi ha praticamente disintegrato con Dio sa cosa". Vedo nei suoi occhi passare uno strano velo di preoccupazione ma che dura così pochi secondi da pensare di aver frainteso tutto.
"Dave si diverte con poco", serra la mascella. "E tu? Hai dormito?".
"Eh? Ah, sì certo", borbotto colpita da questa sua domanda ma forse gli premeva solo cambiare argomento.
"Bene". Sbatte le mani sui jeans. "Dì a tuo padre che l'ho cercato".
"Pensavo non avesse più contatti". Dico prima che lui possa andarsene.
"Solo se necessario". Mi guarda.
"Ed io.....non posso saperlo?". Sussurro, continua a guardarmi per qualche secondo prima di rispondere.
"Direi di no". Abbozza un sorriso.
"Certo", mormoro abbassando lo sguardo fingendo di dover sistemare delle carte.
"Non offenderti".
"Perché dovrei?". Non pensavo neppure che si fosse trattenuto ancora qui.
"Perché vuoi sapere".
"Già, ma a quanto pare a nessuno importa", sbotto.
"Tu cosa pensi?". Poggia il mento sul palmo della mano.
"Perché stai parlando con me Alex?". I suoi occhi si illuminano o forse sì spalancano semplicemente per il modo in cui l'ho chiamato.
"Mi va", scrolla le spalle ricomponendosi all'istante.
"E magari domani no". Aggiungo io.
"Esatto", conferma.
"Pensi sia giusto farmi questo?". La mia più che una domanda sembra una supplica e non volevo che suonasse il quel modo. Mi sono già resa abbastanza ridicola con lui.
"Preferisci che non ti rivolga più la parola?". È serio e dalla sua espressione sono sicura che lo farebbe davvero.
"Preferisco che tu mi rivolga anche più di una sola parola", rispondo sinceramente. Lui sussulta, la prima vera reazione che vedo in Alex. "Diciamo che il resto dipende da te".
"Ma tu cosa vuoi Sophia?". Non urla. Lo dice piano ma è qualcosa di così forte da farmi tremare le gambe. Una domanda alla quale non so rispondere se non in un modo che potrebbe confonderlo e farlo scappare.
"Sapere perché...".
"Oltre quello". Mi interrompe bruscamente. "Parli di voler conoscere la verità, ma una volta che l'avrai ottenuta, cosa vuoi?". I toni sono cambiati e non c'è più alcuna traccia di divertimento in lui e quasi mi pento di aver detto quelle cose.
"Se ti rispondo, posso farti una domanda anch'io?".
"È un ricatto?".
"Un accordo", faccio un mezzo sorriso.
"Vedremo". Scuote il capo.
"Ma...".
"Rispondi". Ordina ed io non riesco a bloccare quello che ho dentro, almeno qualcosa.
"Io....ecco io", prendo un lungo respiro. Sto per dirgli che rivoglio quello che avevamo e che mi manca, quando quella dannata porta si apre ancora, rivelando l'ultima persona che pensavo di vedere.
"Ben", gracchio. Alex si gira, non riesco a vederlo in viso ma le sue spalle tese parlano più di quanto possano farlo le sue labbra e mi chiedo il perché di questa sua reazione. Una domanda che proprio come Alex non avrà risposta, non ora almeno.
"Ciao Sophia", sorride Ben avanzando a passi incerti nella mia direzione quando nota che ho compagnia.
"Ehm, ciao", gracchio in difficoltà. Sembra passato un secolo dall'ultima volta che ci siamo visti. "Come posso esserti d'aiuto?". Chiedo mentre sento gli occhi di Alex bruciare su di me.
"Ecco...", si guarda intorno. Qualcosa mi dice che non è qui per comprare un giocattolo, ma la sua risposta mi confonde.
"In due modi", sfodera uno dei suoi meravigliosi sorrisi, quelli che un tempo mi attraevano tanto, o almeno così pensavo. "Devo comprare un regalo per mio cugino e poi .... vorrei parlarti", sposta lo sguardo su Alex che è fermo come una statua e non ha alcuna intenzione di andarsene.
"Oh...che tipo di giocattolo?". Evito di rispondere, per ora, ad entrambe le richieste, avanzando verso lo scaffale pieno di tutto quello di cui disponiamo.
"Ha cinque anni, non saprei. Tu cosa mi consigli?".
Trattengo il respiro quando passo al fianco di Alexander per raggiungere Ben. È una situazione strana, scomoda e bizzarra.
Perché non se ne va? Non voglio questo, ma allo stesso tempo credo che sia la soluzione migliore al momento.
"Un puzzle? Credo possa andar bene", scrollo le spalle.
"Ehm, se lo dici tu". Sorride. "Vada per quello", aggiunge lanciandomi poi una strana occhiata. Mi volto giusto in tempo per vedere la porta del negozio sbattere. "Il tuo vicino?".
"S-si", balbetto cercando di tenere a bada le mille emozioni che attraversano la mia mente ora.
"Non ha comprato nulla". Osserva e io vorrei sbuffare davvero tanto.
"Eh? Ah no, ha solo prenotato un gioco che arriverà...fra qualche giorno. Si, fra qualche giorno", annuisco sperando di apparire credibile.
"Capisco", mormora. "Comunque grazie per il consiglio".
"Nulla", dico avvicinandomi alla cassa. "Carta rossa o blu?".
"Blu".
"Ok", replico iniziando ad impacchettare la confezione.
"Allora....come stai?". Alzo lo sguardo per un attimo.
"Direi bene", sussurro in difficoltà. Non so cosa si dica nel caso in cui è il tuo ex a farti una domanda simile. "E tu?".
"Così così", abbassa lo sguardo. "Hai poi....insomma con i ragazzi come va?".
"Ben", spalanco gli occhi facendolo ridacchiare. "Che domande fai?".
"Sai che avevo intuito qualcosa. Che c'era qualcun altro nel tuo cuore, insomma". Mormora in difficoltà. "Volevo solo sapere se....".
"No, non è cambiato nulla", lo interrompo.
"Oh, mi dispiace". Sussurra. "Cioè no, ma...".
"Non ti seguo", mi acciglio posando lo scotch al mio fianco.
"Pensavo di poterla gestire meglio Sophia".
"C-cosa?". Balbetto temendo di aver già capito dove voglia andare a parare.
"La nostra rottura", alza lo sguardo. I suoi occhi sono così timidi, lucidi. Ben è tenero e tanti altri mille pregi che non ho mai negato, ma non posso e non voglio ripetere lo stesso errore con lui.
"Ben io...io....lo sai che...".
"Sì, certo lo so", sussurra. "Mi dispiace, non dovevo venire".
"Non è questo. Mi fa piacere vederti. Solo che...non vorrei farti ancora del male. Non voglio illuderti, so di essere dura a parlarti così ma....".
"È lui?".
"Lui chi?". Mi trema la voce.
"Quello per cui mi hai lasciato".
"Alexander?". Deglutisco.
"Si, Alexander". È la prima volta che Ben pronuncia il suo nome e direi che ne è quasi schifato.
"È...è solo il mio vicino di casa". Distolgo lo sguardo.
"Certo", un sorriso amaro dipinge le sue labbra. "Non voglio insistere, non è affar mio infondo. Solo che....mi manca parlarti, vederti....so che è una richiesta un po' insolita, ma...mi piacerebbe esserti amico".
"Ben io...non credo sia una buona idea".
"Per me lo è Sophia", poggia le mani sul balcone. "Ho capito che non mi ami e che oltre una semplice amicizia non avrò altro da te. Ma stavamo bene insieme, a parlare intendo...per passare del tempo...insomma non voglio perderti per sempre". Sorrido e se non mi conoscessi direi che mi sono emozionata, ma forse è così. Ben è perfetto in ogni cosa che dice e fa. Nessuno, prima di lui mi aveva parlato in questo modo, ne in amicizia, ne in nessun altro tipo di legame.
"Va bene", mi sento di dire. Non posso negargli e negarmi un rapporto sano e sincero come questo. Lui non ha mai preteso nulla, se non la mia compagnia anche quando eravamo una coppia. Ha sempre rispettato i miei tempi, le mie paure e il mio caratteraccio.
"Perfetto", sbatte le mani fra loro, è felice e questo rende più serena anche me. "Quindi...qualche volta possiamo vederci per un caffè?".
"Certo", ridacchio dinanzi alla sua espressione timida.
"Allora ti telefono presto".
"Va bene", alzo il pollice e il suo sorriso si amplia.
"A presto". Indietreggia verso la porta.
"Il regalo".
"Uh, vero", si da una botta sulla testa. "Grazie mille per questo e per....".
"Tranquillo", ridacchio. "Ci sentiamo presto".
"Ci puoi giurare", urla afferrando il pacco al volo prima di correre via.
Sospiro guardando fuori. Ho la sensazione di aver appena guadagnato qualcosa e persa un'altra.

La cura [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora