Via di fuga

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"Ma se uno lo incontri negli occhi, allora cambia tutto; perché quello non è un appuntamento. È destino."
(ReGiaProrsun, Twitter)
•••
Elisabeth

Non mi rendo conto del trascorrere incessante dei secondi.

Sono qui, immobile, al centro della sala, catturata dagli stessi occhi che hanno infestato i miei caotici pensieri negli ultimi giorni.

Questa improvvisa ammissione mi scuote nel profondo e, a passo malfermo, sentendomi spudoratamente osservata da lui, mi dirigo verso Jenny in cerca di una via di fuga.

La intercetto mentre sta avanzando verso la cucina e, con quanta più delicatezza possibile, le afferro il braccio per attirare la sua attenzione.

"Jenny, devi farmi un favore." Le sussurro con discrezione, cercando di non far trasparire alcuna emozione dal mio viso arrossato.
Noto che non mi risponde subito e dunque continuo dicendole: "Ho bisogno che tu copra il servizio dei tavoli nella mia area. Noah mi ha chiamata dalla cucina, ha bisogno di una mano."

Tento di risultare convincente, giuro che ci provo, ma la voce fuoriesce dalle mie labbra in un sussurro malfermo, un suono strozzato.

Jenny mi squadra in viso per un fugace istante, poi parla.
"Sai Beth, sei una ragazza molto intelligente..."
Mi sorride dolcemente, inclinando il capo verso di me cosicché i suoi lunghi capelli rossi le scivolino sulla spalla.
"Ma credimi, lo sono anche io." Mi dice, puntando il dito contro il mio petto.
"Ora ti incamminerai verso quel dannato tavolo, gli parlerai in tono cordiale e gli chiederai cosa diavolo desidera per pranzo: credo sia la soluzione migliore perché a forza di fissarlo ti verrà un gran mal di testa."

"Ma di chi diamine stai parlando?" Le domando sconcertata, ostentando stupore e sorpresa tutt'altro che genuini.

"Di quel tizio con gli occhi verdi che ha piazzato lo sguardo sul tuo culo da quando è entrato qui dentro." Risponde con un ghigno malefico.

Spalanco la bocca di fronte alla sua cruda schiettezza mentre avverto un'ondata di cocente imbarazzo imporporarmi le guance.

Jenny mi rivolge un cenno del mento, poi mi strizza l'occhio e si allontana da me, abbandonandomi al mio tragico destino.

Sono sorpresa dalla sua perspicacia e mi chiedo cosa diamine possa pensare la gente guardandomi in questo momento: divento paonazza nel ripetere mentalmente le parole della mia collega.

Non lo sto affatto fissando.
Assolutamente no.

Mi guardo intorno con area spaesata, alla disperata ricerca di un'ultima ancora di salvezza, ma mi rendo conto di dover inevitabilmente affrontare questa situazione in modo razionale, da ventunenne matura e imperturbabile quale sono.

Inspiro profondamente e, passando le mani sulla gonna sgualcita, mi avvicino al tavolo incriminato.

Fisso le punte delle mie sneakers per tutto il breve tragitto che mi separa da quel gruppo chiassoso di ragazzi e, non appena le loro voci giungono chiare e distinte alla mie orecchie, alzo lo sguardo.

Oh. Porca. Troia.

Alla mia vista si presenta una schiera di studenti all'incirca della mia età.
Fin qui sembrerebbe tutto normale se non fosse per il fatto che i ragazzi in questione sembrano tutti saltati fuori da una rivista patinata.

Mi domando se siano tutti parenti o stronzate simili perché tutto ciò che il mio cervello è in grado di registrare sono visi dai lineamenti armoniosi e virili e corpi scolpiti, fasciati nelle divise della squadra di football dell'University of San Francisco.

𝗛𝗨𝗥𝗥𝗜𝗖𝗔𝗡𝗘. 𝗧𝗨 𝗦𝗘𝗜 𝗟'𝗜𝗡𝗔𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗧𝗢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora