Incontri sgradevoli

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"La paura di innamorarsi non è forse già un po' d'amore?"
(Cesare Pavese)
•••

Elisabeth
Avanzo a passo incerto, guidata dal tenue bagliore gettato da una lampada all'ingresso dell'abitazione.

I miei piedi calpestano l'immacolato pavimento in marmo bianco percorso da venature nere, mentre con lo sguardo cerco di assorbire ogni dettaglio della lussuosa dimora della famiglia Butler.

L'ambiente circostante è completamente avvolto nel silenzio. Ogni oggetto, soprammobile, tutto sembra essere al posto giusto tanto da farmi dubitare che la casa sia realmente abitata.

"Eccoci. Benvenuta nella mia umile casa." Jacob irrompe tra i miei pensieri e indica con un gesto della mano lo spazio che ci circonda.

Non rispondo, vengo catturata dal gioco di luci e ombre che si riflette sulla lucida superficie dei mobili: ogni pezzo d'arredamento trasuda lusso e denaro.

Non mi stupirei di scoprire che la sola cucina di questa villa costi più del mio intero appartamento.

Giro ancora una volta su me stessa per ammirare meglio l'impotente scala a chiocciola che svetta nel bel mezzo del salone.

"Che ne pensi?" La voce di Jacob mi strappa dalla mia attenta osservazione.

È alle mie spalle e, nel voltarmi, colgo il suo sguardo focalizzato su di me, mi sta attentamente studiando.

"Sembra tutto uscito da una rivista di interior design. È fantastica, sul serio." D'altronde, che altro potrei dire?

Jacob ride di gusto e il suono riecheggia tra le vuote mura dell'abitazione.

A pensarci bene, questa casa è davvero spoglia: nessuna traccia di foto di famiglia, di cianfrusaglie sparse in giro o di qualche indumento dimenticato qua e là.

È proprio sicuro di abitare qui?

"È soltanto una casa..." Liquida la questione con un gesto della mano e un tono sprezzante. Sembra quasi disgustato nel dirlo. Ma perché mai?

Distolgo l'attenzione da un invitante chaise-longue in pelle nera depositata in un angolo e mi rivolgo a lui.

"Perché mi hai portata qui Jacob?" Lo interrogo con circospezione.

L'orologio a muro batte le tre del mattino.
La città è sprofondata nel buio: le ampie vetrate della sala riflettono la sola flebile luce dei lampioni lungo la strada. Dall'esterno non proviene altro che l'ovattato brusio di quelle poche persone ancora in giro.
Alcune con una destinazione, altre senza meta.
Un po' come me.

Non ottenendo risposta da lui, decido di riprovare con una domanda differente.
"Perché siamo scappati dalla polizia?" Gli chiedo.

Cosa hai da nascondere? Perché siamo qui? Di cosa hai paura?

Un fiume di domande inonda la mia mente.

"Cosa ti fa pensare che noi stessimo scappando?" Si passa una mano lungo il profilo della mascella.
I suoi occhi catturano i miei e il verde delle sue iridi sembra ardere alla tenue luce del soggiorno.

C'è un mare di emozioni in quegli occhi.
Occhi che sembrano dire così tante cose e riescono a celarne altrettante.

Jacob è troppo complicato da leggere: i suoi gesti, le sue parole non dette, le sue labbra, la sua voce.
Tutto, tutto di lui mi attrae.
Tutto di lui mi terrorizza.

Mi avvicino di qualche passo al suo corpo.
Bastano poche falcate e vengo investita dal suo odore inconfondibile: un profumo nel quale potrei avvolgermi per sempre, come una sorta di coperta, al riparo da tutto.

𝗛𝗨𝗥𝗥𝗜𝗖𝗔𝗡𝗘. 𝗧𝗨 𝗦𝗘𝗜 𝗟'𝗜𝗡𝗔𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗧𝗢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora