Capitolo 3: Un'alba d'inverno 🌙❄

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Ma torniamo un po' indietro. Di qualche ora, diciamo.

Le orme fresche sulla neve spiccavano, nero su bianco, in mezzo alla coltre ghiacciata che brillava ai primi raggi del sole nascente. Il cielo era ancora nero, sempre più azzurro verso l'orizzonte, una luce fredda e cupa a cui ormai erano tutti abituati. Il sole non brillava più da decenni, da quando l'Apocalisse si scatenò su Pianetos.

La vita era diversa, ma per chi non aveva vissuto altro, era solo vita.

Un daino gigante oscuro (nome scientifico: Megaloceros obscurus), un maschio dalle corna enormi e ricurve, si stava dando da fare a mangiare il più possibile per far diventare le sue corna ancora più grandi e vistose, dato che presto sarebbe arrivata la stagione degli amori. Come facessero a capire quando fosse la stagione degli amori era un mistero, dato che c'era sempre freddo. Forse per questo il daino gigante oscuro, dal manto nero vantablack (un colore che attirava molto le signorine anche se un po' troppo sfavillante contro il bianco della neve) sembrava un po' confuso, abbastanza da lasciare che la creatura dietro di sé si avvicinasse senza fare rumore, scivolando tra una rovina e l'altra, lasciata da qualche sorta di costruzione che un tempo sorgeva lì.

Fu un secondo, quando da dietro una muraglia del vecchio edificio diroccato, l'enorme bestia dall'aspetto rettiliano ma le zampe lunghe come un cavallo facesse un enorme balzo sul daino gigante oscuro ignaro. Il suo cavaliere gridò un grido di battaglia, creando dal nulla una lancia impregnata di energia psichica, con cui tentò di colpire il daino. Il coso oscuro però schivò, e tirò un calcione in faccia al coccocavallo, ancora giovane e inesperto, che a sua volta disarcionò il ragazzo seduto sulla sua schiena, a cui cadde la lancia psichica, che al mercato mio padre comprò.

Il ragazzo aveva i capelli castano chiaro ramato dai riflessi del fuoco, un po' lunghi e mossi e il viso pallido e lentigginoso, gli occhi blu e un simbolo sull'occhio destro, ed era vestito con pesanti pellicce ricamate con il logo dell'occhio sul petto, lo stesso del suo simbolo/tatuaggio sull'occhio. Alzò lo sguardo sul daino oscuro gigante che lo stava caricando, prima che venisse a sua volta travolto e sbrindellato in un'esplosione di sangue truculento davvero alla Final Destination. Una scena epica a cui il ragazzo assistette con gli occhi a stellina!

A spezzare il collo del daino con un morso fortissimo era stato un uomo: a guardarlo meglio, però, si capiva che di umano aveva davvero poco. Era un mannaro, una rara razza che a Westeros non si trova facilmente, originaria di una terra lontana chiamata NewJerseros, un continente che l'Apocalisse non aveva reso particolarmente difficile da vivere perché faceva già un sacco schifo prima.

L'uomo aveva i capelli castani costellati da capelli grigi, il viso abbronzato sanguinolento e gli occhi storti blu zaffiro come il ragazzo giovane, e un tipico retaggio NewJerseroso. Al ragazzo in effetti assomigliava molto, se non che aveva almeno la metà dei suoi anni, ed era molto meno peloso e storto. Aveva le braccia grosse e pelose, una grossa gobba sulla schiena, e la coda da mannaro, oltre che le zampette patetiche e che non si muovevano molto. Al contrario del ragazzo, era vestito con una polo di marca Lacosteros (una marca di abbigliamento skagotta, raffigurante infatti un coccocavallo come stemma) e i pantaloni, perché il suo pelo da NewJerserosiano bastava a tenerlo al caldo nell'inverno eterno post-atomico westeroso.

"C-c-cosí si caccia nel V-venetos, Benny!" gridò l'uomo al ragazzo, che lo guardava con una grandissima ammirazione.

"Che figata papà!" Rispose Benny mettendosi in piedi e raggiungendo zoppicando quello che evidentemente è suo padre dato che l'ha detto. "Quanto vorrei essere come te..!" sospirò Benny, mentre aiutava suo padre a montare il cadavere di daino oscuro gigante sulla schiena del giovane coccovallo di Benny.

"Beh, p-presto compirai d-d-diciotto anni, l'età in c-cui i mannari diventano tali, e c-c-cacceremo assieme, t-te lo prometto." lo tirò su di morale suo padre, che balbettava non perché avesse freddo ma perché era il famosissimo mannaro magicappato Jimmy Strutter, laureato in giornalismo indovinato magico alla prestigiosa Five Forts University poco prima che l'apocalisse distruggesse tutto.

Benny e Jimmy saltarono in groppa al coccocavallo verde acqua, che carico com'era di roba e mannari faceva un po' fatica a camminare nella neve alta.

"Papà, che posto è questo?" chiese Benny, indicando una rovina a terra. Un pezzo di qualcosa di scintillante brillava nella neve fresca.

Il ragazzo scese dal coccocavallo sotto lo sguardo attento seppur strabico del padre, che grazie agli occhi che puntavano un po' in ogni direzione a caso riusciva a controllare meglio la zona.

Benny attivò il potere del fuoco nei pugni nelle mani e sciolse la neve, sotto di esso, un effigie di un'aquila, incastonata di lapislazzuli e pirite e oro, su una lastra frantumata di marmo nero dalle venature blu.

"P-p-p-ortalo a tuo padre, scommetto che gli farà p-p-piacere rivederlo." gli sorrise suo padre Jimmy.

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NOTE DELLE AUTRICI! 

 Non vi preoccupate, presto torneranno i nostri eroi valyriani! 

Per ora ci immergeremo in questo perfetto quadretto familiare skagotto mannaro, non sono carinissimi? =^w^=

Mi raccomando, commentate e mettete tante stelline!!!! Siamo sicure che questa storia vi appassionerà! Baci infuocati <3

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