Intensità

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"Ti faccio spazio dentro di me,
in questo incrocio di sguardi
che riassume milioni di attimi e di parole."
(Pablo Neruda)
•••
Elisabeth

"Beth, dovresti essere qui con me, Venezia è una città talmente bella da togliere il fiato. La definirei quasi poetica."

Sbuffo esasperata dopo ben quindici minuti di conversazione con mia madre al telefono, quattordici dei quali non ha fatto altro che parlarmi della sua fantastica vacanza in Italia e del suo fantastico fidanzato.
Il terzo di quest'anno.

Mia madre è un inguaribile romantica, crede fermamente nel vero amore, vive alla ricerca di sensazioni forti e ha un assoluto bisogno di qualcuno che le stia costantemente accanto per compensare le gravi insicurezze che nutre verso se stessa.

Io? Tutto il contrario.
Annego nella più profonda razionalità: osservo, analizzo, rifletto, agisco.
Non lascio posto all'istinto, non mi lascio guidare da frivole sensazioni.
Ho sempre cercato di reprimere gli impulsi dei sentimenti negli angoli più reconditi del mio cervello così da non venire offuscata, così da mantenere il controllo.

A volte mi ritrovo a pensare e agire quasi meccanicamente: sono bianco o nero, non c'è spazio per le sfumature.

Questo mio modus operandi ha fatto di me quella che sono oggi: mi sento come se mi stessi osservando vivere dall'esterno, un'estranea costretta ad indossare i panni di Elisabeth Gray nell'attesa di essere svegliata da qualcosa che ponga fine a questo sogno o incubo, non so ancora di cosa si tratti, nel quale sono precipitata.

"...e a fine serata Bob mi ha portata a cena in un delizioso ristorante, è stato davvero magico!"
Abbandono il fiume dei miei pensieri e riporto l'attenzione sulla telefonata con mia madre, attingendo all'ultimo briciolo di pazienza rimasto in me.

La sento ridacchiare dall'altro capo del telefono senza un apparente motivo e, prima che possa formulare qualsiasi ipotesi, giungo a comprendere la causa del suo esagerato buonumore.

"Mamma, hai bevuto di nuovo?" Chiedo con tono esasperato.

"Piccola mia, sai che quel vizietto è acqua passata per me. La separazione da tuo padre ha segnato la mia rinascita, sono pronta a godermi la vita senza restrizioni. Sono una Susan nuova!" Farfuglia tutto d'un fiato.

Scuoto la testa con disapprovazione: è una donna irrecuperabile, gusta, alla deriva.

"Allora riferisci alla nuova Susan che sua figlia sta per riattaccare perché ha un turno di lavoro da finire, sai...le servono i soldi per pagare le bollette.''
Le rispondo in maniera tagliente, ma non avverto più la fitta di senso di colpa di un tempo.

Non ho più intenzione di scusarla, non intendo giustificare nè lei nè mio padre per i loro sbagli: mi hanno lasciata alla deriva e mi sono tratta in salvo grazie alle mie sole forze.

"Va bene cara, ti chiamerò tra qualche giorno come al solito, la mamma ti vuole bene.''

Recita la solita frase da repertorio prima di porre fine alla conversazione.

Chiudo gli occhi.
Non richiamerà, non lo ha mai fatto.
Sono sempre io a cercarla.

Abbandono il retro del locale e mi dirigo a passo stanco verso la cucina, sfruttando i miei ultimi minuti di pausa prima di riprendere il turno.

"Raggio di sole, hai passato una brutta nottata?" La squillante voce di Noah mi accoglie non appena varco la soglia.

Mi passo una mano tra i capelli e soffoco uno sbadiglio, le ultime notti sono state...strane.

L'incontro con quello strano ragazzo dagli occhi verdi mi ha lasciato un po' scossa e non riesco neppure a comprenderne il motivo.
Forse non sono abituata ad imbattermi in tipi così spudoratamente attraenti qui al Katy's.

Nella mia testa si ripete in loop la breve conversazione che abbiamo avuto e mi sorprendo a soffocare un sorrisetto nel ricordare il suo patetico tentativo di scoprire quale fosse il mio nome.

Al tempo stesso però, rievoco mentalmente l'immagine dei lividi che gli solcavano il viso e, in pochi istanti, il pensiero di quello sconosciuto svanisce alla stessa velocità con la quale è sopraggiunto.

Sono alla disperata ricerca di uno sprazzo di stabilità, di normalità nella mia vita.
Ho passato un'intera esistenza a scalciare per farmi strada nel mondo, sono stata gettata in pasto alla realtà senza aver avuto il tempo di crescere come ogni altra bambina.

Ho intenzione di stare lontana da complicazioni e  guai e non permetterò a niente di farmi perdere il controllo sulle mie emozioni.
Non importa quanto quel ragazzo potesse essere attraente, i tipi così non portano mai nulla di buono a quelle come me.

Ho fatto bene a non dargli la possibilità di conoscere il mio nome, di insinuarsi sotto il fitto strato di indifferenza che mi avvolge il petto.

Più che bene.

"E così le ho detto di spogliarsi ed iniziare a correre nuda intorno ai tavoli..." Continua Noah con noncuranza.
Strabuzzo gli occhi di colpo, riscuotendomi dal trance e li punto su Noah, fissandolo con aria stupita.

"Bentornata, credevo fossi caduta in una sorta di coma e ho dovuto ricorrere ad una terapia d'urto per riportarti qui." Noah si interrompe e mi osserva con aria preoccupata, inclinando la testa. "Sicura di star bene?"

Ostento un'aria rilassata, poi rispondo: ''Va tutto a meraviglia. Solo che questa notte ho dormito poco a causa della signora al piano di sotto e in più il pensiero di dover lavorare fino alle undici mi distrugge.'' Prendo un profondo respiro e continuo: "Per fortuna è venerdì e la settimana è agli sgoccioli."

Non attendo la sua risposta, con un frettoloso cenno di saluto, abbandono la cucina e filo dritta alla mia postazione, sistemando con le mani le grinze sulla gonna.

La situazione oggi è piuttosto tranquilla: è l'ora di pranzo e i primi clienti della giornata hanno già preso posto ai tavoli, leggono pigramente i menù con aria indecisa nonostante, so per certo, finiranno per scegliere la solita portata.

La mia collega, Jenny Clarke, sta già servendo i tavoli dell'ala destra del locale, quella che tocca a lei gestire.
È una ragazza in gamba, energica e determinata, svolge il suo lavoro con dedizione ed impegno, tutti la apprezzano, me compresa.

È quanto di più vicino ad una amica io abbia mai avuto.

Mi allontano dal bancone, stringendo tra le mani il mio fidato taccuino.
Mi sono appena avvicinata al tavolo numero tredici per prendere le ordinazioni quando la porta d'ingresso si apre ed un chiassoso gruppo di ragazzi si fa strada nel locale.

Cerco di annotare l'ordine della famiglia Beaufort con precisione, ma il suono delle fragorose risate dei nuovi arrivati distoglie la mia attenzione da quel che sto facendo.

Perlustro il locale alla ricerca del gruppetto e lo ritrovo già seduto nell'ala sinistra della sala, tra i tavoli che toccherà a me servire.

Mentre il mio sguardo vaga curioso sui componenti di quel rumoroso gruppo, mi sorprendo a soffermarmi con gli occhi sulla chioma riccia di un tipo che mi sembra di avere già visto.

Il ragazzo siede rigido, mi da le spalle, e mi ritrovo a sollevarmi sulle punte dei piedi per scorgere qualche altro scorcio della sua figura.

Un breve istante dopo, come se lui avesse avvertito il peso dei miei occhi indagatori su di sè, noto il ragazzo voltarsi di scatto nella mia direzione.

Ancora una volta, due ipnotici occhi smeraldo si fissano nei miei.
Ancora una volta, perdo il controllo.

•••
Spazio autrice
Miei cari lettori le cose si fanno interessanti!
Questi due si incontrano di nuovo! Eheh
Cosa ne pensate?
Aspettatevi di tutto!
Alla prossima, xo

𝗛𝗨𝗥𝗥𝗜𝗖𝗔𝗡𝗘. 𝗧𝗨 𝗦𝗘𝗜 𝗟'𝗜𝗡𝗔𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗧𝗢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora