Inevitabile discussione

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"Rinuncia al tuo potere di attrarmi e io rinuncerò alla mia volontà di seguirti."
(William Shakespeare)
•••
Jacob

La osservo avanzare di qualche timido passo verso me.
È timorosa, teme il confronto: ha paura di mettersi a nudo e mi osserva con notevole diffidenza, i lineamenti del viso sono contratti in linee dure.

"Cosa vuoi questa volta, Jacob?"

Cerca disperatamente di apparire fredda e scostante, ma il suo tentativo fallisce: le sue nocche sono sbiancate per la forza con la quale sta stringendo il mazzo di chiavi tra le mani.

Il suo piede batte ritmicamente sull'asfalto con andamento nervoso.

Tap tap tap tap.

"Voglio semplicemente chiarire questa cosa."
Indico con le dita lo spazio che c'è tra di noi, poi alzo le mani in segno di resa e mi limito a fissarla.

La sua attenzione è totalmente rivolta al mio giubbotto: ne perlustra ogni particolare con devozione e solennità nel patetico tentativo di evitare il contatto visivo con me.

Impreco sottovoce dinnanzi a questo suo atteggiamento scostante e mi avvicino a passo svelto in direzione del suo corpo, di quel calore, del suo calore.

Poche falcate e ci ritroviamo esattamente l'uno di fronte all'altra: troneggio su di lei e la mia ombra sembra inghiottire la sua nel buio della notte, mentre con le punte dei miei piedi sfioro i suoi.

"Guardami, Elisabeth." Ordino con prepotenza celata da una punta di delicatezza.

Ha le braccia incrociate attorno alle proprie costole,
quasi come se volesse creare uno scudo da frapporre tra me e lei: una barriera entro la quale barricarsi per non farmi entrare.

Ha il viso rivolto verso destra.
Non mi guarda.
Continua ad evitarmi.

"Chi era al telefono?" Le chiedo crudo e diretto.

Mi è bastato udire le imprecazioni sussurrate a mezza voce, osservare l'andatura curva e scomposta con la quale camminava, decifrare il cipiglio di rabbia misto ad apprensione che le increspava la porzione di pelle tra le sopracciglia per capire che c'è qualcosa che la turba.

Si tratta di uno strascico di emozione che brilla sul fondo delle sue iridi.
È tristezza.

Serra la mascella con forza e, da testarda quale è, non si degna neppure di voltare il capo verso me e mi risponde a stento.
"Nessuno di importante." Liquida la questione con una semplice alzata di spalle, per lei può finire qui.

Ma non per me, cazzo.

Il suo piede riprende a battere sul cemento freddo.

"Elisabeth." Ripeto calmo, cerco di modulare correttamente il tono della mia voce. "Sto solo cercando di decifrarti."

Bastano queste parole per indurla finalmente a puntare i suoi occhi nei miei.

"Parla con me." Le dico semplicemente. "Con chi eri al telefono? Lo capisco dalla tua espressione, qualcosa che non va."

Senza pensarci, sollevo le mani e le allungo verso le sue braccia: con decisione le afferro i polsi e sciolgo la posizione nella quale sembra essersi immobilizzata.

Trasalisce al contatto inatteso, strabuzza quegli nocciola e mi osserva come se fossi impazzito.
Adesso le sue braccia sono spalancate verso me mentre continuo a trattenerle delicatamente i polsi.

Elisabeth è esposta, impaurita e pronta a fuggire da qui a gambe levate mentre io non vorrei fare altro che intrappolarla sotto di me e dimostrarle quante cose potrei farle dimenticare in poche ore.

𝗛𝗨𝗥𝗥𝗜𝗖𝗔𝗡𝗘. 𝗧𝗨 𝗦𝗘𝗜 𝗟'𝗜𝗡𝗔𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗧𝗢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora