Distrazione

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''L'insicurezza è la gabbia di chi trattiene tutto dentro.''
(Clex71, Twitter)
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Elisabeth

Rileggo per la terza volta la stessa frase del libro che stringo tra le mani: cerco di assimilarne le parole, ma la mia mente non ne vuole sapere.

Questa sera, durante il tragitto verso il mio appartamento non ho contato i soliti  passi, questa sera la mia mente era rivolta verso qualcos'altro.

O forse qualcun'altro.

Detesto continuare a dar peso ad una cosa così stupida, detesto chiudere gli occhi e rievocare l'esatta sfumatura degli occhi di quel ragazzo, la forma delle sue dannate labbra.

Mi sento così patetica.

Sono sempre stata quel tipo di persona che dalla vita non aspetta nulla se non delusioni.
Dalla scuola alle amicizie, in famiglia, nel lavoro, in amore: ho sempre aspettato il momento in cui sarei caduta, il mio fallimento.

Ogni mia azione è sempre stata dettata dall'angoscia di non farcela per poi ritrovarmi sconfitta a piangere su me stessa.
Vivo abbracciata alle mie ansie, alle quali mi aggrappo per non soccombere giorno dopo giorno, vivo nella paura di vivere.

Perciò eccomi qui, imprigionata nella bolla che da sola ho costruito e alimentato, una barriera tra me ed il mondo inespugnabile, ma al tempo stesso tremendamente fragile, quasi sul punto di cedere.

Ho eretto dei muri impenetrabili tra me e la gente: non voglio cedere pezzi di me che finiranno per essere calpestati e mi sono convinta di non aver bisogno di nessuno se non di me stessa.

Eppure, a volte, vorrei davvero che i miei muri crollassero.
Anche solo per un po'.

Scaglio il libro contro il muro e porto le ginocchia al petto cercando un po' di calore in me.
Sento gli occhi farsi pesanti e poco a poco mi ritrovo distesa sul divano.
Gli ultimi assurdi pensieri che mi accompagnano prima di abbandonarmi al sonno riguardano Jacob, paure sconfitte, e vana speranza di serenità in un paio di occhi verdi.

***

Mi sveglio a causa di un suono che non so riconoscere immediatamente, si fa strada nella nebbia che offusca la mia mente in maniera graduale per poi finire col diventare qualcosa di definito.

Il mio telefono sta squillando.

Sono le nove del mattino del mio unico giorno libero e la suoneria del mio cellulare è appena diventata il suono che più detesto al mondo.
Scosto la coperta che mi tiene al caldo nelle notti solitarie passate sul mio vecchio divano e, a passo malfermo, raggiungo quell'oggetto infernale.

È raro per me ricevere chiamate per questo mi stupisco nel veder lampeggiare lo schermo, ma ciò che mi sorprende ancor di più è il mittente della chiamata.

Noah.

Per pochi istanti ho sentito il panico montare dentro me: credevo che la chiamata riguardasse uno dei miei genitori e nella mia mente si sono costruite le più tragiche disgrazie con loro protagonisti.
Scuoto la testa e torno a rivolgere l'attenzione al cellulare.

Rispondo alla telefonata di getto. 
"Noah?" Dico con voce impastata dal sonno.

"Buongiorno, raggio di sole!" Esclama energico, posso percepire il suo sorriso perfino da qui.

A volte mi stupisco di certa gente e della loro capacità di interloquire al mattino: come si può riuscire ad interagire con un altro essere umano nelle prime ore della giornata?

Io mi limito ad esprimermi con lievi movimenti della testa, qualche si e qualche no.

"Buongiorno a te, a cosa devo l'onore di questa telefonata?" Chiedo con voce pregna di sarcasmo.

"Lo so, sono soltanto le nove del mattino e lo so, è il tuo giorno libero. Avresti potuto continuare a dormire beatamente, ma.."

"Hai detto bene, avrei potuto, ma qualcuno stamattina ha voglia di fare conversazione e tocca a me assecondarlo." Borbotto, alzando gli occhi al cielo.

"Beth, è qui che ti sbagli. Il tuo Noah è pronto ad accorrere in tuo aiuto." Ribatte malizioso dall'altro capo del telefono.

Aspetto che continui a parlare e rimango in silenzio.

"Sai...questa sera, come d'altronde tutti i sabati, il mio amico Steve va alla festa di Hamilton. Solo che stavolta accompagnerà Stephanie, la sua nuova ragazza, dunque mi chiedevo se ti andasse di fare un salto lì con me. Non ho proprio intenzione di fare il terzo incomodo."

Parla così velocemente che mi è difficile capirlo ma, nonostante ciò, la mia mente registra chiaramente tre parole: festa, Hamilton, terzo incomodo.

"Quindi fammi capire bene: mi hai svegliata dal mio sonno ristoratore, chiamandomi incessantemente alle nove di sabato mattina per parlami di un'insulsa festa alla quale dovrei venire solo per fare un favore a te?" Il mio tono di voce è più alto del solito.

"Detta così suona davvero male, cazzo. Ma credimi mi farebbe davvero piacere se venissi...non per via di quel coglione di Steve, ma perché apprezzo sul serio la tua compagnia. In più ultimamente ti vedo spenta e sommersa di lavoro, ti farebbe bene una serata da ordinaria ventunenne."

Analizzo le sue parole e mi rendo conto che è tutto vero.

Sono giorni che mi trascino uno strano nervosismo addosso, dormo malissimo e i turni al Katy's stanno diventando sfiancanti.

"So quanto tu odi le feste e quanto odi la gente ed il mondo in generale." Sento Noah ridacchiare dall'altro capo del telefono. "Ma a volte lasciarsi andare fa bene."
Sussurra le ultime parole in maniera delicata, come se avesse paura di farmi male, come se mi avesse compresa.

Mi concedo pochi secondi per pensare: in questo breve lasso di tempo la mia mente rievoca il penoso stato emotivo nel quale versavo ieri sera.

Osservo il divano e il punto sul quale sono stata vicina a cedere alle lacrime.

Io non piango.

"E va bene, ma rimarremo lì due ore al massimo: io non berrò nemmeno un goccio e me ne starò seduta in un angolo a lamentarmi di quanto sia pessima la mia vita." Ho accettato, è fatta.

"Questa si che è la mia Beth, passo a prenderti alle dieci!" Esclama raggiante e subito dopo riattacca.

Che cazzo ho appena fatto?

***
Jacob

Il sole sta tramontando lentamente, si fa da parte con pigrizia per lasciare il posto alla notte, alla sua compagna fedele: la luna.
Lo osservo sparire gradualmente, ma non prima di avergli dato un ultimo saluto.

L'orizzonte si tinge di colori magnifici: disparate tonalità di giallo e arancio si intrecciano sul cielo che si improvvisa una tela bianca.

Scosto ulteriormente la tenda della mia stanza per godermi al meglio lo spettacolo, tento di spingermi con lo sguardo quanto più lontano possibile e mi ritrovo a desiderare di trovarmi realmente lontano da questa casa.

Ovunque, ma altrove.

La nube dei miei pensieri viene dissipata dal suono del cellulare.
Lo afferro prontamente nel vedere il nome di Simon sullo schermo e rispondo senza indugio alla chiamata.

"Miller, dimmi tutto, ti ascolto.'' Esordisco con voce sicura.

"Oggi niente divertimento Jacob, non ti ho chiamato per gli affari. Volevo solo ricordarti della festa da Caleb di questa sera: ci sarà metà della popolazione del college e la bella Emma Carter tutta per te.'' Mi informa con tono allusivo. ''Dimmi che ci sarai,amico."

Nel sentir pronunciare il nome di Emma, la mia mente vola subito a gambe lunghe, occhi azzurri e morbidi capelli biondi.

"Puoi scommetterci, cazzo." Rispondo trionfante.

•••

𝗛𝗨𝗥𝗥𝗜𝗖𝗔𝗡𝗘. 𝗧𝗨 𝗦𝗘𝗜 𝗟'𝗜𝗡𝗔𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗧𝗢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora