La confessione (parte 2)

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"Se due persone si amano, non può esserci un lieto fine."
(Ernest Hemingway)
•••
Jacob

"Tu sei un mostro, cazzo." Sputo velenoso e serro i pugni in preda allo sconcerto.

Può un uomo arrivare a tanto? Può avere il coraggio di lasciare morire la persona che diceva di amare?

"È colpa tua." Ringhio. "Elisabeth ha perso i suoi veri genitori per colpa tua." Nel pronunciare questa frase la realtà si abbatte su di me come uno tsunami.

Come ci sono finito in questo schifo?

"Credi che non sappia di essere un mostro? Questa consapevolezza mi ha logorato le viscere per anni." Ribatte aspramente mio padre, serrando la mascella.
"Ma sai una cosa Jacob? Tu non sei poi così diverso da me."
Dice, assottigliando lo sguardo e puntando un dito contro il mio volto con fare accusatorio.

Inarco un sopracciglio mentre una risata di scherno lascia impetuosamente la mia bocca.
"Che cazzo vorresti dire?"

"La mia confessione ti è bastata? Hai raccolto materiale sufficiente per Derek Thompson?" Mi domanda mentre la sua bocca si contorce in un ghigno sinistro.

Strabuzzo impercettibilmente gli occhi e cerco di celare la scintilla di sorpresa che mi attraversa il corpo da capo a piedi.
"Cosa diavolo c'entra Thompson adesso?" Ribatto, sforzandomi di ostentare noncuranza.

Le lunghe gambe di mio padre si raddrizzano con un solo scatto.
Adesso siamo l'uno di fronte all'altro, collocati proprio al centro del soggiorno e con un misero tavolino in cristallo a separare il mio corpo dal suo.

"Andiamo figliolo, credi che non sia a conoscenza degli affari nei quali sei stato coinvolto ultimamente? Dimentichi forse che metà di questa maledetta città è ai miei piedi? Che ho occhi e orecchie ovunque? Oppure mi credi uno stupido?" Sussurra tagliente con le iridi luccicanti di trionfo. "Dunque, hai tutto quello che ti serve per incastrarmi, per distruggermi?"

È inutile continuare una farsa che non andrà a parare da nessuna parte, così decido di giocare a carte scoperte.

"Sai, non voglio iniziare questa conversazione così." Rispondo con strafottenza, passandomi una mano sulla mascella. "Prima c'è una cosa che voglio sapere: come hai trovato Elisabeth e perché hai deciso di mandare me a scovarla?"

"Rimorsi? Senso di colpa? Forse quel groviglio di demoni che mi tormentavano ogni notte? Da bastardo quale sono avevo bisogno di ripulirmi in qualche modo la coscienza: mi dissi che se avessi trovato quella bambina e mi fossi accertato che stesse bene avrei potuto dormire meglio la notte." Questo è ciò che dice e mi spaventa la dura strafottenza con cui parla.
"Solo che mi ci è voluto quasi un ventennio per decidere di cercarla. Ho assunto un investigatore affinché la rintracciasse, volevo sapere che fine avesse fatto, chi si prendesse cura di lei, che tipo di persona fosse diventata, se somigliasse a Natalie..."

"Dunque la tua mente malata si era convinta che rintracciando quella ragazza e assicurandoti che almeno respirasse avresti potuto espiare parte dei peccati commessi nei confronti di Natalie?"
Il disgusto ed il ribrezzo mi danzano sotto pelle mentre cerco di decifrare i pensieri di quest'uomo.

"Più o meno è così." Risponde, iniziando a girovagare per il soggiorno. "Sta di fatto che l'uomo che incaricai riuscì a rintracciarla dopo qualche mese, tutto ciò che fece fu consegnarmi una busta contenente ogni informazione sul suo conto sulla quale erano scritti un indirizzo e due iniziali: E.G." Si interrompe per prendere fiato.
"Non ho mai avuto il coraggio di aprire quella dannata busta e così ho iniziato a mandarti quei messaggi. Sapevo che eri in combutta con Derek e che avresti avuto i mezzi e l'astuzia necessari per capire qualcosa. Ma Cristo, non mi aspettavo che ci saresti arrivato così tardi e neppure che fossi così debole da innamorarti di lei."
Mi parla con disprezzo e scherno, beffeggiandomi come se fossi un cretino qualunque caduto in una trappola.

𝗛𝗨𝗥𝗥𝗜𝗖𝗔𝗡𝗘. 𝗧𝗨 𝗦𝗘𝗜 𝗟'𝗜𝗡𝗔𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗧𝗢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora